Il segmento e il flusso. Note sulla narrazione in Magnolia PDF 
Hamilton Santià   

1.
L’ambizione di PT Anderson, in Magnolia, è quella di scrivere una grande etnografia della decadenza della società americana. La San Fernando Valley è il luogo di questa nuova Hollywood Babilonia fatta di sineddoche, di proporzioni, di calcolo, virtuosismo ma anche di una scrittura forte ispirata sia al cinema della New Hollywood (Altman e Scorsese) sia alla letteratura polifonica di DeLillo e Pynchon, alla sperimentazione di Faulkner, al minimalismo di Carver. Storie veicolate con il mezzo televisivo: trait d’union che collega gli intrecci del film, scatola magica capace di distruggere la realtà per costruirne una “altra” governata dalle leggi dell’ironia (1). La televisione di Magnolia è il centro da cui si diramano le vie dell’esistenza – perfettamente simmetriche, capaci di generare un doppio speculare – dei protagonisti. Tutto gira attorno a due padri malati e con scheletri nell’armadio (Earl Partridge, Jimmy Gator) nei confronti dei loro figli (Claudia Gator, Frank TJ Mackey) con delle mogli che cercano di star loro accanto (Linda Partridge, Rose Gator) e i rispettivi “angeli custodi” (2) (Phil Parma, Jim Kurring) senza dimenticare i due ragazzi campioni del quiz a premi condotto da Gator (il giovane Stanley Spector e l’ex prodigio Donnie Smith) vessati dai genitori. È uno schema razionale che lascia intendere un certo rigore e una certa “normalità” nonosante i centri del film siano il caos dell’esistenza, il ruolo della scelta e come il destino influisce sulla vita. Credendo al destino si giustifica un Principio Superiore Regolatore. Nel Prologo, il narratore mette in discussione le stranezze del fato («accadono di continuo») e si avvia alla conclusione con la pioggia di rane che, oltre a suggerire l’interferenza divina, sembra quasi smentire l’assunto di partenza – non per nulla, il narratore sparisce dopo il Prologo – mettendo tutto e tutti sullo stesso piano. Forse è vero, come commenta Stanley, che cose del genere: "ogni tanto capitano", ma è indubbio che il richiamo biblico sottintenda il divino come “Regolatore” e, quindi, come destino. L’uomo di Magnolia non è artefice del proprio destino perché per quanto potente, buono e così via, ci sarà sempre un trascendente che regola e guida le cose. «But did it happen» recita una didascalia inquadrata per pochi secondi a casa di Claudia durante la pioggia di rane. Destino, uguaglianza, famiglia, morale. La pioggia determina il confine tra giusto e sbagliato, è un evento inspiegabile che tutti devono subire e riesce a purificare i sentimenti offrendo una sorta di “redenzione”. Il sorriso di Claudia su cui si chiude il film sembra quasi un dolce addio, così come la morte di Earl Partridge che libera l’uomo dal dolore o l’arrivo all’ospedale di Linda Partridge dopo il tentato suicidio. Il breve momento di quiete dopo la tempesta potrebbe però essere una nuova quiete prima della tempesta. Se le cose, ogni tanto, capitano, vuol dire che anche i comportamenti e le situazioni si ripetono: se una rana ha salvato Jimmy Gator dal tentato suicidio, questa non lo ha guarito dal cancro e non gli ha permesso di espiare il peccato commesso abusando della figlia. Se la stabilità va cercata nell’intervento divino, il ruolo dell’uomo è solo marginale. Per questo la redenzione è una lettura sì corretta ma parziale. Solo una parte di verità.

2.
Magnolia è strutturato in tre “parti” (che, semplificando, possiamo considerare come atti), un Prologo e un Epilogo. Il Prologo, un corpo indipendente che non c’entra niente con le storie del film, serve solo per introdurre il dubbio sul destino e le stranezze delle cose che “capitano di continuo” oltre a seminare indizi sul tema biblico finale. I personaggi sono presentati con una lunga sequenza che unisce rapide carrellate, movimenti di macchina, pianisequenza e stacchi improvvisi dove si vedono i protagonisti nel pieno della loro attività, dando per scontato il loro ruolo della storia. Possiamo quindi parlare del primo atto come di un atto “mancato”. Se nel primo atto avviene l’identificazione, vengono preparati i presupposti e gli obiettivi dell’azione, qui non c’è. Il primo personaggio ad entrare in scena, Frank TJ Mackey, non appare sullo schermo cinematografico ma in televisione. Il ruolo del piccolo schermo è fondamentale parlando di atto “mancato”. L’intrusione deliberata nell’universo narrativo del film segue le regole del flusso televisivo. Gli attori sono presi nell’azione, appaiono in divenire e non lanciano indizi sufficienti per stabilire i rapporti di causa. È un atto problematico e frammentato che non prevede inizio, svolgimento e fine. Anzi, se consideriamo l’Epilogo una “falsa fine”, una piccola parte di verità dedicata alla speranza, si potrebbe definire il film una struttura “aperta”: una specie di atto unico in continuo divenire che non inizia né finisce se non con la vita stessa. Non è solo la pioggia di rane ad accadere. Non sono solo le strane coincidenze a capitare di continuo. Anche le storie intrecciate di Magnolia – le storie “degenerate” nella Los Angeles dei valori corrotti – “accadono”. Non c’è niente di straordinario nella vita dei personaggi: per questo non c’è la necessità di un’impostazione in tre atti, per questo il film è un divenire colto in un momento qualunque. Noi non sappiamo come mai Earl Partridge è consumato dai rimorsi o cosa c’è dietro al guru del potere maschile Frank TJ Mackey. Non è però un caso che sia proprio il personaggio interpretato da Tom Cruise il primo a comparire sullo schermo televisivo dopo il Prologo. Se la televisione è il medium della quotidianità in grado di stabilire un contatto tramite il conosciuto, il volto del divo-Cruise diventa quasi la conditio sine qua non per stabilire un rapporto con lo spettatore. Accendendo la tv vediamo un volto conosciuto e non avvertiamo lo scarto. "Gli schermi televisivi continuano ad avere un importante ruolo nella creazione di una scorrevole continuità tra segmenti in gran parte del film" (3) anche se lo spettatore deve "fare uno sforzo maggiore che non con le convenzioni hollywoodiane per individuare la natura dei rapporti tra i personaggi delle diverse storie" (4). Il rapporto con il medium familiare diventa ironico (5) perché non siamo spettatori attivi, ci concentriamo sulla narrazione, mettiamo assieme gli indizi.

3.
Magnolia è un atto unico, un flusso “televisivo” potenzialmente infinito catturato tra Prologo e Epilogo. C’è però un nucleo da cui si generano e si intrecciano tutte le micro-storie che formano la Grande Narrazione di PT Anderson: la famiglia. Scrive David Bordwell: "Magnolia evokes pervasive father-child parallels by tracing the connections radiating out from the dying patriarch Earl Partridge and the TV show he produces. His wife’s mental health is collapsing, and his estranged son has become a Man Power guru. More remotely, a boy starring on Partridge’s quiz show is bullied by his father, while the show is hosted by a man with a cocain-abusing daughter. All these films show as well that network narratives centering on intimate and long-lasting relationships – those of freinds, lovers, family – may draw on converging-fates devices too" (6). Un grande ritratto della famiglia disfunzionale che ha smesso di essere “rifugio”, primo ammortizzatore sociale e "palcoscenico immortale della propria esistenza" (7) bensì "condizione sfavorevole che non offre più le garanzie di sopravvivere a chi l’ha creata" (8). La famiglia disfunzionale vive di conflitti, esprime mancanze. La natura cinica dei personaggi, mitigata dal buonsenso morale dei due “angeli”, è un centro di rapporti sul punto di esplodere: un’esplosione che diventa il vero evento scatenante del film. Claudia manda via suo padre urlandogli dietro, Donnie Smith è licenziato, Linda Partridge crolla, Frank TJ Mackey piange sul corpo del genitore morente. Sono tutti eventi scatenanti – disseminati lungo il film senza un filo logico come previsto dalla struttura in tre atti (9) – che sbrogliano la trama dei rapporti familiari. Non si arriva ad una conclusione. Le “porte” restano aperte (Earl Partridge muore. Jimmy Gator deve ancora aspettare una morte – che segue la morte televisiva: lo svenimento in diretta – che accade fuori dallo schermo, fuori onda, in differita) ma morendo il centro da cui sono partite tutte le storie, si può forse voltare pagina, chiudere un capitolo “della vita” per aprirne uno nuovo, non necessariamente migliore. "One of his abiding themes is the search for surrogate love among people who have been cut off for one reason or another from their real parents or children". Gli ex-bambini di Magnolia, vissuti in un contesto disfunzionale, cercano un simulacro d’amore per compensare le mancanze della famiglia. La cocaina per Claudia – dove ritorna quando pensa che Jim Kurring non si presenti all’appuntamento mentre, in realtà, ha solo perso la pistola in un incidente di lavoro (un momento morto che sottolinea sia il trascendente – il verme che ha commesso l’omicidio iniziale grazie al quale conosciamo il “ruolo” salvatore di Kurring – sia la temporanea perdita della virilità, momento tra l’altro anticipato dalla perdita del manganello mentre sta per bussare per la prima volta alla porta di Claudia) – l’apparecchio per i denti, di cui non ha bisogno, che Donnie Smith vede come mezzo per farsi notare dal barista di cui è innamorato, il potere sessuale e l’egocentrismo per Frank TJ Mackey. Il blackout arriva quando queste certezze sono messe in discussione e i ricordi riaffiorano. L’unica soluzione è la fuga. Anche le reazioni sono speculari. I tre gli ex-bambini fuggono per paura. "He presents over and over again the idea of the family home as a kind of poisoned Eden, a place that cannot be returned to but that marks its exiles for life" (10). Solo Stanley Spector rischia e prende in mano la sua vita, va dal padre e gli dice: "you had to be nicer to me". Del resto, Stanley è l’unico che accetta con serenità la pioggia di rane. Sollevato dall’ineluttabile, trova la forza per diventare soggetto attivo e reagire alle molestie psicologiche. Resta, non fugge.

4.
Alcuni momenti principali di Magnolia sono evidenziati dalla musica. Le composizioni di Jon Brion sono protagoniste extradiegetiche. Invadono la scena, spesso a volume molto alto, coprendo la voce dei protagonisti e fanno da raccordo. Ma non incidono sulla “scrittura” come le canzoni di Aimee Mann. Come si legge in un’intervista sul Guardian: "Magnolia came out of Aimee Mann's songs, which I was listening to at the time I was starting to write. I had her two solo albums and a lot of her demos, because she's a friend, and I think the tone she gets is really beautiful. So I thought about using them as a basis, or as inspiration for the film". (11). Non a caso, quattro momenti fondamentali del film sono accompagnati da canzoni di Aimee Mann. "Indeed, certain lines of dialogue in Magnolia come directly from Mann's songs, including Now that you've met me, would you object if you never saw me again? which is the crux of one thread of the narrative. And towards the finale, Anderson lays Mann's Wise Up on the soundtrack and cuts all across the San Fernando Valley to his different characters, who all dreamily sing along with a line each from the song. It should be a ridiculous moment, but it's the emotional high point of the movie, capable of reducing entire rows of filmgoers to tears" (12). L’attinenza tra il testo e quello che ci viene mostrato è strettissima. "One is the loneliest number that you'll ever do. Two can be as bad as one, it's the loneliest number since the number one" (One). Dopo il narratore, un nuovo racconto extradiegetico. Aimee Mann ci informa che Magnolia è un continuo incontro di solitudini e che i rapporti non sono automaticamente migliori della solitudine. Anderson usa la canzone in modo canonico, diversamente da Momentum. Entrata in scena in punta di piedi, come “normale” sottofondo extradiegetico, la canzone viene sparata a tutto volume quando Kurring esce dall’auto: la musica entra nella finzione narrativa invadendo il campo, lo satura e diventa un motivo assordante. Momentum non è solo la canzone del loro primo incontro, ma sembra scritta su misura per Claudia. "I've allowed my fears to get larger than life. I can't bring myself to set the scene. I can't confront the doubts I have. I can't admit that maybe the past was bad". È il grido d’aiuto raccolto dall’angelo salvatore che, entrando nell’appartamento per fare una multa, si trasforma e si innamora della ragazza da salvare. Come si sente nei versi di Save Me che chiudono il film: "You look like a perfect fit. For a girl in need of a tourniquet. If you could save me. From the ranks of the freaks. Who suspect they could never love anyone". Save Me e Momentum sono delle sineddoche dell’intreccio di rapporti del film. Rafforzano e potenziano la scrittura di Anderson. È una convergenza di linguaggio narrativo, cinematografico e musicale che veicola perfettamente il messaggio del film e lascia quel senso di indeterminato, quel velo di incertezza finale. Controversa la sequenza di Wise Up, invece. Mondella scrive: "Il verso ricorrente dice che nella vita ci può essere una seconda occasione per tutti alla quale aggrapparsi. È da questo momento che i nove dannati della saga andersoniana trovano la forza ed il coraggio di agire, nel bene o nel male, di diventare artefici del proprio destino" (13), Per King: "C’è una logica compositiva […] che segna un punto particolare di sviluppo emotivo di ciascuna storia, ma l’artifizio va oltre i limiti di una semplice esigenza". Wise Up rappresenta un punto di morto: persone che cantano tutte assieme, nello stesso istante, la stessa canzone. Apparentemente inutile. Ma, in realtà, diventa momento scatenante: finisce di piovere – quiete prima della pioggia di rane – i personaggi hanno l’occasione di “fare” qualcosa. La canzone è fuori dal film ma il testo diventa dialogico. I protagonisti non sentono Wise Up, ma la recitano come una preghiera, una richiesta d’aiuto lanciata verso il nulla. "It's not what you thought. When you first began it. You got what you want. Now you can hardly stand it though. By now you know. It's not going to stop 'til you wise up". La voce di Aimee Mann accompagna la narrazione, diventa un’altra “voce narrante” che si aggiunge a quella del primo anonimo narratore e a quella di Jim Kurring.

5.
L’affinità della pellicola con il linguaggio narrativo porta a fare un paio di considerazioni sull’influenza della letteratura nella scrittura di PT Anderson. Il primo riferimento è Carver. Magnolia, ispirandosi a Short Cuts di Altman, ne ricalca anche la struttura (storie che si intrecciano attorno a un nucleo e un filo conduttore, la attesa di un evento trascendente). Il soggetto è tratto da racconti e poesie dello scrittore minimalista. Le storie di Magnolia sono scritte secondo questa corrente letteraria: attenzione quasi ossessiva al dettaglio, tratteggio puntiglioso di emozioni e micro-reazioni, assenza di una “grande storia” che guidi l’Eroe da un punto A a un punto B. I personaggi di Magnolia sono everymen bloccati in situazioni comuni. È, pur con qualche forzatura, un ritratto quantomeno credibile della vita di tutti i giorni nella babele di valori degenerati di Los Angeles. Ma c’è altro: se sommiamo le varie storie, si crea un intreccio sfaccettato e multiforme. Come narrazione in divenire, flusso “catturato” in un particolare segmento, il film ricorda l’opera polifonica e dispersiva di DeLillo e Pynchon. Dalla “nube tossica” di White Noise al missile di Gravity’s Rainbow, l’attesa per l’ineluttabile, per lo “straordinario” in reazione all’”ordinario” è elemento comune che Anderson ha mutuato sia nei fatti, sia nella sensibilità. I protagonisti aspettano la rivelazione del trascendente, hanno bisogno di una spinta per reagire o per essere finalmente consapevoli. Aspettano una direzione, uno scopo, un ruolo nella Storia. Non ultimo il discorso sui narratori. Il film presenta tre voci narranti incoerenti, inaffidabili e parziali. C’è la voce sconosciuta che narra il Prologo, che prende posizione ma non resta nella finzione narrativa rivolgendosi direttamente allo spettatore rivelando il suo ruolo: "and it is in the humble opinion of this narrator". C’è Aimee Mann che, con i suoi testi, accompagna e rafforza le immagini e i dialoghi. E, infine, c’è Jim Kurring e il suo “entrare” ed “uscire” dalla narrazione in prima persona. Ultimo ad entrare in scena, il poliziotto diventa un io narrante parlando della sua professione ad alta voce mentre sta guidando, completamente solo. Quella che ci racconta è la sua storia, la sua verità e quando ritorna a narrare, alla fine del film, ci racconta la sua morale, valida per tutti i personaggi, quasi un significato ultimo per il film: "You can forgive someone. Well, that's the tough part. What can we forgive?". Jim Kurring diventa la redenzione, diventa quella figura di angelo salvatore che insegue per tutto il film non limitandosi solo a Claudia ma a tutti gli altri.

Note:
(1) Cfr. DF Wallace, E unibus pluram. Gli scrittori americani e la televisione in Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più, 1999, minimum fax, Roma
(2) Cfr. D Mondella, Piovono rane dal cielo, 2008, Il Foglio, Piombino
(3) Cfr. G King, Il cinema indipendente americano, 2006, Einaudi, Torino, p. 118
(4) ivi., p. 117
(5) Cfr. DF Wallace, op. cit.
(6) Cfr. D Bordwell, The way Hollywood Tells It. Story and style in modern movies, 2006, University of California Press, Berkeley, p. 100
(7) Cfr. Z Bauman, La solitudine del cittadino globale, 2000, Feltrinelli, Milano, p. 44
(8) ivi., p. 48
(9) Cfr. S Field, Screenplay, 1984, Dell, New York
(10) Cfr. JF Mayshark, Post-Pop Cinema, 2007, Praeger, Westport, p. 70
(11) Cfr.. http://www.guardian.co.uk/film/2000/mar/10/culture.features
(12) ivi.
(13) Cfr. D Mondella, op. cit., p. 131

 


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