Million Dollar Baby: da qualche parte, sperduto fra il nulla e l'addio PDF 
di Daniele Vecchio   

E' passato del tempo da quando Jean-Luc Godard disse: "L'ideale per me sarebbe di fare i film di Clint Eastwood, ma di farli bene", e altrettanto ne è passato da quando il suo primo mentore, Sergio Leone, con una celebre battuta volle ridurre la gamma di espressioni del suo attore feticcio all'esiguo numero di due: "una col cappello e una senza". Quelle strane dichiarazioni d'affetto e di stima sono sì segnate dall'ironia e dall'autorità che compete ad alcuni fra i più eccentrici registi europei, ma rappresentano bene quella particolare fragilità che a lungo ha esposto la figura di Eastwood come cineasta al giudizio di critici e autori e che sembrava essere inversamente proporzionale all'aria da duro che contraddistinse il suo tòpos attoriale. Da una parte l'ampia popolarità che - come spesso accade per la critica più ottusa - bastava a gettare su di lui l'ombra del sospetto, dall'altra la sufficienza con cui si guardava ai suoi sforzi per ritagliarsi un piccolo spazio d'autore, per di più indipendente, hanno pregiudicato in modo insistente il suo lavoro, in realtà apprezzabile e coraggioso fin dal suo esordio come regista. Era inevitabile, ma anche poco prevedibile, che per essere consacrato l'uomo con la cravatta di cuoio - e dobbiamo essere grati a chi solo ha avuto la lungimiranza per valorizzarlo e incoraggiarlo, ossia proprio Don Siegel - doveva in un certo senso farsi carico di questa fragilità e mettere in discussione il suo status mitico di eroe senza nome: Eastwood non si fece pregare e alla prima occasione mostrò di esserne capace, con maturità e credibilità, ma anche con una ferocia inaspettata e il risultato fu Gli spietati, un film che non smette di sedimentare e figliare dall'alto del suo posto d'onore nella storia del cinema. Ma molto tempo è passato anche da quando il segaligno attore e regista americano è stato unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi autori viventi, e pochi oserebbero discuterne lo spessore. E allora accade un fatto curioso: ora che Eastwood si è guadagnato il rispetto e ha lasciato già il suo testamento (Mystic River), la critica, specie quella italiana, lo esalta oltre misura, ne scavalca gli intenti innalzandolo nell'olimpo della magniloquenza. E dunque sarebbe appena il caso di riguadagnare uno sguardo critico che impieghi la stessa sobrietà con cui l'ultima opera di Eastwood è stata messa in scena.

Siamo lontani, e lo ribadiamo, dalla perfezione e dalla complessità di Mystic River, ma non ci sentiamo neppure di definire Million Dollar Baby un film manchevole o sbagliato, tutt'altro: esso rivela la mano felice e perfino lieve del suo autore, ne scava ancor meglio i lineamenti, ma non aspira - giustamente - a porsi al vertice della sua filmografia. Al suo interno si scorge prima di ogni altra cosa la volontà semplice e determinata di raccontare una storia. Qualcuno ha parlato di pudore, al contrario: Eastwood non si vergogna dei sentimenti e li provoca quasi con la stessa intensità raggiunta ne I ponti di Madison County; e come in quel film danza con efficacia fra lo spirito affettato di certi drammi hollywoodiani e una certa durezza d'intenti, che difficilmente si fa raggirare o piegare dal sentimentalismo tout court. Così il clichè è sempre dietro l'angolo, ma Eastwood trova sempre il tempo per fare un passo indietro, per distanziare e riacquistare asciuttezza, oppure agisce per contrasto, come nei memorabili flashback che gli fece interpretare Siegel ne La notte brava del soldato Jonathan: e quindi alla retorica e ai toni della rievocazione di Scrap Iron ("Ferro Vecchio", il personaggio interpretato da Morgan Freeman) si contrappongono immediatamente le immagini del luogo in cui l'intero "racconto mitico" ha origine e fine: l'atrio di una vecchia e fatiscente palestra di periferia.

Altri sono i punti di contatto con I ponti di Madison County e questo è un aspetto interessante da approfondire, perché si tratta proprio del film che più ha diviso la nuova ondata critica che guardava ormai a Eastwood con favore; in molti parlarono allora di capolavoro, altri di un film furbo e costruito, un prodotto concepito per far piangere le casalinghe frustrate, che sognavano di evadere conquistate dal fascino maturo di un uomo come Clint Eastwood, per di più nei panni di un fotografo avventuriero. I più acuti invece notarono entrambe le cose, questo bizzarro miracolo che faceva coesistere i due livelli nel film: "la sceneggiatura di Richard LaGravenese è piena di frasi da Baci Perugina, ma sentirle pronunciate da Clint Eastwood e da Meryl Streep le rende vere e strazianti. Girato quasi come una pièce teatrale, recitato magnificamente, quasi mai imbarazzante..." (Alberto Crespi, "L'Unità", 23/9/95).

Era infatti il primo esempio di come dalla letteratura popolare - qui addirittura di quart'ordine, come era il best-seller rosa di Robert James Waller da cui fu tratto il film - Eastwood riesca ad estrarre questi ibridi che non presuppongono un lettore modello, ma molti e diversi lettori, convocando senza eccedere le più varie modalità di fruizione: qualcuno seguirà il genere, qualcuno il carisma dei divi, altri apprezzeranno la sempre pregevole fattura tecnica, altri ancora l'equilibrio della regia e il discorso autoriale sul crepuscolo. Il miracolo dello stile di Eastwood è nient'altro che questo, e se in quel film valorizzare un materiale di partenza così infimo era un'impresa (che fatte le dovute proporzioni può dirsi in parte riuscita) solo in Mystic River l'operazione poteva dirsi senz'altro conclusa.

In Million Dollar Baby ritornano, con variazioni melodiche, questi e altri elementi de I ponti di Madison County: ci sono le lettere e i diari familiari (mai) aperti, che da una parte svelano e sconvolgono il mondo di chi sappiamo finalmente averne letto le pagine, dall'altra registrano l'accorato messaggio lasciato in una bottiglia che forse sarà per sempre ignorata; ci sono le passioni che sorgono lentamente e inaspettatamente e finiscono per travolgere ogni cosa, la vita che non potrà mai più essere la stessa; ritornano curiosamente le citazioni di Yeats (un poeta che, guarda caso, diceva di sentirsi più creativo e vitale nell'epoca della sua vecchiaia). Non di meno il film comunica con tutta l'opera più significativa dell'autore: ricompaiono i vecchi amici accomunati dal doloroso passato già visti nei rispettivi ruoli attoriali in Gli spietati, ci sono i padri perduti di Un mondo perfetto, le figlie perdute di Mystic River, le stesse redenzioni impossibili e le tragedie ineluttabili.

E' notevole infine come l'utilizzo del genere, per poi deviare da esso o addirittura lavoraci contro dal suo interno, diventi una efficace scelta strategica anche dal punto di vista pubblicitario: il lancio del film (prodotto in fondo con un budget ridotto) e la sfrontatezza del titolo, il tacito accordo con critici e commentatori a non svelare cosa accade nella seconda parte della storia, inducono a prefigurarsi il classico lavoro a sfondo sportivo che vede il personaggio di umili origini riscattarsi sfogando la sua rabbia coi pugni e diventando un campione. E ovviamente dentro c'è anche tutto questo, ma non solo e - già sottilmente dal principio ma più crudamente da un certo momento in poi - c'è molto poco. Ancora una volta Eastwood attira lo spettatore nella trappola del prodotto culturale standard marchiato Hollywood (il western, il romanzo rosa, il poliziesco, ora il film di combattimento) per poi porlo di fronte all'impronunciabile e al disturbante. Questo film intitolato, narrato e fotografato come un noir anni Quaranta, declamato con lirismo e messo in scena con estrema semplicità, dosa sapientemente pessimismo e romanticismo e infine sfocia nel melodramma puro, procedendo inesorabile verso il punto di non ritorno che tutte le esistenze potrebbero prima o poi trovarsi a raggiungere.

La dimensione che Eastwood ha ormai eletto a elemento principe della sua poetica è il Tragico. Ma ciò che, col tempo e l'età, col tramonto degli idoli e dello splendore, è giunto a configurarsi pienamente al suo interno, all'interno del Tragico, come motore immobile e imperscrutabile, è il passato e la riflessione sul suo significato. In che l'autore ci mette a confronto con esso? Innanzitutto, senza che ci sia concesso vederlo e comprenderlo definitamene. Le vicende che hanno generato il senso di colpa di Frankie Dunn per la perdita dell'occhio di Scrap non tollerano flashback ma solo rievocazioni indirette, e così era per il male feroce che connotava la giovinezza di William Munny in Gli spietati. Ricordate Mystic River? Dopo l'antefatto sul tragico episodio dell'infanzia, la storia ci catapulta in avanti di quasi mezzo secolo. Molti indizi fanno capire che l'amicizia fra i tre protagonisti non è più quella di un tempo. I motivi di questo sfaldarsi dei rapporti non sono chiari, e dopo la morte della figlia di Jimmy tutti fanno finta di essere i vecchi amici di sempre. Ai fini della storia e della sua soluzione quel che è accaduto in mezzo (tra l'infanzia e il presente), e che non viene riferito, non ha alcuna funzione pratica, ma contribuisce a creare un'atmosfera densa di cose non dette, rappresenta senza mostrarlo l'oscuro e rovinoso lavoro del tempo.

Altrettanto efficace è l'idea di non svelare o rimestare l'origine del profondo dissidio che divide Frankie da sua figlia, ma di limitarsi a inquadrare in penombra il corposo pacchetto di lettere rispedite al mittente custodito da Frankie in una scatola di cartone. Ma qui è proprio nel passato, sapientemente evocato e mai concesso, che si cela il cuore del dramma, quello che induce Frankie a ricercare in Maggie un sostituto della figlia e che fa esplodere oltre l'immaginabile i sensi di colpa dopo l'incidente di lei. Il tempo è ovviamente anche il millesimo negato a Frankie per evitargli di spostare lo sgabello inclinato prima che Maggie cada al tappeto. Il tempo è dunque la "concretizzazione sfuggente" del destino (vedi ancora Mystic River). Il male però non coincide con l'assenza di significato, con un destino cinico che ha strappato a Maggie ciò che si è conquistata da sola e duramente, in un mondo che non le ha mai dato nulla e che le ha già sottratto prematuramente tutto ciò che aveva di prezioso (un padre e un cucciolo di cane). La vita gli aveva insegnato una cosa, dice Scrap, che lei "era solo spazzatura", ma un'altra gli era stata spiegata da Frankie, e cioè che nella boxe, metafora di una vita violenta, "bisogna proteggersi". Il male è allora l'imperscrutabile complotto fra il tempo e l'errore, è qualcosa che Frankie cerca di comprendere affidandosi alla fede senza però riuscire a evitare di metterla continuamente e radicalmente in questione (mentre il prete si limita a dispensare risposte pronte e stantìe). Dopo l'incidente, Frankie rompe con il mondo, con la fede e con la propria vita: egli resta solo davanti a una scelta impossibile e inevitabile, e con lui lo spettatore.

Torniamo alla funzione dell'incidente sul ring. Improvvisamente si spiega l'insistenza con cui la regia ci mostrava il gesto di piazzare lo sgabello a fine round e che prima poteva sembrare un modo originale di girare le scene sul ring (come sappiamo alcuni grandi film hanno già sviscerato a fondo l'"estetica" del match, solo da ultimo Alì di Michael Mann): se altri usavano il ricorso al cartellone numerato per scandire i round, soffermarsi sullo sgabello può anche sembrare un modo per evidenziare l'importanza del raccoglimento del partecipante, la pausa come momento altrettanto fondante (che sia voluto o meno, la scelta ha anche questo effetto); ma poi la ricorrenza di questo gesto banale segna una variazione, e la storia cambia per sempre (è l'estrema fragilità dell'esistente di cui era consapevole più di ogni altro il popolo greco, che nell'antichità tributò ad essa tutto il senso della propria arte). Altre sono le lezioni di stile di questa messa in scena semplice ma rigorosa, che giustamente molti hanno ricondotto a Ford. Ci piace ricordarne un esempio, per discendere dall'ellissi temporale all'ellissi nell'inquadratura, al fuori campo: è la scena in cui Frank consiglia Maggie sul ring, lei riparte all'attacco e un movimento all'iindietro della m.d.p. non ci mostra lo scontro, ma dal suono fuori campo e dall'espressione di Frankie capiamo subito che l'avversario è stato messo al tappeto. Così Eastwood ci chiude un occhio ma ci porta con lui e la Swank direttamente sul ring, facendoci partecipare con un fulmineo sorriso di soddisfazione.

 


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