La rivoluzione italiana: modernizzazione, deburocratizzazione e liberalizzazione - Parte seconda: il PDF 
di Fulvio Montano   

L'articolo I del decreto legislativo emanato dal Presidente della Repubblica Italiana in data 22 gennaio 2004, relativo alla Riforma della disciplina in materia di attività cinematografica, recita:

1 La Repubblica riconosce il cinema quale fondamentale mezzo di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale.
2 Le attività cinematografiche sono riconosciute di rilevante interesse generale, anche in considerazione della loro importanza economica e industriale.
3 Eccetera, eccetera…

Come si è detto, le ventiquattro pagine fitte fitte della riforma, per un totale di 28 articoli, sono in gran parte merito dalla berlusconiana Gabriella Carlucci, che passata la legge in parlamento sembra essersene dissociata con fare ambiguo e poco comprensibile.

Onore comunque al merito, Gabriella nasce ad Alghero (SS) nel 1959, seconda per età delle tre sorelle Carlucci. Laureata prima in Storia dell'arte e poi in Lingue e letterature straniere, debutta in televisione a soli 23 anni, affiancando il presentatore Enzo Tortora nella trasmissione Portobello, per poi condurre due edizioni del Festival di Sanremo (1988 e 1990), il David di Donatello e il Festival del cinema di Venezia.

Stilista e showgirl a quanto si dice affermata, a metà degli anni Novanta passa a Mediaset dove sostituisce il miracolato Alberto Castagna in Casa Castagna (Canale 5) e si presta ad altre menate del genere, tra le quali il riempitivo della domenica Melaverde (Rete 4). Irresistibilmente attratta dalle prospettive politiche aperte dalla discesa in campo del suo titolare, il magnate dell'editoria Charles Foster Kane, oops... scusate, Silvio Berlusconi, entra nel partito come capo del dipartimento dei Beni culturali e dello Spettacolo di Forza Italia.

Ma torniamo alla legge, che con poche e ben calibrate modifiche in linea con i principi ispiratori della politica della maggioranza, sembra stravolgere l'intero sistema di erogazione dei fondi, privilegiando, facile intuire perché, le grandi concentrazioni ed i prodotti di sicuro successo. Entrando nel dettaglio, le linee guida della riforma sono, con grande sforzo di sintesi, l'introduzione di due importanti novità quali il reference system ed il product placement.

Detto in altri termini la casa di produzione che presenta la richiesta di finanziamento al Ministero deve dimostrare di possedere un curriculum farcito di successi commerciali e quindi all'altezza della situazione (reference) oltre che disporre dei fondi necessari a coprire i costi che superano i contributi statali (product placement), impresa quasi impossibile per i produttori che non dispongono di strutture imponenti o di contatti privilegiati con il mercato televisivo, di fatto condannati ad un allucinanti e spesso senza esito found raisings. Ridimensionati dal 90 al 50%, i finanziamenti statali costringono così i produttori indipendenti a trovare acquirenti per il film ancora prima che questo venga realizzato, rivolgendosi al duopolio (Medusa e RAI01) che controlla il mercato cinetelevisivo. Va da sé, quindi, che sarà più facile piazzare prodotti telecompatibili piuttosto che d'autore.

Altra decantata novità, peraltro da tempo presente in altri Paesi, la possibilità di introdurre la pubblicità nei film mostrando i marchi delle aziende che tengono alla promozione dei loro prodotti di punta e l'istituzione della Consulta territoriale per le attività cinematografiche, che fissa i principi guida e la distribuzione nazionale dei finanziamenti. Presieduta da un Direttore Generale appositamente designato e composta dal Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia, dal Presidente di Cinecittà Holding S.p.A., dai rappresentanti di Enti statali e regionali e dall'associazione degli esercenti, la Consulta rappresenta l'organo accentratore per eccellenza della politica del governo Berlusconi in materia di attività cinematografica, escludendo, con colpa, le rappresentanze dei produttori, degli autori, dell'associazionismo cinematografico, dei critici e dei giornalisti cinematografici.

La riforma non tocca, naturalmente, i ristorni agli incassi (premi per i film di maggior successo), né fissa un limite alla quantità di prodotti finanziabili ogni anno, non fa alcun cenno all'importanza di sostenere l'accresciuto interesse per il documentario, né tenta di arginare il dilagare dei Multiplex a scapito dei cinema d'essai e dei piccoli esercizi.

Anziché favorire un cinema indipendente e di qualità, la nuova legge sembra insomma far sua l'ideologia del box office, rendendo di fatto inaccessibile il mercato ai piccoli produttori, a tutto vantaggio di un bipolarismo che crea inevitabili strozzature nel sistema cinema e che con buone probabilità finirà per ridimensionare quel poco di pluralismo che ancora si ostina a vivere stringendo i denti.

Sembra, perché a ben guardare, non possono sfuggire al lettore smaliziato le curiose assonanze della riforma Urbani con la Legge Alfieri, varata dal Fascismo nel 1938 e che prevedeva lauti compensi statali in proporzione ai biglietti staccati al botteghino. Allora come oggi, l'attenzione dei governanti del nostro Bel Paese è tutta rivolta alla grande industria, alla grande distribuzione ad alle grandi produzioni. Ma ai piccoli e modesti cosa rimane?

Fine della seconda puntata.

Scarica il Decreto legislativo 22 gennaio 2004 - Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche

 


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