Dopo i demenziali OSS 117: Le Caire nid d’espions e OSS 117: Rio ne répond plus, inediti in Italia ma grandi successi al botteghino francese, il regista Michel Hazanavicius cambia rotta con un film che sulla carta correva il rischio di suonare come un gioco capriccioso e presuntuoso, ma che invece ha il sapore di un omaggio autentico e divertito al cinema che fu. The Artist parte da un paradosso curioso: è un film muto sull’avvento del sonoro. La storia è quella di George Valentin, divo del muto schiacciato dalla rivoluzione tecnologica che cambierà inesorabilmente il linguaggio cinematografico. In un mondo che ha cominciato a parlare, George si rifiuta di proferire parola, con testardaggine cieca, sorda e muta, come quella delle tre scimmiette che campeggiano dietro alla sua scrivania. Anche alla moglie, che con aria grave gli comunica che devono discutere dei loro problemi - “Dobbiamo parlare. Perché ti rifiuti di parlare?” -, George risponde stando zitto.
George vive una vita extradiegetica. La musica accompagna ogni sua azione, ma la sente solo lo spettatore, le parole sono puro labiale e i rumori esistono solo nei suoi peggiori incubi. È un artista del muto che vive in un film muto anche quando è fuori dal set. Perennemente sopra le righe, recita, ammicca e fa le smorfie, con le sue ammiratrici come a casa con la moglie. I problemi cominciano a sorgere con l’avvento del sonoro. Da un giorno all’altro il mondo si sveglia e si apre alla parola, mentre lui rimane ancorato al silenzio e alla mimica facciale. Al suo inesorabile declino corrisponde l’ascesa dell’intraprendente Peppy Miller, che da semplice figurante comincia a guadagnare posizioni nei titoli di testa dei film, diventando una protagonista assoluta del sonoro, grazie a una “faccia che parla” e a un vezzoso neo sopra il labbro disegnatole da George. Con la semplicità di una trama che non si affida ai dialoghi, le strade dei due personaggi si incontrano, si sfiorano, si scontrano e si allontanano. Lei sale le scale della celebrità, lui sprofonda nel baratro della disperazione, per poi risalire in extremis, complice il tip-tap. I titoli dei film che interpretano fanno da contrappunto alla storia: da Il neo di bellezza, a L’angelo custode, fino a Scintilla d’amore.
The Artist sembra voler rispettare pedissequamente le regole del muto. La pellicola è in bianco e nero, i personaggi non comunicano attraverso la voce ma attraverso i pochi cartelli dei dialoghi, e la musica è onnipresente. Oltre la superficie si nasconde invece un film moderno, che strizza l’occhio allo spettatore di oggi - continuamente stimolato a rileggere il passato con il filtro della nostalgia e del vintage -, giocando con l’estetica retrò e con il meta-cinema. Tant’è vero che queste regole sono in realtà programmaticamente tradite. Il film è girato in 4/3 a 22 fotogrammi al secondo, ma con una pellicola a colori che poi è stata trasformata in post-produzione. Il bianco e nero di The Artist è tutt’altro che d’epoca e risulta definito e patinato. Il film è quasi totalmente muto, ma le uniche due scene in cui non lo è fanno la differenza. Le sole sequenze in cui sembra quasi di vedere un film degli anni Venti sono quelle dei film nel film: gli spezzoni delle pellicole interpretate da George Valentin sono girati in un bianco e nero sporco e ingiallito, la camera è fissa e i movimenti e le espressioni degli attori, volutamente al limite della parodia, restituiscono in parte lo spirito dell’epoca. Le due facce scelte per interpretare la storia sono facce che parlano: Jean Dujardin, con il baffo alla Douglas Fairbanks, e Bérénice Béjo, bellezza gioiosa e irresistibile, riescono a dare spessore e, perfino, a rendere commovente una storia per forza di cose scheletrica. Azzeccatissimo John Goodman, produttore burbero ma in fondo buono. E semplicemente perfetto il cane Uggy al quale, come fa notare George, manca davvero solo la parola.
The Artist è sicuramente un film che non lascia senza parole e che ha già aperto la discussione tra chi lo vede come un giochetto furbo e chi come un geniale gioiello. Probabilmente la verità sta nel mezzo. Questo film non parlato sulla nascita del cinema parlato non sarà mai originale come il muto post-moderno di Guy Maddin, né politicamente rigoroso come il muto marxista dell’Aki Kaurismäki di Juha. È puro intrattenimento, raffinato e nostalgico, divertente e ironico fino agli ultimi fotogrammi, quando sentiamo per la prima volta il fiatone di George, che è riuscito a scardinare il suo ostinato silenzio a colpi di tip-tap.
TITOLO ORIGINALE: The Artist; REGIA: Michel Hazanavicius; SCENEGGIATURA: Michel Hazanavicius; FOTOGRAFIA: Guillaume Schiffman; MONTAGGIO: Anne-Sophie Bion; MUSICA: Ludovic Bource; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 2011; DURATA: 100 min.
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