L’avversario PDF 
di Fulvio Montano   

Tratto dal romanzo-inchiesta omonimo di Emmanuel Carrère, L'adversaire (L'avversario, Francia 2002) ricostruisce gli ultimi giorni di Jean-Claude Romand, che per diciotto anni ha finto di essere ciò che non era mai riuscito a diventare, ingannando, in un perverso gioco da grande attore tragico, famigliari ed amici.

Ogni giorno Romand, dopo un'abbondante colazione alla francese, si metteva in viaggio per il palazzo dell'OMS di Ginevra, dove affermava di lavorare in qualità di medico. In realtà passava le sue giornate in macchina, parcheggiato in uno dei tanti autogrill dell'autostrada, o in qualche convegno dove riusciva a intrufolarsi come semplice visitatore; finché, impossibilitato a restituire i soldi che con l'inganno aveva ottenuto da genitori, amici e parenti, vede il suo castello di carte crollare e la moglie dubitare della loro esistenza sino a quel momento.

"Perché non facciamo mai dei viaggi e non mi porti mai in nessun posto?" lo interroga la moglie la sera del suo crollo psicologico. Ma piuttosto che ammettere la verità dei suoi fallimenti ed affrontare, per una volta, la realtà, l'uomo preferisce ucciderla e con lei i due figli, il padre e la madre, per poi darsi fuoco nella sua villa fuori città.

Sorretto da una messinscena essenziale e dalla straordinaria interpretazione di Daniel Auteuil, fotografato in una temperatura colore prossima allo zero assoluto, il film ci cala da subito in una quotidianità angosciante, caratterizzata dalle fantasiose giustificazioni con cui il protagonista, ad ogni istante sul punto di essere scoperto, motiva le sue stranezze e dalla coscienza che la sua farsa non possa durare in eterno. Un'esistenza senza futuro, da vivere giorno per giorno nell'attesa di qualcosa che non verrà mai, di quell'occasione mancata molti anni prima, all'università, quando il protagonista abbandonò gli studi.

Per questo, l'estorcere soldi a chi gli sta intorno, vaneggiando di improbabili quanto redditizi investimenti, non può che servire a comprarsi l'automobile adatta al suo status o la casa in cui tutti si aspettano viva un medico, nel vano e disperato tentativo di scacciare gli incubi e riuscire a convincere persino se stesso.

Contrariamente a quanto potrebbe far pensare un'analisi superficiale, il tema del film non è la menzogna, né l'anomia nella moderna società dei consumi, bensì la solitudine, condanna spietata e senza appello cui sembriamo essere, chi più chi meno, destinati. Una solitudine da agente segreto disoccupato, i cui rapporti con chi gli sta intorno non vanno oltre la cortesia e la stima per la professione che Romand dice di esercitare. Con metodo, fortuna e con la giusta dose di disperazione, il protagonista trascorre le sue giornate nella paranoia di essere scoperto, braccato dalla verità e dalla curiosità ingenua dei gregari che prendono parte al dramma, attento ad ogni possibile traccia della sua colpevolezza.

Ed è questa stessa tensione che l'autrice del film riesce a comunicare al pubblico, stregato dalla pietà e dall'empatia per l'intensa umanità che sprigiona il personaggio interpretato da Daniel Auteuil, in bilico tra schizofrenia e infantile fiducia nelle proprie fantasie. Paradigmi del vuoto che sta oltre la facciata da uomo rispettabile, le invenzioni di Romand hanno insomma un sapore genuino e a suo modo onesto. Sorta di bugie a fin di bene (anche se bene non andrà a finire), le sue menzogne sono funzionali all'accettazione del signor Nessuno in società e finalizzate al raggiungimento, almeno in apparenza, di ciò cui chiunque legittimamente aspira: un'esistenza felice e più a misura d'uomo di quella del semplice salariato o del professionista fallito con i creditori alla porta.

Altro tema, tanto caro a cinema e letteratura, che caratterizza la pellicola è l'archetipo del doppio, chiave delle infinite tensioni del protagonista con se stesso e con l'ambiente che lo circonda, quell'avversario introdotto dal titolo e mai mostrato direttamente dall'autrice.

Spersonalizzato e informe, l'antagonista del personaggio è un lucido esercizio di condensazione e riciclo che rimanda all'inconciliabile coesistenza tra Dottor Jekill e Mister Hyde; al legame morboso e indissolubile dei gemelli Mantle in Dead Ringers di David Cronenberg; allo pseudonimo assassino Philip Stark in Dark Half di Stephen King; al Sosia di Fedor Dostoevskij e al Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello, tanto per citarne alcuni.

Ed è proprio con il riferimento al premio Nobel italiano che vorrei introdurre un'ulteriore riflessione stimolata dalla visione del film, la verosimiglianza ricercata insistentemente dall'autrice sin dai quadri iniziali su nero, in cui si legge a caratteri cubitali "Da una storia vera".

Scriveva Luigi Pirandello argomentando la sua difesa di fronte ai critici che avevano tacciato d'inverosimiglianza il suo Pascal: "Le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, perché sono vere. All'opposto di quelle dell'arte che, per parer vere, hanno bisogno di esser verosimili. E allora, verosimili, non sono più assurdità. Un caso della vita può essere assurdo; un'opera d'arte, se è opera d'arte, no. Ne segue che tacciare d'assurdità o d'inverosimiglianza, in nome della vita, un'opera d'arte è balordaggine. In nome dell'arte, sì; ma in nome della vita, no."

A questo semplice assunto sembrano votati la caratterizzazione del personaggio, la claustrofobia degli ambienti, la struttura ed il realismo del film, tutti tesi alla cronaca oggettiva dei fatti e poco alla formulazione di un'opinione, di un giudizio. È la semplice narrazione di un'umanità particolare quello che veramente interessa Nicole Garcia, affascinata da un vicenda che ha dell'incredibile e, naturalmente, dell'inverosimile.
Rattristato, commosso e impietosito dall'ingenuità del protagonista, lo spettatore ha quasi la sensazione di poter penetrare nella sua mente, percepirne il delirio e la malinconia assieme, vivere al suo fianco prima il castigo e poi il delitto, fino al finale che non riesce ad essere né catarsi, né redenzione.

 


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