Summer of Sam - Spike Lee PDF 
di Rita Rossella   

1. New York 1977 - La lunga estate calda...

L'estate di Sam che dà il titolo all'ultima (fino ad ora) opera di Spike Lee è quella newyorkese del 1977, in cui un caldo torrido strazia il sistema nervoso e il carattere degli abitanti della città. Un'estate non tanto diversa da quella del 1986, quando in un quartiere di Brooklyn si scontrarono abitanti neri e italiani in Fa' la cosa giusta.
In Summer of Sam non c'è più Brooklyn, ma il Bronx, abitato negli anni '70 da una prevalenza italo-americana: una comunità fatta di giovani coppie benestanti che la sera vanno a ballare e che ogni tanto si tradiscono, di bande di amici che si sentono i signori del quartiere, di poliziotti malvisti. E di un serial killer, che proprio quell'estate comincia a uccidere a caso, con una calibro 44. È un maniaco, ribattezzato dai media "Son of Sam", che uccide giovani donne brune e coppie di amanti nelle automobili in sosta: in breve tempo, nel quartiere si crea, anche grazie alle TV e ai giornali, la psicosi del serial killer, con la polizia che non sa da che parte cominciare e con la mafia locale che, disturbata nei propri affari, mette ufficiosamente una taglia sull'omicida.

Spike Lee ci racconta questa realtà.

2. Vie di fuga...

Il caldo, la voglia di arricchirsi e la vena di follia che serpeggia nella metropoli americana spingono tutti a cercare l'assassino.
Una banda lo identifica erroneamente in un "amico" punk. Parallelamente alla caccia all'uomo, si svolgono le vicende di questo gruppo allargato di "amici" in cui spiccano la vicenda d'amore tra Dionna (Mira Sorvino) e Vinny (John Leguizamo), parrucchiere e seduttore di periferia, testimone di uno dei delitti, che perciò crede di essere cercato dall'assassino, e lo strano legame tra il migliore amico di Vinny, Ritchie (Adrien Brody) e Ruby (Jennifer Esposito).

Ma non è il giallo a interessare Spike Lee. Del resto dell'assassino, David Berkowitz, mostrato già all'inizio del film, è nota l'identità da anni. A Spike Lee, regista politico fra gli ultimi del cinema americano, interessa piuttosto descrivere la "civiltà della TV", il ruolo dei media nella società (lui stesso appare come un intrattenitore televisivo dei più squallidi), gli anni '70, e soprattutto l'emarginazione.

Per farlo utilizza la cronaca nera, un potente corpo a corpo tra punk e disco music, una pluralità di voci da cui emergono quelle di due/tre coppie (la "regolare", Vinny-Dionna, la "diversa", Ritchie-Ruby, ma anche la "virile" Vinny-Ritchie), per mettere a fuoco il lato oscuro e psicopatico dell'America. Sapiente compositore di tensioni urbane, Lee si dimostra in questo Summer of Sam più spietato del solito. Messe tra parentesi l'innata eleganza dei suoi movimenti di macchina e le lezioni morali che accompagnano le sue storie, si immerge in un universo e in uno stile molto prossimi a quelli di Scorsese.
Ma non abbiamo un personaggio che fa delle scelte, cresce e ci prende per mano. Non abbiamo redenzione. Non abbiamo vie di fuga.

Nella mentalità ristretta degli italo-americani di Layton Avenue la paura e la vendetta si concentrano su Ritchie, il "diverso". È un punk-rocker nel periodo in cui impera la disco-music, si distingue dagli altri per linguaggio (ma le sfumature si perdono nel doppiaggio) e sensibilità, ha una sessualità ambigua, soprattutto lontana dal machismo ufficiale. Ogni elemento di Ritchie lo denota come "altra cosa". Il segno principale e più visibile sono i suoi capelli a ciocche, da punk. E basta disegnare le stesse ciocche sull'identikit dell'assassino per identificarlo in lui.

3. L'odio del branco

Un gruppo di personaggi, quelli di Summer of Sam, che sembra sempre più un branco, il cui luogo abituale di ritrovo è il fondo d'una via squallida, che muore tristemente pochi metri prima della spiaggia. Bene in vista, un cartello stradale avverte: dead end.
Le personalità che formano questo gruppo vengono sviscerate e messe a nudo in un vortice abilissimo di montaggio sui ritmi della disco di quegli anni - da "Psycho killer" dei Talking Heads a "Fernando" degli Abba, da "Won't get fooled again" degli Who a "Everybody dance" degli Chic, da "Baba O'Riley" ancora degli Who a "Dance with me" di Peter Brown - ed attraverso un adrenalinico itinerario per luoghi e culture del periodo (lo Studio 54, il mito di Travolta, la Bowery, il CBGB).

Corale come il già citato Fa' la cosa giusta, Summer of Sam muta il consueto contesto razziale delle opere precedenti di Spike Lee: per la prima volta da Lola Darling (1986) si parla di personaggi di pelle bianca, italiani o al più ispanici, persino il cane nella versione originale parla italo-americano e ha la voce di John Turturro.

Ma il tema è affine a molte altre delle sue opere. Dice lo stesso Spike Lee in un'intervista rilasciata all'uscita del film: "S.O.S. è una delle tredici storie che ho avuto la fortuna di poter raccontare e con i precedenti ha sicuramente in comune la questione della tolleranza. Se è vero che film come Fa' la cosa giusta, Jungle Fever, Malcom X parlavano direttamente del razzismo, qui vediamo all'opera un'altra forma di intolleranza".

Lo sfondo del racconto è il paradosso di uomini e donne che per vincere la paura e l'odio s'affidano a un'appartenenza di gruppo, violenta e arcaica, a sua volta carica di paura e odio. Lee ne osserva il campo totale. Così, davanti alla sua macchina da presa si scopre una sterminata massa anonima. Attorno al killer, le paure e gli odi di tutti crescono inesorabili, fino a trovare una meta e una "forma" ben definite. Conta il bisogno d'una vittima. Attorno alla sua sofferenza il gruppo rinsalda la sua identità vacillante. In fondo, é questo del capro espiatorio il meccanismo che, all'epoca di Fa' la cosa giusta, Lee aveva adombrato nella logica mortale del razzismo (era Radio Raheem, allora, la vittima designata). Tredici anni fa, quel film si chiudeva su un blocco: il bianco Sal e il nero Mookie si fronteggiavano in odio, impietriti. Non a caso, nella stessa immobilità "mortale" si chiude Summer of Sam. Dopo il linciaggio (fallito) di Ritchie, e a suo commento, Lee chiude il film tornando sul cartello che sta al fondo della via senza uscita: dead end....

4. Mean streets

Spike Lee mette in scena una complessa analisi sociale e psicologica. Tutto è cupo e notturno, impastato di vitalità e amarezza, con un occhio attentissimo a colori, gesti, slang.
Registrando in tempo reale il crescere della psicosi collettiva per la serpe assassina annidata nel quartiere, il plot, secondo una tecnica di accumulo e sintesi, indugia, scruta gesti, linguaggi e comportamenti. È un omaggio, sovraccarico di acida e cieca violenza, alle mean streets scorsesiane. È un gioco di incastri in un labirinto inestricabile costruito nella forma circolare prediletta da Spike Lee. Inizia e finisce come una allucinata favola, con un "cantastorie" a rassicurarci che forse tutto è passato, la grande mela ne ha subite di peggio ma in fondo in fondo è sempre lì come una mamma paziente che lascia sfogare i figli più irrequieti. Il serial killer è la valvola di sfogo per questi figli, ciò che dovrebbe riportare tutto all'ordine. Invece la struttura esplode, come un bolla sotto le sembianze normalizzate della superficie.

Emblematica la sequenza del litigio finale tra Leguizamo e la moglie, giocata sui nervi scoperti, la vibrazione dei gesti, l'usura ma anche la disperazione vera delle parole, al limite tra falsa e vera improvvisazione....

Un film crudo, forte, spietato, di grande tensione emotiva. Un film in cui la brutalità dei corpi e delle anime crea un delirante vortice in cui nessuno "fa la cosa giusta" in questa New York "del sangue, del vomito e delle lacrime..."

 


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