La battaglia dei tre regni PDF 
Marco Capriata   

Il ritorno in “patria” del regista di Honk Kong John Woo è un ulteriore dimostrazione di come alcuni autori del cinema d'oriente, che tanto appassionò i cinefili d'occidente, si siano ormai piegati alle esigenze del governo nazionale cinese e ad un gusto conforme ai dettami stilistici e narrativi della politica imperante. Una politica che si è soltanto apparentemente aperta al modello occidentale, seppur rivendicando idee e costumi del passato per glorificare il presente, come dimostrano le coreografie curate dallo stesso Zhang Yimou alle recenti Olimpiadi di Pechino.

Il film in oggetto è la trasposizione per immagini di un resoconto storico e come tale si imbeve della retorica necessaria, a dimostrazione di come la filosofia di una nazione sappia essere ancora una forma viva di recupero del proprio passato storico-culturale, che, nel caso della Cina, Mao aveva provveduto quasi a rinnegare o a rimodellare. La battaglia dei tre regni viene da noi distribuito in una versione conforme ai gusti degli spettatori occidentali, che non devono così “sorbirsi” l'opera integrale, reperibile comunque in rete e divisa in due parti uscite rispettivamente nel 2008 e nel 2009. John Woo, dopo il periodo hollywoodiano che gli ha regalato successi come Face Off e Mission Impossible 2, nei quali era riuscito ad imporre il suo stile più personale, non è poi più riuscito a riconfermare le proprie capacità perdendosi dietro progetti rivelatisi non all'altezza delle aspettative delle Major. Questo nuovo lavoro, apparentemente vicino al genere Wu Xia Pian, è in realtà un'opera di carattere storico ed epico, in cui si riconoscono alcuni temi cari al regista di Hong Kong, come l'amicizia virile, cui molti critici attribuiranno le solite venature omoerotiche (subito fugate però dalla forte presenza femminile), o l'accentuazione di valori come l'onore e il rispetto. Peccato che tutto questo, oggigiorno, appaia intriso di una retorica sottopelle che non esita ad emergere in maniera sempre più evidente e a trasformare il prodotto in qualcosa di sempre più somigliante al genere magniloquente della stessa Hollywood.

John Woo, privato delle pistole e della frenesia dei suoi precedenti film, pare però non adeguarsi completamente alle evoluzioni del genere cappa e spada – ben rappresentato da Yimou e in parte precorso da Ang Lee –, in cui l'elemento cromatico costituiva segno narrativo evidente e preponderante, scegliendo invece di puntare sui momenti di riflessione e di confronto dialettico tra i vari personaggi, in cui prevale la coreografia strategica delle battaglie. Senza peraltro rinunciare agli assoli dei suoi protagonisti, sorta di guerrieri superomistici degni dell'epica di Omero, tant'è che un richiamo alla Guerra di Troia viene proprio dalle motivazioni che spingono il Primo Ministro a muovere battaglia verso gli altri regni del sud, in un apparente e pretestuoso tentativo di unificazione del territorio. I conoscitori del regista honkongonese ritroveranno come sempre la sua firma nel volo delle colombe, simbolo di purezza e di annuncio dell'ingresso in scena dell'eroe vincente sul male sceso in terra, tanto da affidare ad una di esse il compito di aprire proprio una panoramica a volo d'uccello sul campo nemico per sottolinearne l'immenso potere distruttivo e bellico, ma anche per esaltare ancor più il valore e l'intelligenza dell'eroe, chiamato a sostenere un'impresa titanica e apparentemente impossibile, ma che saprà tuttavia sfruttare a proprio vantaggio grazie anche alle astuzie dei suoi strateghi militari. Le donne, in questo contesto, appaiono come bellezze eteree, che stimolano e solleticano gli appetiti sessuali dei protagonisti maschili, affascinati dalla loro bellezza e dai gesti affettati, che costituiscono purtroppo una rappresentazione edulcorata e patinata di un erotismo senza senso e senza gusto. In modo analogo, non può guadagnare in rispetto l'apparente ribellismo della principessa guerriera, quale figura anticipatrice di un femminismo che difficilmente all'epoca poteva dirsi così tollerato, ma che diviene elemento apparentemente in opposizione all'iconografia della donna succube e che vorrebbe ammiccare allo spettatore come contraltare ironico alla seriosità dei suoi protagonisti maschili, seppur si debba riconoscere anche a loro momenti di leggerezza, anche se sempre confinati nei limiti della loro ieraticità virile.

L'impressione finale è quella di un film ben confezionato, che soddisfa le esigenze del cinema odierno, ma che denota un allarmante appiattimento stilistico, in cui tutto appare uguale a se stesso, conforme ad una retorica per immagini di cui noi stessi siamo imbevuti. Lontano è il cinema che fu di questi autori, le cui vene creative e sperimentali si sono forse esaurite per adeguarsi ad una frenesia e ad una dialettica per immagini non più stimolante come un tempo.

TITOLO ORIGINALE: Chi bi; REGIA: John Woo; SCENEGGIATURA: John Woo, Khan Chan, Cheng Kuo, Heyu Sheng; FOTOGRAFIA: Yue Lu; MONTAGGIO: Robert A. Ferretti, Angie Lam, Hongyu Yang; MUSICA: Taro Iwashiro; PRODUZIONE: Cina; ANNO: 2009; DURATA: 150 min.

 


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