Lo schiaccianoci in 3D PDF 
Marco Doddis   

Ritenta, sarai più fortunato! Non è il consolatorio messaggio di un premio mancato, ma il consiglio che, con tutto il rispetto dovuto al personaggio, offriamo ad Andrei Konchalovsky. Il suo Schiaccianoci è pieno zeppo di buone intenzioni, nasconde un progetto serio e una gran passione; purtroppo, però, non è il gioiellino che qualcuno si attendeva, e nemmeno un buon film, uno dei tanti ai quali il cineasta russo ci ha abituati. Ed è un peccato, perché pare che Konchalovsky tenesse questo progetto nel cassetto da vent’anni e che, per lui, fosse una sorta di sogno da realizzare ad ogni costo. Il materiale “grezzo” c’era tutto: la favola di Ernst Hoffman, la rivisitazione di Alexandre Dumas, la magia del balletto di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, colui a cui il nome de Lo Schiaccianoci è legato per antonomasia. A condire l’insalata russa, una bella dose di 3D, quella tecnologia che ormai pare inevitabile per pellicole di questo tipo. E, invece, i problemi iniziano proprio da là, dalle meraviglie di una tecnica la cui riproducibilità può compromettere lo stato di un’opera d’arte. Il riferimento al saggio di Walter Benjamin non è puramente casuale: il filosofo tedesco avrebbe avuto molto da dire su certi discutibili impieghi del 3D. Ma questa è un’altra storia.

Nel film di Konchalovsky, anche se non volutamente, la tridimensionalità non fa che appesantire la macchina, rendendosi dannosa oltre che inutile. Come conferma la speciale candidatura ottenuta durante la trentunesima edizione dei “Razzie Awards” (parodia dell’Oscar che premia le peggiori opere hollywoodiane della stagione): Lo schiaccianoci era infatti nella cinquina che competeva per il “Peggior uso del 3D”. Una beffa, se si pensa che proprio la tridimensionalità, nelle intenzioni del regista, doveva far compiere il salto di qualità al film. Ma c’è poco da fare: è inutile mettere una cornice megagalattica a un quadro che non entusiasma. Sin dalle prime battute, si capisce quanto il quadro sia innanzitutto ambiguo. A chi si rivolge? Ai bambini o agli adulti? Forse a entrambi. Diamo per buona questa ipotesi: lo spettatore, almeno quello più fiducioso, accetta questa molteplicità di livelli di significazione, illudendosi di trovarsi di fronte a un Tim Burton o a certi meravigliosi affreschi firmati Pixar. Assiste così alla particolare vigilia di Natale della piccola Mary (Elle Fanning, sorella minore di Dakota: una “signora” di tredici anni che vanta un curriculum già invidiabile, avendo lavorato con gente come Fincher e con due Coppola, papà e figlia), che viene lasciata dai genitori a trascorrere la notte con il fratello Max e lo zio Albert (Einstein, addirittura). L’inventore, che, per l’occasione, diventa affabulatore, coreografo e pianista, dona alla nipotina un burattino (sembra proprio Pinocchio!) schiaccianoci, N.C. (per i pochi che non l’avessero capito, NutCracker). Durante la notte, il sogno si fa realtà e il pupo ligneo si svela in tutta la sua principesca bellezza. Mary e Max vengono così coinvolti in un'avventura incredibile, tra fate delle nevi, giochi animati e, soprattutto, topi antropomorfi. La missione è una sola: porre fine alla tirannide del Re Topo (John Turturro) e della malvagia madre (Frances De La Tour), che fanno bruciare tutti i giocattoli del mondo in vista di una sua “rattificazione”. Alla fine, naturalmente, il bene vince e il regno torna nelle mani del suo legittimo proprietario, il principe N.C.

Come ne esce il nostro spettatore fiducioso? Bene, se è animato unicamente dal sacro fuoco della filologia cinematografica: la pellicola di Konchalovsky assembla, infatti, in maniera anche ammiccante, pezzi sparsi della storia del cinema, da Toy Story al Mago di Oz, da Alice nel Paese delle Meraviglie a Batman, da Willard e i topi a Matrix). Maluccio, in tutti gli altri casi. Qualora si tratti di un bambino, corso al cinema per farsi trascinare nei meandri 3D di una favola moderna, la sua illusione viene spezzata in fretta: del 3D, già si è detto; per il resto, la storia scorre su un ritmo piuttosto monotono, fallendo nella costruzione di un'amalgama avvincente e, soprattutto, restituendo poco di quel fascino magico che ci si poteva attendere. Qui, la regia di Konchalovsky ha delle grosse responsabilità: troppo piatta per un film infantile, ammesso che questo Schiaccianoci lo sia. L’adulto, infine. Diciamo che gli amanti di certi pot-pourri postmoderni potranno pure apprezzare alcuni passaggi, anche se gli autori hanno fatto di tutto per confondere le idee, mescolando, rivedendo e aggiornando le fonti (nello spirito, c’è più Hoffman che Dumas; nei fatti, nessuno dei due). In generale, però, la distonia complessiva lascia l’idea di un’accozzaglia mal riuscita: Konchalovsky non riesce a calibrare a dovere le parti da action-movie con quelle da musical e con quelle da favoletta, creando fastidiose discrasie anche sul piano cromatico e cinetico. Insomma, se i singoli fattori, presi singolarmente, risulterebbero pure accettabili, il prodotto non funziona. Gli echi storici (il nazismo) paiono inoltre un po’ forzati, mentre certi personaggi sono completamente sbagliati: Nathan Lane/Einstein, che pure regala la battuta migliore e più attuale del film, nella parte del tartassato fiscale ante-litteram (“le cose più difficile da capire sono le imposte sul reddito” ... in confronto, cioè, la teoria della relatività è roba da prima elementare), è un ridicolo latore del messaggio-slogan “tutto è relativo”, che viene utile nello sviluppo della storia; John Turturro/Re dei Topi sembra Andy Warhol: non ha la minima credibilità nella sua parte e tocca il fondo quando si improvvisa cantante e ballerino.

Insomma, quasi tutto è da rivedere. Il consiglio non è solo indirizzato al bravo Konchalovsky, ma anche ai suoi collaboratori, in primis a Sir Tim Rice, il responsabile delle musiche. Va bene che sei uno dei migliori nel tuo campo; va bene che sei baronetto e che hai vinto tre Oscar. Però Lo Schiaccianoci è Tchaikovsky. Punto e basta. Davanti a un gigante del genere, che ti offre la possibilità di partire con svariati punti di vantaggio, forse è meglio non toccare niente e lasciare le note come sono. Almeno loro.

TITOLO ORIGINALE: The Nutcracker in 3D; REGIA: Andrei Konchalovsky; SCENEGGIATURA: Andrei Konchalovsky, Chris Solimine; FOTOGRAFIA: Mike Southon; MONTAGGIO: Mathieu Bélanger, Andy Glen, Henry Richardson; MUSICA: Eduard Artemyev; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 107 min.

 


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