Lo sguardo quasi assente di Ryan Gosling (il giovane avvocato presuntuoso de Il caso Thomas Crawford), sulle note della colonna sonora composta dal Mike Patton ex leader dei Faith No More, è un po’ il manifesto di questo dramma poliziesco dalle forti tinte sociali, diretto da Derek Cianfrance (il cui precedente lungometraggio Blue Valentine ha fruttato a Michelle Williams una nomination all’Oscar).
Luke Glanton (Gosling) è un motociclista-stuntman circense che sbarca il lunario con i suoi spettacoli in sella, che fanno impazzire le ragazzine e conquistano Romina (Eva Mendes), cameriera con la quale avrà un figlio. Gli spettacoli non bastano più per poter tirare avanti, così Luke si ricicla come rapinatore, su consiglio del suo “amico” Robin (Ben Mendhelson, l’eroinomane psicopatico di Cogan - Killing them softly). Si troverà davanti Avery Cross (quel Bradley Cooper che deve la sua popolarità alla saga di Una notte da leoni), prima poliziotto e poi politicante, in uno scontro che si protrarrà su base generazionale (i figli di Avery e Luke si ritroveranno davanti a distanza di anni). Fanno da contorno alla storia personaggi come il corrotto detective Deluca (Ray Liotta) e la disincantata mogliettina di Avery (qui interpretata da Greta Gerwig), tutti caratteri che non tolgono la ribalta ai protagonisti: il bandito e il poliziotto. Due ruoli eternamente presenti nella cinematografia a stelle e strisce, ma che in questo caso non sono la solita manifestazione del manicheismo (o finto tale), ma gli agenti di una sorta di esperimento basato sulla trasposizione nuda e cruda delle vicende di due mondi che si incrociano, quello della vita difficile del criminale di estrazione sottoproletaria e quello dell’arrivismo teso al raggiungimento del potere del falso-eroe, prima soldatino dell’ordine pubblico e poi aspirante occupatore della sala dei bottoni, contraddistinto da una insana e infame brama di potere.
Cianfrance da una ulteriore prova di come si possano travalicare i confini del conformismo della cinematografia di maniera (già in Blue Valentine, con i suoi spaccati di vita e di sentimentalismo, sembrava non essere mai banale, né patetico), associando a questo modo così ancorato alla realtà di esporre una storia una certa vena di surreale epicità ai suoi personaggi, che lasciano allo spettatore perle come “darò a mio figlio il gelato per la prima volta, così ogni volta che ne mangerà si ricorderà della mia faccia”, frasi che rendono al meglio il desiderio di ognuno di noi di restare nel tempo oltre la propria vita, anche se solo nei ricordi dei figli. La fotografia (a cura di Sean Bobbitt), insiste sul risalto del paesaggio, su toni ora cupi, ora accesi, con alcune scene al limite della sovraesposto, dando così all’opera un ulteriore carica emotiva, semmai ce ne fosse bisogno. All’interno di un montaggio che lascia invariata la tensione iniziale per tutta la durata la pellicola, i contenuti non piovono mai addosso a chi segue questo “affresco sociale”, ma sono dosati con scrupolo per fare in modo che la riflessione fluisca progressivamente e solidalmente alla trama. Una bella scommessa, quella di provare ad aprire un nuovo fronte nel cinema sociale a sfondo drammatico (cosa che è già riuscita a Darren Aronofsky col suo The Wrestler), specie se al centro della storia si piazzano una moto e la pistola di un poliziotto. Mission accomplished.
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