Edward e Sweeney: due lame a confronto PDF 
Matteo Contin   

«Kevin, you wanna play scissors, paper, stone again?»
«No!»
«Why not? »
«Cause it's boring.
I always win!»

Edward e Kevin in Edward mani di forbice

«Now, with a sigh, you
grow warm in my hand.»

My friends, Sweeney Todd

L’ultimo film di Tim Burton, Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, ha riportato nella filmografia del regista un elemento che negli anni aveva un po’ abbandonato e che aveva fatto la sua fortuna grazie ad Edward mani di forbice. Stiamo parlando proprio delle lame che, nelle due pellicole assumono connotati del tutto diversi tra loro, e un significato simbolico che è impossibile da trascurare nel cinema profondamente metaforico del regista di Burbank. Si parla di lame certo, ma in fondo si pensa soprattutto ai personaggi e al senso che assumono le lame addosso a questi due barbieri/parrucchieri che proprio grazie alla loro professione cercano di giungere ai loro scopi ultimi, del tutto diversi l’uno dall’altro, ma uniti da quel filo sottile del desiderio di diventare/tornare esseri umani.

Possiamo intendere le lame hanno quasi come una maledizione inflitta da qualche dio che costringe Edward e Sweeney a rapportarsi col mondo esterno tramite esse. Edward è un mostro con le lame, e come tutti i mostri è infelice della sua condizione di non-umano, di pecora nera della società. Le lame diventano quindi veicolo primo della sua emarginazione, poi della sua ascesa ed infine ancora mezzo per discriminarlo e farlo rifugiare per sempre nella sua soffitta. Al contrario Sweeney, è un demone (come viene più volte ripetuto anche nella pellicola), le cui lame sono il naturale prolungamento del suo braccio, come se si sentisse completo solo con esse. Ma sono anche la proiezione della sua vendetta, il mezzo con cui riesce a ripulire il mondo dalla feccia che gli ha rovinato la vita, quel great black pit che lo ha trasformato da uomo in demone.

Il cammino di Edward si spinge verso la ricerca di un’accettazione nel mondo e nella società, sintomo chiaro dell’innocenza del personaggio, che non comprende sin da subito l’evidente impossibilità di appartenere alla piccola e ridente comunità di piccole villette colorate. La versione adulta e matura di Edward la ritroviamo proprio in Sweeney Todd, consapevole di vivere in un mondo corrotto dove regna perenne la notte e dove anche i sogni e i desideri assumono caratteristiche macabre (ne è un chiaro esempio il sogno di Mrs. Lovett, colorato ma desaturato, provato dei colori e del desiderio naturale di una vita normale).

Nella Londra vittoriana di Sweeney c’è spazio solo per la vendetta e per il sangue, per la totale eliminazione di ogni forma di innocenza (innocente e stolto lo era anche lo stesso Sweeney prima di essere incastrato dal giudice Turpin), di un contatto brusco e immediato con ciò che di brutto può offrirci la vita. Il desiderio di vendetta che apre le porte alla non-vita di Sweeney non è altro che la risposta alla perenne malinconia di Edward, alla sua sconfitta. Ed è da lì che avviene la trasformazione in demone, non più mostro deriso e incompreso, chiuso nella sua malinconica soffitta, ma demone conscio della sua forza e della sua potenza che desidera solo il suo riscatto, desidera solo il sangue che scorre, schizza, impregna il legno e le mura della bottega di Fleet Street, di quella soffitta che ora è il teatrino degli orrori. La soffitta diventa quindi il luogo dove l’inconscio dei due personaggi forgia i loro caratteri, dove abitano i loro ricordi e dove si consumerà la loro fine.

E se il finale classico prevede il lieto fine, nei due film di Burton non c’è spazio per tutto questo. Sweeney il demone ritorna mostro perché messo davanti all’orrore vero, non quello sterile e splatter della fabbrica di morte, quanto quello più profondo del dolore che ci si è causati da soli, un dolore che esula dal sangue e dalla carne, ma che appartiene all’anima. E se Edward continua a benedire la piccola cittadina che lo ha accettato (seppur per poco tempo) con la neve candida che copre il dolore e i tetti delle case, Sweeney bagna il corpo della moglie con il suo sangue, come in un rituale con cui spera di ridare la vita all’unica donna che lo ha amato (seppur per poco tempo). E anche il sangue, rosso come non mai, scende dolce come la neve, come l’estrema benedizione di un demone che non ha ritrovato, ma che ha riacquistato la sua consapevolezza di essere un uomo e un’anima.

 


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