Un uomo, una donna: il banale e il moderno - Claude Lelouch PDF 
di Mauro Brondi   

Lelouch è un regista intorno al quale la critica si e spesso divertita (e/o angustiata) nel tentativo di fare di lui un grande autore, ma anche nell'evidenziare debolezze, banalità, luoghi comuni del suo cinema. D'altro canto il pubblico ha spesso amato Lelouch considerandolo quasi una garanzia di qualità.
Un attento osservatore della coppia e degli affetti, un ingenuo "occhio senza cervello" che naviga dietro la corrente nouvelle vague, un narratore vivace e appassionato, un regista che si mette continuamente in gioco: i giudizi su Lelouch sono tanti e contrastanti e forse ancora oggi si fa fatica a comprendere (nel senso di analizzare, studiare e sezionare) il metodo Lelouch e a valutare il suo operato all'interno della storia del cinema.

Un film come Un uomo, una donna è forse fondamentale anche in quest'ottica per illustrare le cause di queste difficoltà e di diversità di opinione. Vincitore a Cannes nel 1966 e del premio Oscar come miglior film straniero (e miglior sceneggiatura), Un uomo, una donna spacca la critica che da subito si dissocia: da un lato essa vede un'involuzione rispetto a quella "nuova onda" dei primi anni '60 (Godard su tutti) che in quel periodo riusciva a sconvolgere e a modificare il linguaggio filmico portando innovazione e sperimentalismo; dall'altro non comprende le ragioni (da un punto di vista prettamente sociologico) di quel successo di pubblico internazionale che Un uomo, una donna era riuscito ad attirare su di sé. Il successo commerciale fu assoluto e ancora oggi la musica del film (il da-da-da chàbadabadà chàbadabadà) evidenzia lo statuto di opera appartenete ad un collettivo e ad un immaginario.

Non è facile tornare solo con l'immaginazione a quegli anni, in una Francia dove il dibattito sul cinema era enorme e dove autori come Godard, Truffaut, Resnais stavano disturbando, anche in modo radicale, una certa logica produttiva e narrativa, e capire l'impatto che un film "sentimentale" o "sentimentalistico" come quello di Lelouch poteva avere. Senza dubbio, a prima vista, il film di Lelouch si posiziona su un piano totalmente differente rispetto al gruppo sopra citato: a partire dalla musica che interviene nel film per agevolare (aiuto necessario?) la visione; musica che accompagna e muove i personaggi in sintonia e in accordo: all'opposto si situa Godard, basti ricordare il vero e proprio disturbo (anche sonoro) alla base di un film come Due o tre cose che so di lei, girato nello stesso anno.

La storia del film (un uomo e una donna si incontrano, hanno perso tragicamente i loro compagni e si innamorano l'uno dell'altro, ma alla donna resta il ricordo del primo marito) è piuttosto semplice, ma riesce in alcuni momenti a non essere scontata e prevedibile appoggiandosi su una struttura complessa e ricca che utilizza il flashback e il montaggio alternato quasi come un partito preso. In questo modo Lelouch riesce, narrativamente parlando, a raccontare in modo interessante la storia d'amore che sta lentamente nascendo fra i personaggi ramificandola con momenti del loro passato: lei che lavora come segretaria di edizione (notare il riferimento al mondo del cinema) e vede il marito stunt-man morire in un incidente; lui, famoso pilota di macchine da corsa che a causa di un incidente entra in coma e per il quale la moglie disperata decide di togliersi la vita.

Nonostante questo lavoro in fase di sceneggiatura, dal punto di vista visivo il regista cade spesso su immagini "ovvie": come i primi piani di Trintignant mentre guida l'auto, all'inizio del film, parlando e sorridendo alla donna seduta alla sua destra rivolgendosi direttamente verso la macchina da presa. La sua voce non giunge a noi perché la musica (a sottolineare un momento idilliaco) si sovrappone in modo tanto ridicolo quanto stupido (cosa dirà mai di tanto divertente Trintignant in quei momenti?); sempre relativamente a questa sequenza interviene anche il montaggio che crea brevi salti (o scatti) sulla stessa inquadratura come a sottolineare il tempo che passa a gran ritmo.
Questo esempio può essere considerato l'esatto contrario (in tutte le sue valenze, in primo luogo estetiche) della sequenza in auto di Belmondo in Fino all'ultimo respiro e segna anche un evidente utilizzo ingenuo, diretto, senza filtri, del linguaggio filmico.
Altri momenti di questo ingenuo sguardo che Comolli definirà duramente come "la scorza senza il grano, la busta senza la lettera, l'immagine senza il mondo" ("Cahiers du cinéma", n.180, luglio 1966) li percepiamo nella sequenza della gita in barca in cui l'uomo e la donna sorridono estasiati insieme ai loro due bambini (nati dai loro vecchi amori). Qui il montaggio interviene in modo un po' più originale e drammatico, e la musica risulta poco più intensa e tesa (come nel bel momento, nella seconda parte del film, in cui Trintignant riceve il telegramma della donna), ma nel complesso il risultato non cambia e l'idillio si configura come momento privato di filmino di famiglia, e si prova un po' di imbarazzo a entrare in modo così intimo nella felicità di una coppia di cui si ignorava l'esistenza poco prima di entrare al cinema.

Ma questa ingenuità e banalità di Lelouch (sarebbe in ogni caso interessante comprendere quanto quest'ultimo termine possa ritenersi corretto per un film che, in sostanza, ha contribuito a creare le regole della banalità, come a dire: nel momento in cui la banalità si inventa, questa può essere banalità?) è straordinariamente contenuta e combattuta in alcuni momenti forti (potremmo dire moderni) del film. Per modernità intendiamo qui la capacità di giocare con il cinema, di inserire elementi contro la narratività classica, di aprire il discorso verso l'incertezza e il non detto.

Sembra paradossale ma Lelouch, oltre a viaggiare liberamente tra i generi (caratteristica importante del suo cinema e a questo proposito si consiglia Roberto Chiesi, Irrequiete strategie dei mélanges di Lelouch, in Giancarlo Zappoli, Luisa Ceretto e Andrea Morini (a cura di), Nato per sedurre, Torino, Lindau, 2001), riesce a mescolare elementi del moderno con il banale. Infatti all'improvviso Lelouch cambia rotta inserendo disorientamenti (Trintignant che si scopre avere un'amante alla quale dice, scaricandola, di aver trascorso una giornata splendida con un'altra donna), spunti ironici e dialoghi interiori (il monologo notturno di Trintignant in auto, al ritorno da Montecarlo, indeciso su come comportarsi una volta davanti alla donna) e aperture verso l'incertezza (la donna che non riesce a fare l'amore per il ricordo del marito defunto, oppure l'abbraccio finale in stazione che non risolve e non semplifica la situazione ma anzi la rende più complessa e ambigua).

Vedendo oggi Un uomo, una donna (ne abbiamo avuto la possibilità nell'ambito della retrospettiva ospitata dal Museo Nazionale del Cinema e organizzata dalla Cineteca Comunale di Bologna e dall'Ufficio Cinema del Comune di Milano) si percepiscono in modo evidente queste ambiguità: momenti intelligenti commistionati a incertezze, banalità e sdolcinatezze visive. Anche l'utilizzo del colore e del bianco e nero (scelta operata a causa di problemi economici, ammissione sincera del regista ma non per questo trascurabile) può sembrare interessante, ma i risultati sono rischiosi perché più volte, a causa di scelte stilistiche, ci troviamo davanti a una contrapposizione manichea facile e scontata: i momenti da fotoromanzo (gli esterni a colori) contrapposti alle difficoltà della coppia nel privato (gli interni in bianco e nero; l'ultima sequenza in albergo girata per la verità con grande intensità e sensibilità).

Altro spunto interessante è quello del momento in cui Duroc (Trintignant) prova la macchina da corsa nel circuito. Lelouch si concentra, con uno sguardo da documentarista, sui particolari del motore, sulle gomme, sull'asfalto del circuito; da un film sentimentale si passa quasi ad un documentario sui preparativi di una corsa automobilistica; e visivamente il film acquista in questi momenti una forza e un'originalità piuttosto sorprendenti. In fondo anche questo esempio sottolinea come gli sguardi di Lelouch siano liberi e spudorati, senza mediazioni e filtri. Le scelte operate a livello di messa in scena passano senza soluzione di continuità da ovvietà e banalità a originali cambiamenti di rotta. E questo crea in Lelouch un'arma a doppio taglio: se in alcuni momenti riesce a stupire proprio attraverso questa libertà e questa sfrontatezza, altre volte è così naïf che il sorriso è forse la reazione più immediata e contenuta che si può avere.

Un'ultima nota deve essere riservata all'interpretazione di Anouk Aimée, volto solo ed enigmatico del film. Lelouch ottiene, attraverso il suo volto, tonalità altalenanti anche se rapportate alla carica ipnotica che il volto dell'attrice attira su di sé, in contrasto con le espressioni un po' bambinesche e a volte ridicole (i sorrisini in auto) di Trintignant. Alcuni profili, gli occhi gelidi e innamorati, lo sguardo rivolto al passato - messi in risalto dal bianco e nero - rivelano un anima profonda che muove il personaggio. Seppur banalizzata nei ricordi a colori che ci rappresentano la donna al lavoro sul set vicino a tecnici e attori oppure amoreggiare felice con il suo uomo, l'espressione di Anouk Aimée è probabilmente il regalo più bello che Lelouch ci offre in questo classico dell'amore.

 


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