È veramente una bella sorpresa quella che Federico Zampaglione, leader dei Tiromancino, ha fatto al pubblico con Shadow, il suo secondo lungometraggio. E lo è perché dopo il malriuscito Nero Bifamiliare, commedia noir piuttosto squilibrata, nonché sua prima esperienza dietro la macchina da presa, davvero non ci si aspettava che questo giovanotto romano dirigesse un horror in grande stile, attingendo a quella che si ritiene essere la miglior tradizione italiana sul genere, ossia ai film dei grandi Dario Argento, Mario Bava e Lucio Fulci, il tutto con grande originalità e padronanza del ritmo e del mezzo cinematografico. La stessa trama, nella sua semplicità, è originale (cosa non da poco quando si parla di generi altamente codificati): David è un giovane soldato reduce dal conflitto in Iraq che, per dimenticare gli orrori visti in guerra, decide di andare a fare biking sulle montagne del centro Europa. Lì incontra Angeline, una ragazza anche lei appassionata di viaggi in mountain bike, e con la quale si addentra nell’ombrosa e selvaggia natura di quei luoghi. Si addentra tanto, però, da arrivare a scoprire una realtà inquietante, quella che si cela sotto la natura tranquilla e selvaggia di quei boschi splendidi.
Federico Zampaglione, per questa sua opera seconda, punta tutto sul sentimento della paura, quella “invisibile”, scaturita da qualcosa che non si può vedere e sulla quale non è possibile esercitare alcun controllo. In Shadow non ci sono grossi spargimenti di sangue, non ci sono quelle estenuanti sequenze da alta macelleria di genere splatter, ultimamente sempre più in voga. No, niente di tutto questo. Se si escludono un paio di scene abbastanza forti, che comunque hanno una funzione narrativa, un significato preciso, un senso e un ruolo nel corso degli eventi, per il resto, le sensazioni di paura, d’inquietudine, d’impotenza, di suspense, che Zampaglione così sapientemente trasmette con le sue immagini, sono provocate da qualcosa che non si vede, ma che agisce fuori campo, dalla certezza che qualcosa di orrido accadrà, senza sapere quando e come. Ed è proprio grazie alla padronanza di questi meccanismi, capaci di evocare e suggerire, che Zampaglione dimostra di essere non solo un raffinato cinefilo, ma anche un regista capace e competente, con una sensibilità tutta particolare nell’usare l’inquadratura nella sua totalità, con tutti suoi limiti e le sue potenzialità. Ottimo poi il ritmo con il quale gli eventi si intrecciano e si susseguono, il cosiddetto timing, che questo musicista che di tanto in tanto si dà al cinema ha dato prova di saper gestire egregiamente, andando d’anticipo sui colpi di scena, rallentando nelle scene in cui il pericolo è imminente, e aumentando così nello spettatore il senso d’angoscia e d’instabilità. Bravissimi, infine, tutti gli interpreti, tra i quali spicca il funereo Nuot Arquint nel ruolo di Morthis, in una rappresentazione a dir poco inquietante che deve molto a quella della Morte ne Il settimo sigillo di Bergman.
Federico Zampaglione, con Shadow, sembra insomma aver portato una ventata di novità, e di qualità, nelle acque ancora troppo stagnanti del cinema italiano, dimostrando a conti fatti come sia ancora possibile fare del buon cinema.
TITOLO ORIGINALE: Shadow; REGIA: Federico Zampaglione; SCENEGGIATURA: Federico Zampaglione, Domenico Zampaglione, Giacomo Gensini; FOTOGRAFIA: Marco Bassano; MONTAGGIO: Eric Strand; MUSICA: The Alvarius, Federico Zampaglione; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2009; DURATA: 80 min.
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