The Christening: a Isola Cinema il thriller famigliare del polacco Wrona PDF 
Piervittorio Vitori   

È una bella mattina di giugno, e il giovane regista polacco Marcin Wrona è seduto ad un tavolino di un bar in piazza Manzioli, centro di Isola e fulcro, in virtù delle proiezioni serali all’aperto, del festival internazionale Kino Otok – Isola Cinema (www.isolacinema.org). È un bel posto per incontrare le persone, non è affollato, puoi parlare… è questo il bello delle piccole manifestazioni, perché nei festival maggiori vedi tutti ma è come non vedere nessuno. Qui invece puoi prenderti il tuo tempo, chiacchierare in tranquillità. Sul piano dell’atmosfera, insomma, l’evento che per la 7° volta ha avuto luogo nella cittadina del litorale sloveno (8-12 giugno) pare aver nuovamente vinto la scommessa. Al termine di cinque giorni benedetti da un sole di cui alla vigilia si temeva l’assenza, gli organizzatori possono senz’altro dirsi soddisfatti del bilancio complessivo, soprattutto per quanto riguarda l’incremento del pubblico presente alle proiezioni. Il festival era partito nel segno di alcuni ritorni al passato (quanto a composizione dello staff e a collocazione nel calendario, dopo due edizioni settembrine) e di almeno un’importante novità: la rinuncia al concorso. La volontà di accentuare il carattere “amichevole” della manifestazione e la diminuita necessità di portare l’attenzione dei distributori sloveni verso titoli non mainstream hanno infatti indotto la direzione ad eliminare il carattere competitivo della sezione “Vendemmia”. Non ne hanno risentito né la qualità media dei titoli visti né la partecipazione degli ospiti, tra i quali i “nostri” Piergiorgio Gay (Niente paura, proposto nella serata d’apertura, è stato molto apprezzato da un pubblico che ha rilevato notevoli analogie tra l’attuale situazione italiana e quella slovena) e Michelangelo Frammartino (con Le quattro volte all’interno della “Vendemmia”). La contemporanea retrospettiva lubianese su Eric Rohmer ha dato modo al festival di proporre il classico Pauline alla spiaggia, accompagnato dalla protagonista Amanda Langlet. Volendo poi scegliere tre titoli, pescando dalle diverse sezioni, per un podio ideale, ecco l’hongkonghese Pang Ho-Cheung, con quel Love in a Puff passato anche al FEFF di Udine; Headshots, un originale ritratto femminile di ambientazione berlinese firmato dal texano Lawrence Tooley – dimostratosi, oltre che buon regista, anche gagliardo calciatore e ottimo dj –, che peraltro sarà presente con la sua pellicola martedì 21 giugno al PesaroFilmFest; infine, per l’appunto, The Christening di Wrona.

L’opera seconda del 38enne regista – il lungo di debutto era quel My Flesh My Blood presentato nel 2009 al Festival di Roma – è incentrata sulle figure maschili di Michal e Janek: amici dall’epoca dell’adolescenza (quando il primo aveva salvato la vita al secondo), i due si ritrovano ad anni di distanza. Mentre Janek, abbandonato l’esercito, pare privo di prospettive, Michal sembra realizzato su tutti i fronti: azienda avviata, moglie giovane e bella, bambino prossimo al battesimo (da qui il titolo): ma le cose non sono come sembrano… Se è vero che il cinema di genere, nelle sue migliori espressioni, utilizza il plot principalmente come veicolo per proporre istanze sociali e/o psicologiche, The Christening non fa eccezione, visto che la sua cornice da thriller porta lo spettatore nei meandri di una serie di rapporti che investono sia la sfera amicale che quella famigliare. L’importanza di quest’ultima, in particolare, emerge chiaramente già dal racconto che il regista fa dei suoi inizi: da bambino passavo molto tempo a guardare film, avendo trascorso buona parte della mia infanzia da solo: mia madre lavorava e mio padre era sempre via. Lui era una sorta di ipnotizzatore, di mesmerista, aveva il potere di guarire le persone con l’imposizione delle mani. E io trovavo molto strano l’avere un padre capace di guarire degli estranei mentre al contempo non era in grado di ‘curare’ le relazioni interne alla nostra famiglia. Ed era bizzarro, il mondo del mesmerismo, questi strani poteri… Probabilmente mi ha portato a sviluppare un’idea particolare di me, come se mi trovassi ad essere il personaggio di un film di Tim Burton o di Terry Gilliam, dove tutto può succedere. Quello che poi successe, in realtà, è che questo peculiare rapporto padre-figlio divenne il soggetto del primo exploit del regista, il cortometraggio del 2002 Magnet Man: fu il mio primo successo, anche se non in termini commerciali: ottenne delle buone recensioni e divenne piuttosto famoso in Polonia dopo aver vinto un premio al Tribeca Film Festival.

Al tempo Wrona si era già laureato in Teoria del cinema (Fui quello che passò gli esami con i voti migliori, e lo presi come una prova del fatto che non ero poi così male…); poi vennero la scuola di cinema “Andrzej Wajda” e quindi il Binger Film Institute di Amsterdam: sono convinto che padroneggiare gli strumenti sia molto importante, ci sono molte cose che devi imparare prima di poter salire sul set, è una responsabilità. Questa almeno è la mia prospettiva: come regista ho studiato molto, ho frequentato diverse scuole di cinema, ma adesso, al momento delle riprese, mi sento sicuro. So cosa significa il mettere la macchina da presa in un punto piuttosto che in un altro. Una delle conseguenze di questa consapevolezza è che utilizzare due volte la stessa storia non significa automaticamente girare due volte lo stesso film: alla scuola di cinema ‘Andrzej Wajda’, che è sostanzialmente un programma per lo sviluppo di sceneggiature, conobbi quelli che sarebbero diventati gli autori dello script di The Christening. Ci ritrovammo a lavorare a due progetti diversi tratti dalla medesima vicenda, realmente accaduta: quella di un uomo che, conscio di essere in pericolo, decide di ‘dare’ la sua famiglia ad un altro. Quindi io scrissi My Flesh My Blood insieme ad altri due sceneggiatori: uno di loro era impegnato anche con The Christening, e per questo i due plot sono così simili. In realtà My Flesh My Blood interseca tre diverse storie, e The Christening riprende una di queste, ampliandola, perché ritenemmo che avesse in sé un potenziale maggiore di quello che avevamo utilizzato nel primo film. Così, quando iniziammo a girare The Christening, ero conscio di avere in mano una storia solida, fortemente basata sui personaggi e per la quale non avrei avuto bisogno di niente di particolare, in termini di masse, panoramiche… Si tratta semplicemente di tre persone coinvolte in relazioni traumatiche, con una quarta che funge da elemento di tensione, come fosse il diavolo che bussa alla porta.

Parlando del diavolo, non sfugge come il film sia disseminato di rimandi al cattolicesimo e alla sua iconografia: non è la componente principale, ma certo, provenendo da una società profondamente religiosa, non possiamo sfuggire a questo contesto. D’altra parte, la Bibbia offre delle storie straordinarie, ci trovi di tutto. Puoi trarne molte ispirazioni, ed è quello che ho fatto io: credo che tutto questo aggiunga significato al film, permettendo al pubblico di leggerlo su livelli diversi. Diversi anche gli accostamenti ad altri titoli, più o meno nobili, di cui il film è stato fatto oggetto: in particolare, parlando delle dinamiche relazionali che si innescano tra i personaggi, possono venire in mente Non desiderare la donna d’altri e Dopo il matrimonio, entrambi della danese Susanne Bier. La cosa non turba Wrona, convinto che quello delle storie potenzialmente raccontabili sia un numero finito. L’importante è come le racconti. Ed infatti il regista ha in mente di riciclare la stessa vicenda ancora una volta: sarà la terza parte di questa trilogia, sempre sul tema della famiglia e del come proteggerla. E in questo caso la protagonista sarà una donna, perché mi interessa affrontare la storia da un punto di vista femminile.

Forse non è un caso, visto che – confessa il regista – The Christening ha fatto storcere il naso a quanti hanno ritenuto la figura femminile (la moglie di Michal) eccessivamente subordinata rispetto a quelle maschili: posso capirli, ma va tenuto conto del contesto sociale, che è quello di un ambiente criminale e violento, quindi molto maschile. Comunque, a parte queste critiche, il film ha ottenuto un’accoglienza anche superiore alle mie aspettative: ha ottenuto buone recensioni, ha guadagnato 70.000 euro al botteghino ed è stato venduto in quattro o cinque nazioni europee e in Messico. Aggiungendo a questo i premi vinti in patria e la circuitazione in molti festival internazionali – San Sebastian, Toronto, Reykyavik, Hong Kong, solo per citarne alcuni –, si potrà capire l’interesse di Hollywood per un remake: è vero, c’è un’agenzia statunitense interessata ad acquistarne i diritti. Però non è ancora detto che il film si faccia: stanno cercando dei potenziali produttori, pensano a Cronenberg per la regia, a dei nomi noti per il cast… Credo che mi piacerebbe essere coinvolto direttamente nel progetto, ma stiamo parlando di un sistema nel quale si riesce ad entrare con molta fatica. E comunque prendi Michael Haneke: ha girato due volte Funny Games, e trovo che la versione europea sia molto più interessante di quella americana…

 


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