Hair India PDF 
Alice Sivo   

I paradossi e le contraddizioni della globalizzazione raccontati attraverso il viaggio di una ciocca di capelli. È questa l’idea curiosa ed efficace di Hair India, il documentario di Raffaele Brunetti e Marco Leopardi che ha già partecipato a numerosi festival internazionali e ha avuto grande successo nelle proiezioni speciali organizzate in alcuni cinema italiani. Al momento non è prevista una distribuzione in sala, ma lo vedremo presto su RaiTre  nell’ambito del ciclo Doc3, purtroppo in versione doppiata e accorciata per l’inevitabile adattamento a gusti e tempi televisivi.

Il racconto si sviluppa seguendo modalità cinematografiche, attraverso una narrazione multistrand. Con un abile montaggio si alternano quattro storie principali. Hemlata è una giovane donna indiana che vive in un villaggio del Bengala ai bordi dell’autostrada senza telefono né elettricità, che affronta cinque giorni di pellegrinaggio insieme alla famiglia fino al tempio di Simachalam, dove donerà l’unica ricchezza che possiede: i suoi capelli. Sangeeta è una trentacinquenne di Bombay, yuppie in carriera, caporedattrice di una rivista di moda e costume, assidua frequentatrice di locali notturni e del salone di bellezza delle star in cui le applicheranno delle hair extension made in Italy dell’azienda Great Lengths. Il proprietario dell’azienda, che ha sede vicino Roma, è Thomas Gold, giovane miliardario che contratta i suoi acquisti con Mayoor, suo amico d’infanzia e grossista di Bangalore con decine di operaie alle sue dipendenze che si occupano di selezionare i capelli che lui acquista al tempio.

Un paese diviso tra benessere e povertà, tra industrializzazione e tradizioni millenarie – già descritto recentemente nel sopravvalutato The Millionaire, pluripremiato agli Oscar – trova in questo documentario una rappresentazione più onesta e complessa. Le masse di capelli offerte in sacrificio nei templi indiani da migliaia di fedeli, attraverso la mediazione della religione stessa, rappresentata da veri e propri sacerdoti barbieri, vengono pettinate, selezionate e stoccate in India, arrivano in Italia dove subiscono ulteriori trattamenti, vengono disinfettate e colorate, in una parola occidentalizzate, per poi essere importate nell’India ricca e vanitosa sotto forma di hair extension. È così che una ciocca di capelli diventa il simbolo perfetto per descrivere il rapporto tra l’India e l’Occidente, un rapporto di dipendenza e sfruttamento, un import-export di modelli globalizzati, industriali, sociali e culturali. Una manciata di capelli per qualcuno è il dono estremo, puro e disinteressato a una divinità, per altri è una fonte di guadagno e speculazione, per altri ancora è la costosa soddisfazione di una vanità.

Il culto dell’apparenza artificiale, di deleteria importazione, si scontra e ha la meglio sulla bellezza orientale, sacrificata in nome della religione e della tradizione. Le donne indiane di umili condizioni donano i capelli, una delle espressioni principali della bellezza femminile, per infoltire le chiome delle donne ricche e di successo di Bombay. Tutto ciò avviene senza consapevolezza, perché il loro gesto è talmente disinteressato da non stimolare alcun interrogativo. A nessuna di queste donne interessa che fine facciano i loro preziosi capelli, e probabilmente sapere la verità non cambierebbe di una virgola, anzi di un capello, lo spirito del sacrificio per una religione che è da un lato quella dei riti antichi e dall’altra un soggetto imprenditoriale che ospita nei propri luoghi sacri delle aste che appaltano quintali di capelli al miglior offerente. Un’inconsapevolezza ben più triste è però quella di persone come il signor Gold – nomen omen – e di Sangeeta, interessati solo all’esteriorità, appagati dalla telecamera che li segue e per niente coscienti dell’ironia del perverso meccanismo a cui danno vita con i loro comportamenti.

L’impressione iniziale, guardando Hair India, è di trovarsi di fronte ad un testo eccessivamente scritto, troppo sceneggiato e costruito per "rappresentare" la realtà. Poi, quelli che sembrano difetti si svelano invece come punti di forza, la storia è avvincente come quella di un film e ci si rende conto che le persone che sembravano recitare (Thomas Gold e Sangeeta) sono proprio così, contente dell’apparire e contente di apparire. Tra le tante immagini forti che rimangono impresse ci sono da un lato le teste rasate fiere, coraggiose e struggenti delle donne nel tempio di Simachalam, dall’altra la visita al tempio di Sangeeta, fresca di extension, stonata, fuori luogo, improbabile eppure reale, come il viaggio lunghissimo di una ciocca di capelli dall’India all’Italia. Ritorno compreso.

TITOLO ORIGINALE: Hair India; REGIA: Raffele Brunetti, Marco Leopardi; SCENEGGIATURA: Raffaele Brunetti, Marco Leopardi; FOTOGRAFIA: Marco Leopardi, Marco Pasquini, Gianni Maitan; MONTAGGIO: Ilaria de Laurentiis; MUSICA: Alfonso D'Amora; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2008; DURATA: 75 min.

 


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