L’epidemia di depressione causata dalla crisi sta provocando in un’indistinta cittadina francese un’ondata di suicidi senza precedenti, mostrata in maniera diretta e approfondita: la mania del suicidio permette alla bottega del titolo di realizzare grandi affari, in un periodo in cui ogni altra attività sembra destinata al fallimento. I coniugi Tuvache gestiscono con i due giovani pargoli un negozio in cui ogni disperato aspirante suicida può trovare il mezzo di cui necessita per togliersi la vita, in base alle sue esigenze. A turbare questo idillio familiare arriva la nascita del terzogenito, Alan, un sorridente frugoletto che con il suo buonumore rischia di riportare un pizzico di speranza nella ormai disillusa clientela della Bottega dei suicidi, scatenando le ire dei genitori. Turbato dalla cappa di tristezza che aleggia sulla sia città, Alan, con la complicità dei suoi amici, organizza un improbabile piano per mettere fine al sinistro commercio dei genitori e cercare di riportare ai suoi concittadini la gioia di vivere; si trova suo malgrado coinvolta anche Marilyn, la sorella adolescente del ragazzo, protagonista di una scena erotica che sembra ricavata da un dipinto di Botero. Naturalmente Alan riesce nel suo intento e, spalleggiato dalla sorella che ha finalmente scoperto l’amore, convince la sua famiglia a reindirizzare l’attività lavorativa verso più allegri scopi: il giovane di cui si è innamorata Marylin, salvandolo dal suicidio, dichiara di essere bretone e si offre come cuoco per avviare una crêperia.
All’annuncio della distribuzione in Italia de La bottega dei suicidi, lo scorso dicembre, è seguita la notizia del divieto ai minori di 18 anni imposto sul film dalla commissione di censura. La pellicola ha così rischiato di essere ritirata dalle sale italiane, salvo poi vedere annullata la limitazione in favore della scelta di lasciare la proiezione libera a tutti. Dopo aver visionato la pietra dello scandalo è possibile confermare che sarebbe certo difficile spiegarne compiutamente il contenuto a un certo tipo di pubblico e che potrebbe sussistere la remota possibilità che il film si riveli un cattivo esempio per alcuni soggetti, pertanto il divieto della Commissione di Revisione Cinematografica avrebbe potuto trovare una giustificazione lecita, ammettendo di essere a favore delle pratiche censorie. Ben più importante di un limite imposto a priori, però, dovrebbe essere la spiegazione di un adulto del modo particolare in cui La bottega dei suicidi affronta un tema così delicato a qualsiasi bambino o ragazzo che si proponga di vederlo, naturalmente auspicando che nessun genitore porti il proprio figlio in tenera età a vedere questo film solo perché si tratta di un “cartone animato”. Con questa bizzarra produzione, ispirata a un romanzo di Jean Teulè, Le magasin des suicides, Patrice Leconte ha scelto per la prima volta come suo mezzo d’espressione il disegno animato bidimensionale, creando sotto l’aspetto grafico un film assolutamente riuscito, che sa conquistare l’occhio grazie al sapiente uso dei colori, alla ricchezza dei dettagli e alle atmosfere, che in alcune scene si rifanno all’arte di De Chirico. Purtroppo, non si trae la stessa soddisfazione dal film in sé, poiché dopo le buone premesse della prima parte, cui ci si aspetta facciano seguito una critica sociale e un risvolto pungenti, il resto della storia si rivela ben al di sotto delle aspettative, sino ad arrivare al finale, che appare davvero esagerato e quasi più macabro del resto della narrazione. Ben chiaro come il personaggio di Mishima Tuvache, il capofamiglia, sia ricalcato su quello di Gomez Addams e, più in generale, tutto il clima in cui vive la famiglia Tuvache debba molto alla Addams Family nelle sue differenti versioni, ricordando da vicino un’impresa di pompe funebri che cerchi però di rifarsi alla tono leggero con cui vengono trattati temi affini a quelli de La bottega dei suicidi nelle produzioni di Tim Burton Nightmare before Christmas (1993) e La sposa cadavere (2005).
Poco apprezzabili anche le canzoni interpretate dagli stessi personaggi: sembrano un retaggio dei classici per bambini, in cui tanta parte avevano gli intermezzi canori, ma in questo contesto appaiono piuttosto fuori luogo. Perché è senza dubbio vero che è un bambino a migliorare la situazione tragica in cui versa la città del film, ma è altrettanto vero che molto difficilmente quest’opera potrebbe essere mostrata direttamente a un pubblico così giovane. Se è evidente l’ironia alla base di tutta la vicenda, è altrettanto noto come i più piccoli non siano in grado di riconoscerla del tutto e di comprenderne a dovere il significato.
Titolo originale: Le magasin des suicides; Regia: Patrice Leconte; Sceneggiatura: Patrice Leconte; Montaggio: Rodolphe Ploquin; Scenografia: Florian Thouret; Produzione: ARP Sélection, Caramel Film, Diabolo Films, Entre Chien et Loup, Kaibou Productions, La Petite Reine; Distribuzione: Videa CDE; Durata: 85 min.; Origine: Francia/Canada/Belgio, 2012
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