Cinema vivo. Quindici registi a confronto PDF 
Paolo Fossati   

Un momento di spinte contraddittorie, ecco come gli autori definiscono l’attuale scenario cinematografico italiano contemporaneo. Un giudizio questo che nasce dall’ascolto di un coro di voci soliste: quindici registi selezionati nel panorama del nostro cinema nazionale intervistati per le pagine de Lo straniero e per il volume della collana Le muse furiose, Edizioni dell’Asino.

Insomma, siamo dinanzi ad uno di quei bilanci che forse hanno a che fare con il PIL, o almeno con quella insanabile carenza insita nell’idea stessa di Prodotto Interno Lordo denunciata già nel 1968 da Robert Kennedy e recentemente ripresa da Zygmunt Bauman ne L’arte della vita: “Il calcolo del nostro PNL (Prodotto Nazionale Lordo) tiene conto dell’inquinamento atmosferico, della pubblicità delle sigarette e delle corse in ambulanza per soccorrere i feriti sulle strade. Mette in conto i sistemi di sicurezza che acquistiamo per proteggere le nostre case e il costo delle prigioni in cui rinchiudiamo coloro i quali riescono a penetrarvi. Integra la distruzione delle nostre foreste di sequoie e la loro sostituzione con un’urbanizzazione tentacolare e caotica. Comprende la produzione del napalm, delle armi nucleari e delle automobili blindate della polizia destinate a reprimere i disordini nelle nostre città. Mette in conto (…) i programmi televisivi che glorificano la violenza allo scopo di vendere i giocattoli corrispondenti ai nostri bambini. In compenso il PNL non tiene conto della salute dei nostri figli, della qualità della loro istruzione né dell’allegria dei loro giochi. Non misura la bellezza della nostra poesia o la solidità dei nostri matrimoni. Non pensa a valutare la qualità dei nostri dibattiti politici o l’integrità dei nostri rappresentanti. Non tiene conto del nostro coraggio, della nostra saggezza o della nostra cultura. Non dice nulla della nostra pietà o dell’attaccamento al nostro paese. In breve, il PNL misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta”. Il cinema (italiano, in questo caso), forse invece, misura tutto ciò che davvero conta nella vita. E i libri sul cinema tentano di controllare se i parametri sono esatti, se le misure sono precise.

Durante la lettura della raccolta d’interviste si fa strada la sensazione bruciante di essere spettatori di una competizione persa, scoprendo la mancanza, nel novero dei quindici eletti, di autori imprescindibili per farsi un’idea della riflessione italiana in atto sulla contemporaneità (quali Saverio Costanzo, ma anche Vicari, Crialese, Marra, Paravidino… senza contare il Mirko Locatelli approdato a Venezia 65 e oggi in giro per l’Italia con una distribuzione indipendente del suo Il primo giorno d’inverno, in tour come una rockstar per presentare un album). Si placano le ire solo leggendo un’introduzione acuta, che svia il dubbio legittimo che si sia voluto realizzare il solito libro sui “giovani” talenti e riconduce agli intenti originari dell’operazione, che comunque non può sfuggire ai limiti della sua natura antologica. Il merito dei curatori è allora quello di aver dato voce in un contesto polifonico a registi mai abbastanza esposti, come Alina Marazzi e il suo approccio al documentarismo, un cortocircuito tra film di famiglia, scrittura diaristica e comunicazione politica. Di aver dialogato con chi ha saputo posare uno sguardo scevro dal regionalismo sulle realtà locali, come Maderna, Winspeare, Mereu, Molaioli, Munzi e, non ultimo, Zanasi, che ora vive l’esperienza televisiva dell’esplosione in forma seriale del suo, inizialmente quasi intimo, Non pensarci. Di aver esplorato le esperienze di produzione di Gaglianone, Spada e Di Majo. Di aver interrogato chi, partendo da ciò che meglio conosceva, è poi arrivato ad analizzare le dinamiche dei poteri, come Sorrentino e Garrone.

Per loro stessa ammissione “i registi intervistati non sono certo i soli punti di riferimento, e certo non tutti lo sono in egual misura. Bechis, Di Costanzo e Diritti sono sui cinquant’anni, gli altri più giovani. Quasi tutti hanno cominciato dopo l’ultima grande ondata di registi che aveva tentato un ricambio e delle innovazioni, ossia quella a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, quella in cui si era sperato anche in un racconto di italie diverse e magari in un decentramento produttivo…”. C’erano allora i napoletani, i siciliani, i milanesi, i pugliesi… oggi, forse, siamo più italiani consapevoli di voler parlare almeno all’Europa, come hanno dimostrato Il divo e Gomorra a Cannes. E a ribadire quest’idea di una nazione frammentaria, ma coesa nell’arte, arriva la conclusione affidata alle riflessioni di Mario Monicelli, entità mitica chiamata a sancire l’intento passionale ed appassionato della piccola pubblicazione, special guest dalla funzione taumaturgica che, per chi si occupa di cinema o se ne entusiasma, è sempre legata all’attività critica, all’acuta intuizione capace di farsi lente d’ingrandimento della Storia. Monicelli, dunque, chiosa pensando al nostro Paese: “È una storia curiosa quella dell’Italia. Se vai a vedere la storia di altre nazioni europee vedi che avevano una struttura, una spina dorsale che è quella della gloria militare. Tutto il resto è di appoggio. L’Italia è stata il contrario e ha sempre rotto i coglioni a questi qui, che avevano sempre a fianco un italiano che aveva qualcosa da dire e che loro non avevano mai detto. È una storia molto curiosa la storia dell’Europa, con questa penisola che rompeva i coglioni a tutti senza essere niente dal punto di vista economico o militare o industriale, niente”. E conclude lapidario, incalzato da Goffredo Fofi, riflettendo sulla nostra Italia che vive solo di inganni: “…il cinema è la summa delle menzogne. Anche nel cinema, come nella società, la moneta cattiva scaccia quella buona”.

Produzione, distribuzione, rapporti con gli esercenti: ecco le preoccupazioni che storicamente hanno assillato gli autori in ogni fase del Novecento, ridefinendosi anno dopo anno e confrontandosi con le contingenze di ogni epoca. Oggi, come ieri, non ci si può sottrarre dal valutare lo stato dei finanziamenti pubblici per il cinema e le modalità d’accesso ai fondi, dal passare in rassegna la situazione delle sale cinematografiche, osservandone la convergenza in poli (con la conseguente riconversione di spazi culturali cittadini in luoghi deputati allo shopping), che influisce inevitabilmente sulle strategie di distribuzione dei film. Si osserva il lento recedere del film dai palinsesti della tv generalista e la sua deriva verso canali tematici sempre più parcellizzati. Ci si interroga sugli effetti della relazione tra nuovi media e cinema: la facilità (anche economica) di accesso alle tecnologie di produzione e condivisione e le sue ricadute sulle opere, sugli esordi, sul successo, sui fallimenti o, semplicemente, sulla possibilità di passare inosservati (con la frustrazione che ne consegue) in un flusso d’immagini non incanalato. Straripare. Sentire la libertà dalla coercizione di un percorso preordinato e comprenderne immediatamente i limiti: uscire dal corso mainstream è inebriante, ma il rischio è quello di doversi accontentare delle proprie derive, delle proprie nicchie di pubblico (sarà davvero un pericolo o è l’omologazione ad un modello unico di successo a considerarlo tale?).

Domande e risposte compongono un quadro d’insieme, paradossalmente sempre più nitido, ma sempre meno esaustivo. Non è una questione di qualità o demeriti del libro, bensì un dato di fatto del quale dobbiamo oggettivamente prendere coscienza: ogni voce si trasfonde a regalare risposte, ma instilla anche quesiti nella mente del lettore. Ogni sapere inocula una nuova curiosità. Ci obbliga a riflettere sulla sua genesi e su quale idea di futuro, ora, non potremo più ignorare.

TITOLO: Cinema vivo. Quindici registi a confronto; AUTORE: (a cura di) Emiliano Morreale e Dario Zonta; EDITORE: Edizioni dell’Asino; ANNO: 2009; PAGINE: 296; PREZZO: 14,00 €.

 


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