Nel 1949, Osamu Tezuka, il "dio dei manga", ispirandosi alla locandina del capolavoro espressionista di Fritz Lang Metropolis (che in realtà non vide mai), creò un fumetto dallo stesso titolo, che, insieme a The Lost World (1948) e a Kurobeki Sekai (1951), costituì la cosiddetta trilogia futuristica del fumettista giapponese. A distanza di più di cinquant'anni entrambe queste due opere, il film e il fumetto, vengono riprese da Rintaro e Katsuhiro Otomo, rispettivamente regista e sceneggiatore di questo straordinario lungometraggio d'animazione.
La trama corre sulla falsariga del cult movie di Lang, affrontando il tema sempre attuale del rapporto uomo-robot e l'utopica idea della loro convivenza in una futura società evoluta e robotizzata, ma fortemente corrotta e infelice. Metropolis è infatti una megalopoli apparentemente pacifica e perfettamente organizzata, che cela invece un mondo diviso tra chi sta alla luce e chi è forzato all'oscurità, metafora della separazione tra le classi sociali. Ma non solo: cela anche uno Stato corrotto e un capo assetato di potere che commissiona la costruzione di un androide talmente potente da essere destinato alla conquista del mondo. Come nell'opera cinematografica originale, l'automa perfetto ha le sembianze femminili di una bambina, Tima, che, ignara di tutto, si comporta da perfetto essere umano, innamorandosi addirittura di Kenichi, il ragazzino che l'ha salvata durante un incendio nel laboratorio dov'era stata creata. Tima è senza dubbio il personaggio-chiave dell'opera, in quanto costituisce l'ago della bilancia tra i buoni sentimenti e la sete di potere, l'umano e il robotico, il cuore e la mente; il suo straziante interrogativo, "Chi sono io?", rappresenta la ricerca di un'anima che lei non riesce a trovare in se stessa e che forse l'intera città non possiede più. Il film ci accompagna in una corsa contro il tempo che si rivela poi essere soprattutto un percorso alla scoperta di se stessi.
Tutti i personaggi di Metropolis costituiscono ciascuno una sorta di rappresentazione archetipica di una diversa qualità eroica, e hanno tutti tratti somatici ricorrenti nei manga di Tezuka: Kenichi rappresenta l'eroe buono e carico di sentimenti altruistici; Ban Shunsaku, lo zio investigatore arrivato dal Giappone alla ricerca del folle scienziato creatore dell'androide Tima, corrisponde ad una "maschera" tipica del mangaka giapponese, l'higeoyaji (traducibile all'incirca con "baffone"), che rappresenta la guida rassicurante, saggia ed educativa. Ma questi eroi spiccano soprattutto per la loro caratterizzazione retrò, in netto contrasto con i fondali iperrealistici e l'eccezionale utilizzo della Computer Graphic (firmata dal celebre Studio Mad House): Rintaro crea quindi un universo visionario futuristico che però si nutre di forti richiami del cinema a cavallo tra gli anni Venti e Trenta (in particolare di quello tedesco), a partire dalla colonna sonora jazz, fino ad arrivare all'utilizzo delle mascherine e della "chiusura ad iride" delle scene (soluzioni tipiche del film muto).
Noir e fantascienza si incontrano in questo attesissimo evento animato, dono postumo di Tezuka, a quattordici anni dalla sua scomparsa. Dalla poesia condita di denuncia di Fritz Lang, passando attraverso la forte componente sociopolitica e psicosociale dell'originale tezukiano, per arrivare al più contemporaneo Blade Runner fino alla notevole violenza espressiva ma intrisa di umanità del Metropolis di Rintaro e Otomo, la morale della storia non cambia: e ciò testimonia come qualunque sia il tempo o l'ambientazione delle vicende vi sono sempre alcuni inevitabili leitmotiv che ricorrono, quasi a voler mettere in scena la ciclicità della storia umana e delle sue paure, sempre le stesse e sempre attuali anche a distanza di quasi un secolo.
|