Obama. La politica nell'era di Facebook PDF 
Paolo Fossati   

Il saggio di Giuliano da Empoli non è un libro di cinema. Il cinema è momentaneamente assente, ma di certo arriverà al più presto per descrivere, nel migliore dei casi, la (Ri)Nascita di una nazione. Il cinema ha permesso, questa volta, che la realtà assumesse forme inattese. Ha preparato il campo (e il fuoricampo, fatto da elettori americani e attenti spettatori di altre nazionalità) affinché la realtà fosse pronta a configurarsi come l’immaginazione suggeriva. Un piccolo volume, apparentemente lontano da qualsiasi legame con la settima arte, è l’occasione per riflettere proprio sull’impatto sociale dei meccanismi di rappresentazione del reale. A partire dalla dichiarazione d’intenti proclamata nelle prime pagine:  "Tutto ciò che importa, nella vita degli uomini, assume la forma di una storia. I nostri sogni, le nostre speranze, le nostre paure: tutte narrazioni con un inizio, uno svolgimento e una fine. Dai meschini pettegolezzi alle nobili storie d’amore, dalle gesta degli eroi ai telefilm del lunedì sera. Non c’è un’emozione che non assuma la forma del racconto, non una decisione che non si basi – in una forma o nell’altra – sulla narrazione nella quale siamo (o crediamo di essere) inseriti".

Altri media sono stati citati come i veri detonatori dell'esplosione dell'interesse per Barack Obama (su tutti internet), ma il cinema non è mai stato assente nell'immaginario di chiunque pensasse ad Obama come nuovo presidente degli Stati Uniti, durante i mesi della campagna elettorale e dopo la vittoria. Sia i sostenitori che i detrattori non possono fare a meno di pensare alla sua storia mettendola in relazione con quella delle star giunte alla celebrità dal nulla. Si è detto che Obama viene percepito dai giovani come una rockstar e lo stesso Rolling Stone è stato artefice di quest'idea, inserendo il senatore dell’Illinois tra le personalità dell’anno fin dal 2004, mettendo l’accento sul suo fascino e sostenendo che si attendeva un candidato di tale magnetismo, eloquenza, intelligenza e sex appeal ormai dai tempi di Robert Kennedy. L’investitura di Obama si è così palesata, consentendone l’ascesa attraverso il riconoscimento di appartenenza ad un élite: non per nascita, ma per meriti, è entrato a far parte dell’universo delle celebrità, un gruppo sociale selezionato, trasversale ed eterogeneo che si offre alla contemplazione e all’imitazione di tutti gli altri. I nuovi politici, qualsiasi opinione abbiano e a prescindere dall’esperienza politica, non possono fingere di non doversi confrontare con la celebrità culture, ormai dominante nel mondo occidentale. Nell’ironico capitolo GlamObama e Starkozy appare chiaro che i vecchi meccanismi gerarchici della politica non reggono più: basti pensare a chi riveste le più importanti cariche dello stato in Italia, Francia e Inghilterra. Berlusconi, Sarkozy e Boris Johnson – l’enfant terribile della stampa anglosassone divenuto sindaco di Londra – rappresentano l’attuale tendenza dell’elettorato verso “l’outsider”, come risposta alla speranza di cambiamento e miglioramento dei consolidati turn over messi in atto dai partiti. Gli elettori desiderano più controllo e possibilità di sperimentazione. Sono abituati ad una società dove il singolo, grazie all’interattività consentita dalle tecnologie digitali, si sente determinante. La risposta – vincente – di Obama a questa tendenza è stata mettere al centro della propria campagna elettorale internet, ed utilizzare Facebook.

Se il modello dominante per selezionare le classi dirigenti è diventato quello gladiatorio, che scaraventa i pretendenti in un’arena e attende che i più forti sopravvivano, Facebook rappresenta una proiezione virtuale e non violenta di questa battaglia per la supremazia. In politica (più che in altri ambiti) non contano più le competenze, dopo l’avvento di quella che viene definita la politica biografica: le qualità del candidato vengono valutate come quelle di un attore, in termini di performance, oppure si valutano altri aspetti rappresentativi della vita del soggetto in questione (il suo fascino da seduttore, la sua carriera imprenditoriale…). Le leggi dello spettacolo dominano l’arena, come profetizzava Guy Debord, mentre in ogni settore alcuni “eletti” (pensiamo ad esempio agli archistar, ma anche ai più famosi dirigenti chiamati a risanare le aziende italiane, o ai commissari speciali per le varie emergenze del momento…) si vendono sul mercato del lavoro seguendo le logiche del calciomercato, o meglio, quelle dello star system: contrattando direttamente la propria partecipazione ad ogni film come fecero i primi grandi divi di Hollywood, mettendo in crisi lo studio system esattamente come oggi sono in crisi i partiti. Il divismo, inteso sia come strategia di costruzione del personaggio che come tecnica durante la corsa alla Casa Bianca – ad esempio l'utilizzo di testimonials vip all'interno della forma videoclip – permea ogni mossa di Obama (almeno fino qui, e sarà interessante osservare cosa accadrà in futuro). Lo stesso rito d’insediamento è stato ripetuto, quasi come per averne un secondo ciak, in realtà per sicurezza e attenzione alla legalità... ma l’effetto prodotto dalla ripetizione è ridondante e metacomunicativo: come se la performance dinanzi ai 2 milioni di persone fosse troppo teatrale o troppo televisiva (anzi, sarebbe meglio dire troppo mediatica, pensando alla diffusione via web dell’evento) e ci fosse bisogno di un set più adeguato per recitare quel breve monologo che rimarrà nella storia. La realtà fa i conti con la propria rappresentazione, con la consapevolezza di voler sfuggire alla propria fugacità, e l’istinto di lasciare tracce indelebili. Si è detto divismo, ma è bene riflettere sulla natura di tale status o atteggiamento. Il divismo di Obama si declina in stretta relazione con i nuovi media e la comunicazione digitale. Non è un podio inarrivabile che lo innalza rendendolo visibile, ma irraggiungibile. Non è (solo) un palcoscenico protetto da una teca trasparente antiproiettile. È il sogno (da reality?) dell’uomo comune che conquista la fiducia del popolo. Nemmeno il solito slogan che lo definisce primo presidente afroamericano è abbastanza esaustivo per descriverne un’immagine a tutto tondo. Obama è figlio anche di una madre bianca americana, oltre che di un padre nato in Kenia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti incarna quella che è l’essenza del proprio paese: l’unione, piuttosto che l’esclusione. La capacità di osservare da molteplici punti di vista è il valore più innovativo di questo homo novus.

Giuliano da Empoli costruisce una narrazione ancorata ad alcuni frames ad effetto, che diventano di volta in volta chiavi di lettura per analizzare il fenomeno Obama, primo tra i quali il lancio del titolo, che ammicca a Facebook. In tempi di web 2.0 e di celebrità riconosciuta come valore assoluto dell’esistenza le grandi masse, oltre che di sogni, hanno bisogno di sentirsi in corsa per la vittoria. Devono partecipare, non solo come comparse, ma sentirsi coinvolte. Non solo spettatori, ma sostenitori. Facebook, oltre a servire per la logistica della campagna elettorale di Obama, è uno strumento appagante per il singolo individuo, che nell’utilizzare il mezzo vede sancita la propria partecipazione ad un grande progetto, ad una manifestazione di piazza senza fine, un evento che già mentre si svolge viene raccontato e si storicizza (si pensi al processo di autostoricizzazione teorizzato dall’artista contemporaneo Achille Cavellini). L’iscrizione al network è un urlo di presenza, il primo vagito di un’identità già esistente nella vita reale, ma al grado zero della celebrità: l’accesso nella rete del social network rappresenta invece già il primo passo verso un personale ingresso nell’arena. Ogni persona aggiunta alla lista degli amici è un ipotetico sostenitore, o comunque uno spettatore della propria vicenda biografica. Si diventa fan dei prodotti, su Facebook, costruendo la propria identità collezionando marchi, autodefinendosi attraverso loghi che colorano il nostro esistere “su Facebook” vestendolo di un abito simile alla maschera di Arlecchino.

E in effetti, oltre che gladiatori nell’arena, siamo maschere della commedia dell’arte in continua evoluzione, quando ci relazioniamo attraverso la mediazione del nostro “profilo” di Facebook. Siamo uno, nessuno e centomila versioni di noi stessi. In ogni caso siamo anche qualcosa di molto reale: dei target di consumo calcolabili con la massima precisione. Tutte le nostre tracce, indelebili, ci conducono da qualche parte, o conducono altri verso di noi per venderci qualcosa. Forse diventano un racconto che ci spiega cosa davvero desideriamo. Il presidente dell’era di internet (o almeno il primo ad essersene accorto) conosce molto bene sia i sogni dell’uomo contemporaneo che la comunicazione e l’ha utilizzata fin ora come strumento di supporto per la propria avventura politica. Se internet ne rappresenta il presente, l’editoria cartacea è il passato (ha diretto la Harvard Law Revue e pubblicato il romanzo autobiografico I sogni di mio padre) e il cinema, inevitabilemente, il futuro: nelle nostre menti di spettatori disinibiti stiamo già immaginando sequenze di un biopic ancora da girare.

TITOLO: Obama. La politica nell’era di Facebook; AUTORE: Giuliano da Empoli; EDITORE: Marsilio; ANNO: 2008; PAGINE: 159; PREZZO: 12,00 €

 


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