The Village si manifesta come esplicita allegoria di una società tendente all'isolamento per rifuggire il progresso e le paure che ne conseguono. L'impianto del racconto è assimilabile ad una favola nera per adulti, densa di atmosfere e angosce ataviche, in cui Shyamalan inserisce momenti di suspense e curiosità voyeuristica per ciò che ci è impedito percepire. Facile sarebbe dunque identificarsi con Ivy Walker (Bryce Dallas Howard), privata come noi della conoscenza visiva di ciò che suscita le nostre preoccupazioni e stimola il nostro sguardo a spingersi oltre il bosco. La sua diversità, come spesso risulta nella tradizione culturale relativa alla cecità, le permette di scorgere al di là delle parvenze e delle manifestazioni visibili del reale: tale carenza è per lei un vantaggio cognitivo che trascende le forme, per appropriarsi della sostanza ultima del mondo sensibile.
Quello di The Village, come già identificato nell'esaustivo titolo, è un mondo chiuso autodefinito, in cui i suoi protagonisti vivono consciamente reclusi, in ossequio alle leggi del consiglio degli anziani. Un universo da cui non è possibile fuggire se non a rischio di incontrare misteriose creature attratte dal colore rosso, evidente simbolo coloristico delle pulsioni incontrollate dell'animo umano e sfumatura legata evidentemente al sangue e alla maturazione sessuale. Esse costituiscono un monito a contenere le proprie aspirazioni di cognizione verso un altrove ignoto e corruttibile, la cui soglia non deve essere varcata, per non entrare in contatto con una realtà, in grado di ghermire chiunque ne venga a conoscenza. Ma come in ogni percorso di apprendimento, anche la nostra eroina si troverà, novella Dorothy, a dover superare il limitare del bosco e a seguire la sua strada di mattoni, per accedere a quel mondo tanto disprezzato e aborrito, ma in grado di fornire il sapere e gli strumenti necessari per la guarigione del proprio amato, suscitando la delusione o la conferma delle impressioni scaturite nello spettatore verso quel mondo ignoto.
Shyamalan costruisce progressivamente un racconto saturo di mistero, in cui si intrecciano le passioni e i sentimenti dei suoi protagonisti, nessi causali di uno sviluppo narrativo che rivela progressivamente le ipocrisie e le pulsioni represse di un'umanità imperfetta in quanto tale, come la propria utopia sociale, in cui è avvertibile un moralismo strisciante, manifestazione di una cultura puritana, affiorante in tutte le sue contraddizioni.
L'impianto narrativo potrebbe funzionare se non fosse gravato da una sensazione di maniera che tende a levigare una storia che parte da basi soprannaturali, come spesso avviene nei film del regista, per approdare, in questo caso, verso territori di veridicità vacillante e non sufficientemente plausibile, che svela troppo facilmente i propri intenti allegorici, frutto di uno sguardo apparentemente terzo di un paese, le cui basi e radici sono inquietantemente similari alla comunità qui raffigurata. The Village vorrebbe e potrebbe essere una metafora aggiornata degli U.S.A., delle loro persistenti ansie di conservazione dei propri principi sociali ed umani, per quanto gli esiti e i metodi appaiano spesso discutibili, ma il tentativo di trasfigurare l'universo chiuso del villaggio in un'utopia da rifuggire appare troppo dichiarato e forse inadeguato allo scopo.
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