Brian di Nazareth: dal vangelo secondo i Monty Python's PDF 
di Rodolfo Croce   

Pochi gruppi nella storia del cinema hanno saputo porsi così magnificamente a cavallo della sottile linea che separa l'umorismo dal cattivo gusto, l'entropia dal caos e l'anarchia dalla follia come i Monty Python's, vero e proprio "cervello globale" con un potenziale creativo notevole, che può vantare al suo interno personaggi del calibro dei due "Terrybili" Jones e Gilliam. Pensando allo loro opera - sviluppatasi essenzialmente nella trilogia "mistico-demenziale" di Monty Python's and the Holy Grail, Life of Brian e The Meaning of Life - viene da pensare ad un umorismo di matrice british stravolto dai fumi dell'acido lisergico, una rilettura in chiave Burroughs dei Fratelli Marx urlata da John Lydon. Lo sviluppo narrativo lascia spesso il posto infatti ad una compiaciuta analisi dettagliata degli elementi comici, allo scopo di esaltarli ed esagerarli al punto da diventare, all'apice del loro nonsense, quasi fastidiosi. I personaggi sovente sono macchiette, svuotati completamente della loro interiorità per essere trasformati in puri stereotipi contro cui scagliarsi ferocemente, con l'intento di demolirli.

Brian di Nazareth si distingue filmicamente come il più equilibrato della trilogia, con uno sviluppo narrativo sequenziale e strutturato molto classicamente in due fasi: un primo breve momento che mostra la nascita del protagonista e un secondo, più lungo, in cui quest'ultimo, ormai maturo, si trova ad affrontare una serie di eventi che lo metteranno alla prova. Fino a qui tutto bene. Se non fosse che questa apparente "moderazione" risponde al più sottile intento di spingere lo spettatore ad identificare con chiarezza i punti della storia che innestano, una dopo l'altra, le micce collegate al complesso ordigno satirico.

Come spesso accade nelle commedie di successo, niente è scontato nel film. Il titolo preannuncia chiaramente una parodia della vita di Gesù e l'incipit del film sembra confermarla, con la scena ambientata nella "stalla a fianco" a quella biblica. Ma subito la storia si concentra sullo stravolgimento dei ruoli, si scioglie nella demenzialità che si crea con l'equivoco dei significati (la difficoltà che chiunque potrebbe avere nell'identificare chiaramente cosa sia la mirra) e dei ruoli (ci si aspetta una Madonna del Ghirlandaio e appare una scanzonata e avida "borgatara" con problemi sentimentali). Così, mentre la trama si sviluppa seguendo le vicissitudini del protagonista, la macchina continua a seguire con ritmo frenetico i molteplici e grotteschi personaggi - interpretati a rotazione dagli stessi attori - alternando spezzoni di satira politica, sociale e religiosa a veri e propri sprazzi di demenza nichilista. È in questi momenti che è possibile ritrovare quella commistione di allucinazione e gag da cartone animato tipica dei futuri registi "indipendenti", riscontrabile in particolare nelle sequenze più oniriche di L'esercito delle dodici scimmie o Paura e delirio a Las Vegas, di Terry Gilliam.

"La cosa più significativa è stata aver fatto arrabbiare gente di tutte le religioni, proprio tutte, cattolici, ebrei, protestanti, ortodossi, buddisti. È stato magnifico", dice Michael Palin, uno dei Python. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, il gruppo afferma radicalmente che non esistono argomenti tabù per la comicità: tutto può essere toccato dalla satira, tutto può essere messo in discussione. La vera arte risiede nella capacità di farlo senza cadere nella grettezza dei luoghi comuni e della volgarità spicciola. I personaggi vengono sfruttati al meglio, nei loro difetti evidenti, nella forza negativa dei loro stereotipi, nella riconoscibilità dei dialetti e delle parlate cockney, da cui escono improvvise perle di umorismo in bilico tra demenzialità e burla.

Sembra di scorgere la comicità di Goscinny e Uderzo nella rappresentazione di un Impero Romano diviso tra legionari ignoranti, governanti decadenti e popoli in continua rivolta. Ma in questo caso manca totalmente la distinzione tra bene e male, la lotta dei giusti contro gli ingiusti. Tutti sono dei perdenti senza speranza, rappresentando il riflesso di ogni forma di attivismo idealista e religioso presente nella società contemporanea. Le fazioni ebraiche lottano per puro principio, senza reali motivazioni, scagliandosi contro tutto e tutti e scatenando paradossali lotte fratricide. I romani seguono ciecamente un Ponzio Pilato afflitto da problemi di pronuncia che lo rendono ridicolo di fronte a tutti. Il popolo è in continua e vana ricerca di un qualsiasi messia da servire. I mendicanti non vogliono essere guariti perché perderebbero il loro "lavoro". Infine il protagonista, Brian, un uomo moderno diviso tra valori occidentali democratici e inettitudine, vive la sua esistenza trascinato dagli eventi e viene tramutato, suo malgrado, in un martire.

La bellissima scena finale, un campo lungo corale dei condannati alla crocifissione che cantano e ballano Always look on the bright side of life, conclude degnamente un'opera sicuramente provocatoria, ma mai offensiva nell'attaccare platealmente una religione piuttosto che un'altra. Sarebbe bello invece poterla concepire come un esercizio spirituale, una sorta di yoga che permetta ad individui appartenenti a qualsiasi credo di ironizzare su aspetti e stereotipi della cultura occidentale. La comicità dei Monty Python's è una comicità partecipativa: non si ride mai di qualcuno, si ride di tutti e, pertanto, insieme a tutti. La scelta di sostituire ai personaggi del film delle macchiette stereotipate permette allo spettatore di procedere in questo esercizio senza identificarsi, anzi "slegandosi" progressivamente dai cappi morali che lo stringono e gli impediscono di guardare con leggerezza a quei temi considerati "intoccabili". Alla fine la sensazione è di aver davvero guardato il mondo dall'alto, senza farne realmente parte. Perché, citando René Claire, "credo che ridere sia il vero segno della libertà".

 


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