Brazil PDF 
Fabio Fulfaro   

Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.
(George Orwell, 1984)

Brazil rappresenta davvero la summa della poetica di Terry Gilliam e del suo smisurato talento visionario: ispirato dalle atmosfere retrò di Blade Runner e dalle pre-visioni di Orwell nel suo 1984, in realtà il film imbocca presto la strada del dissidio tra realtà cupa (atmosfere dark modello Gotham City di Batman) e fantasia sfrenata (il sogno d'amore del protagonista con volo da moderno Icaro). L'idea di partenza del film è quantomeno singolare: Terry Gilliam si trovava in Galles presso la cittadina post industriale di Port Talbot, avvolto da fumi neri, su una spiaggia color catrame. In questo deserto nero si sentiva  una musica provenire da una radiolina: erano ritmi sudamericani, per la precisione la canzone Aquarela do Brasil di Ary Barroso. Questo contrasto tra musica e paesaggio post atomico aveva fatto scattare nella mente del regista il contrasto tra una realtà opprimente e il desiderio di fuga.

Dopo le prove di Jabberwocky (1977) e Time Bandits (1981), che ancora avevano evidenti influenze dell'esperienza dei Monthy Python, Brazil rappresenta una decisa virata  di Terry Gilliam verso la deformazione grottesca, l'atmosfera surreale, impregnata della lucida follia dei diversi sistemi di potere che controllano le nostre vite. La volontà del regista è di parlare del futuro in chiave passata, con una dissociazione tra progresso tecnologico sempre più sofisticato e regime totalitario modello nazionalsocialismo tedesco anni Tranta. Il protagonista Sam Laurie (un perfetto Jonathan Pryce, la parte è stata apposta disegnata per lui) impiegato “senza qualità” presso il Ministero dell'Informazione, si rifugia in un mondo di sogno dove, dotato di un paio di ali e di un armatura alla San Giorgio, vola a incontrare una donna bellissima e misteriosa. Sam non ha ambizioni, non vuole fare carriera, non sopporta l'invadenza della madre e le sue raccomandazioni, accetta il rapporto di dipendenza con il surrogato del padre Mr Kurtzmann e sopravvive a questo mondo opprimente grazie alla  fantasia e all'immaginazione (guardate i poster delle dive del cinema sulle pareti della sua stanza). Il problema per Sam nasce nel momento in cui il mondo della realtà e quello della fantasia sembrano trovare un punto di contatto nella comparsa (in vari riflessi di specchi o negli onnipresenti monitor) della bella Jill (interpretata da una deludente Kim Griest). Da quel momento in poi i sogni cominciano a trasformarsi in incubi: la verticalità di grattacieli opprimenti sorge improvvisa in quel mondo apparentemente incontaminato oscurando ogni luce; figure materne e paterne si alternano come visioni di un tunnel dell'orrore completando il fenomeno di depersonalizzazione. Gilliam tende a sdoppiare le due figure genitoriali proprio per suggerire un Super Io opprimente che schiaccia il povero Sam nella sua stretta prigione (le visioni a grandangolo da altezze spropositate sottolineano la deformazione grottesca e surreale dovuta a qusto contrasto di pulsioni): la madre, intervento chirurgico dopo intervento chirurgico, perde la propria identità fisica e alla fine il suo aspetto ricorderà le sembianze di Jill, la donna amata da Sam. Poi c'è la figura paterna, che è sostituita da Mr Kurtzmann (il capo inetto perfettamente inserito nella mediocrità di un sistema che premia gli allineati e coperti) e da Helpmann (il grande vecchio boss amico della madre, travestito guarda caso proprio da Babbo Natale). Questo sdoppiamento moltiplica la carica di frustrazione di Sam che risponde all'autorità con il rifiuto delle responsabilità, la mancanza di ambizione carrieristica e la fuga in un mondo fatto di cinema classico (scorrono le immagini di Casablanca e dei fratelli Marx), sogni di Samurai (un omaggio esplicito a Kurosawa) e voli pindarici verso paradisi perduti. Proprio nel momento in cui Sam decide di modificare la realtà esistente per aiutare Jill, il sistema gli si rivolta contro, prima isolandolo, poi eliminandolo.

In un mondo dove il guasto del condizionatore mette in moto una sorta di bizzarro duello tra i “riparatori” ufficiali (capeggiati da un terribile Bob Hopkins) e il rivoluzionario Bob De Niro (che vola da un grattacielo all'altro per riparazioni a scopo eversivo, sottolineando le inefficienze del sistema), l'esito finale è l'invasione della propria cella quotidiana da parte di migliaia di tubi proliferanti in maniera incontrollata, quasi a sottolineare una vendetta da parte di quelle comodità della tecnologia di cui usufriamo nella nostra vita quotidiana. In una società in cui un assegno di rimborso diventa un problema insolubile e in cui ogni movimento prevede la compilazione di un modulo, le classi dirigenti e apicali sono tutte composte da persone mediocri, vigliacche, servili, che utilizzano le persone di talento come Sam per fare fronte alla loro inadeguatezza di fronte a un ruolo che non meritano. Sam, tuffandosi nella realtà alla ricerca del suo sogno, si scontrerà con il dolore e la sofferenza inferta da quel sistema che lui stesso rappresenta. I suoi sogni si popoleranno di sensi di colpa rappresentati dalle ombre oscure dei personaggi del mondo reale (i torturatori con le maschere da bambini, la madre, Mr Kurtzmann, la vedova Buttle), e non a caso quando toglierà la maschera al Samurai scoprirà con orrore il proprio viso, evidenziando il fatto che lo stesso Sam, proprio per il posto che occupa nella gerarchia sociale, deve essere considerato un complice del sistema e non può considerarsi assolto.

“La verità vi renderà liberi”. La frase che si legge in un monumento esposto in bella mostra nell'avveniristica piazza della città suona in maniera sinistra: un governo che controlla tutto e tutti attraverso i mezzi di informazione, attraverso le telecamere e la gestione delle informazioni sulla vita privata deve fabbricare l'illusorio simulacro di un valore che non esiste. I continui messaggi pubblicitari disseminati dal regista in ogni inquadratura indicano al cittadino  medio borghese la via della salvezza: quella del consumo e della salvaguardia dell'istituto familiare. Al contrario, l'occultamento sistematico della verità rende il cittadino schiavo del sistema che lo governa. Le inquadrature di Gilliam riflettono la ricerca maniacale del particolare: qualche critico ha citato i quadri di Bosch e di Bruegel, nei quali ogni centimetro di tela sembra volere narrare una storia; qualcun altro ha scomodato Dalì e Ernst e la presenza di tubature, fili, cavi è stata paragonata alle stampelle e agli orologi squagliati. In realtà il perenne rischio di Gilliam è quello di fermarsi troppo spesso sul particolare, di imboccare continuamente vie collaterali e di conseguenza  perdere totalmente le redini della storia che  sta raccontando. A onor del vero sia in Brazil che in Twelve Monkey Gilliam non solo riesce a restare accanto ai suoi personaggi, trasferendo loro la sua visione della vita, ma nel corso del film fa acquisire loro una consapevolezza sempre crescente che li porta a dubitare scientificamente di ciò che vedono, nella certezza che esiste un mondo che appare ma non è, e uno che è ma non appare. Il contrasto tra l'eccessiva sensibilità e autoanalisi di Sam e la follia predeterminata del mondo porta a una dissociazione irreversibile che niente ha a che vedere con la comicità irriverente e cinica dei Monthy Python. L'amarezza per l'irreversibilità di ciò che si osserva  porta prima alla ribellione eversiva, poi alla rassegnata catatonia di due occhi morti che si sono stancati di essere spettatori dell'orrore e preferiscono spegnersi.

Quando si parla di Brazil, si cita spesso Fellini. Lo stesso Gilliam avrebbe voluto intitolare il film 8 e ½, e durante il film ci sono una serie di omaggi evidenti: le suorine, le marcette del capo e dei suoi sottoposti per i corridoi del Ministero, il refrain della canzocina brasiliana che ricorre per tutto il film, i sogni intercorrenti, le deformazioni corporee. Eppure le diversità artistiche sono molto evidenti: lo sguardo sulla figura femminile in Gilliam è molto superficiale e il senso di decadenza e di morte è più ipertrofizzato in Fellini. L'americano ha bisogno di grandagolizzare, di riprendere dal basso o dall'alto, di zoomare o di carrellare all'indietro, di posizionare la macchina da presa su prospettive impossibili, all'italiano basta un piano sequenza, dei dialoghi intensi  o un campo/controcampo perchè già la sua messa in scena è ricca di senso. In tutti e due rimane tuttavia costante la deriva verso il surreale, verso la caricatura fumettistica. L'atmosfera surreale investe ogni inquadratura in Brazil: gli enormi corridoi del Palazzo del Ministero, le condutture e i tubi ipertrofici che sembrano invadere gli ambienti interni come arterie e visceri cavi (immagine molto cronenberghiana), la presenza ossessiva delle telecamere e delle televisioni, la violenza fascista della polizia (con annesse torture), il controllo dell'informazione e l'esasperazione della burocrazia, i corpi ridotti a esiti infausti di chirurgia estetica sperimentale. Già nel 1984 Terry Gilliam prevedeva alcune delle degenerazioni di una società tutta proiettata verso se stessa, incancrenita nel proprio egocentrismo, inaridita in false prospettive di successo, sgretolata dalla mancanza di una generazione più vecchia che potesse farle da punto di riferimento morale e culturale. Gilliam cita spesso Pasolini tra i suoi cineasti preferiti e la sua condanna alla società contemporanea (americana in particolare), pur se nella forma segue strade diverse, nella sostanza richiama il pasoliniano “cannibalismo della società dei consumi”. Non dimentichiamo l'esilio volontario di Gilliam in Europa (l'Inghilterra e l'Italia sono i suoi due paesi preferiti) e le continua lotta contro il sistema di potere Hollywoodiano (ogni film di Gilliam è una via crucis di azioni legali e problemi organizzativi, basti pensare allo sfortunato progetto su Don Chisciotte) che mal sopporta le deviazioni autoriali dei suoi figli degeneri, spesso minacciati di non essere più messi nella condizione di poter fare film (è successo anche questo, durante la lavorazone di The Brothers Grimm).

Il finale del film, imposto da Gilliam alla produzione (che invece ne voleva uno alternativo, lieto alla Blade Runner pre-director's cut), sancisce la necessità della morte per poter davvero affermare il trionfo dell'immaginazione su un mondo di tipo orwelliano, caratterizzato dal totalitarismo, dalla falsificazione, dalla perdita di memoria storica indotta dai mezzi di informazione, dalla corruzione del linguaggio, dall'annullamento dell'identità individuale. Un mondo corrotto dove, come dice profeticamente Orwell, “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza”. A futura memoria, perchè la memoria ha un futuro.

TITOLO ORIGINALE: Brazil; REGIA: Terry Gilliam; SCENEGGIATURA: Terry Gilliam,  Charles McKeown, Tom Stoppard; FOTOGRAFIA: Roger Pratt; MONTAGGIO: Julián  Doyle; MUSICA: Michael  Kamen; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 1985; DURATA: 142 min.

 


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