“Il sogno è pur sempre un modo di sperare”. Ermanno Olmi dedica questo pensiero a un amico. È tratto da una lettera privata e viene oggi inserito nell’autobiografia del maestro, senza svelare l’identità del destinatario. Diviene così un assunto universale. Un’idea assoluta di amicizia. Sognare è sperare, dunque. E cosa significa fare cinema se non rendere visibili i sogni? Impossibile non ripensare alla frase-manifesto di Centochiodi (Italia 2007): “tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”.
I ricordi di Olmi prendono forma nei brevi testi che compongono L’apocalisse è un lieto fine, allineati in ordine cronologico senza rinunciare al contrappunto con la contemporaneità. L’alternanza tra passato e presente riconduce il lettore a una dimensione confidenziale. L’autore è stato protagonista e testimone del Novecento, quel secolo breve costellato di rivolgimenti storici e sociali che dobbiamo ancora, in parte, comprendere. Vanno approfonditi per decidere quale direzione intraprendere oggi, mentre s’impongono scelte epocali per la sopravvivenza dell’umanità e del pianeta. È una scrittura senza troppi ornamenti o fronzoli, quella del maestro. Brevi racconti narrano vicende attuali o d'altri tempi. I pensieri si manifestano nitidi, senza frenesie. Seguono il ritmo della vita, come le sequenze dei film del regista. Il passato appare semplice nella sua complessità. Le vicende esprimono la propria natura di fenomeni antropologici. Senza risparmiarsi l’onere del giudizio, le parole stemperano ogni criticità, indicando una direzione per nuove riflessioni. Pur partecipando emotivamente agli eventi, Olmi riesce a restituire al lettore la ciclicità dei meccanismi di potere, ma anche la saggezza di tante persone semplici incontrate nel corso del proprio cammino. Un percorso che lo ha reso testimone del boom economico, della nascita della società dei consumi e di una sorta di slittamento di valori, trasformatosi in un declino delle buone maniere, sostituite dalle apparenze e dagli status symbol. Dinanzi a questi fenomeni, riflettendo soprattutto sull’importanza del linguaggio come primo elemento di una relazione che consenta di comunicare, la sentenza dell’autore è chiara e definitiva: “Lo stile non è un orpello, ma il fondamento di ogni società civile. Lo stile è anche un atto politico per mettere in pratica una vera democrazia”.
Passioni, affetti, amicizia, amore, guerra, pace, progresso, ambiente, crisi e futuro: questi i temi ricorrenti di un’autobiografia sincera che non indugia nel melodramma dei ricordi. Non divaga per costruire un tempio ad memoriam o un pantheon (sebbene Olmi ricordi, tra gli altri, Parise, Pasolini, Bianciardi, Mastronardi, Tonino Guerra, Fellini e Mastroianni e dichiari in apertura di trascurare chi lo ha ingannato o persino derubato). L’inciso “storie della mia vita e del nostro futuro” è una dichiarazione d’intenti preziosa, una promessa mantenuta: la sostenibilità dello sviluppo è cruciale per l’intellettuale, che guarda alle nuove generazioni con speranza e fiducia. E non esita a donare la propria esperienza. Non si esime dal criticare “la società del benessere” che se tanto ha fatto sognare gli italiani, tanto ha anche illuso vendendo speranze vane. Ci lasciamo quindi condurre, sereni e concentrati, in questo viaggio nel passato con digressioni sulla contemporaneità. Leggendo sembra di ascoltare il racconto di un saggio, che ci regala immagini di un mondo lontano, ma senza ricercare un distacco dall'attualità. È un monito gentile, una lucida verità narrata da un mite. Un uomo che ama gli umili e tenta di far loro il dono più prezioso: un estratto della propria cultura, un’idea di ciò che ha compreso dell’umanità.
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