The New World - Il nuovo mondo PDF 
Simone Dotto   

Capita sovente di leggere di un film ben riuscito che scorre come una “bella sinfonia”, ma pochi registi al pari di Terrence Malick potrebbero dire di aver davvero preso in considerazione, una per una, tutte le voci della partitura cinematografica: la sceneggiatura e il soggetto, la musica e la regia, il cast e la fotografia, ogni voce viene ridiscussa in funzione dell’armonia generale. Le ragioni per cui il defilato cineasta texano può vantare tanti devoti ammiratori e altrettanti detrattori accaniti si trovano anche in un caso, più unico che raro, di un cinema capace di ripensarsi da cima a fondo. Considerazioni che valgono anche per The New World, quarto lungometraggio in trent’anni, forse il meno convincente della sua produzione (anche perché stretto tra due “vasi di ferro” quali La sottile linea rossa e il The Tree of Life fresco vincitore dell’ultima Palma d’oro), eppure bene in linea con una poetica appena ritrovata e sempre inconfondibile.

Prima di lasciare spazio alle sontuose orchestrazioni di James Horner (mortificate in fase di montaggio), apre il film il preludio de L’oro del Reno di Wagner, primo teorizzatore della Gesamtkunstwerk, vale a dire l’Opera Totale che sintetizza in sè tutte le espressioni artistiche. Il riferimento è assieme filosofico, filologico (Wagner è il “padrino” dei primi compositori per il grande schermo) ed estetico, visto che al teatro d’opera la pellicola è legata non solo per la grandiosità scenografica: la vicenda in tre atti della giovane indiana “conquistata” dal capitano Smith può ricordare una Madama Butterfly ambientata nelle americhe selvagge, oppure La traviata, per l’involontaria ascesa della protagonista alla buona società, con tanto di drammatico epilogo.

A poco vale ricordare che si sta parlando dello sbarco dei conquistatori nel nuovo continente, o che la trama corrisponde a grosse linee al mito di Pocahontas, dal quale vengono opportunamente levati sia il nome dell’eroina sia il gusto ipocrita da fiaba colonialista. La storia in sè viene presto trascesa, anzi, proprio le sequenze in cui la regia si accomoda troppo sul succedersi degli eventi risultano di fatto le meno interessanti. Nè servirebbe sforzarsi di citare alla lettera le frasi pronunciate dalle voice over che, come consuetudine nella filmografia malickiana, accompagnano la narrazioni. Brevi sinossi o quotazioni per esteso non darebbero comunque conto del film che, esattamente come una sinfonia, è tale solo una volta considerato nella sua totalità, apprezzata l’armonia fra le singole parti. Se proprio bisogna assegnare un ruolo da solista questo va alle immagini: più di ogni dialogo e di qualunque cosa scritta in sceneggiatura, infatti, contano le contrapposizioni visive, fra la vegetazione libera delle foreste e quella dei regali giardini inglesi, perfettamente squadrati; o tra i floridi insediamenti degli indios da una parte e dall’altra gli accampamenti dei colonizzatori, dopo pochi mesi già inariditi da una civiltà che, letteralmente, brucia la terra su cui cammina.

Visto il suo credo animista, possiamo presumere che le simpatie dell’autore vadano agli indigeni, a coloro che dimostrano di saper vivere ancora in sintonia con la natura circostante. Eppure, almeno a giudicare dalla regia, il film non parteggia per nessuno: non si assume il punto di vista né dei colonizzatori né dei colonizzati, non si rincorre il ritmo concitato della guerra, e forse nemmeno gli alti e bassi che avvicinano e allontanano l’eroina dal suo amante e dal suo amato. In sostanza, non sta dalla parte degli uomini: delle “umane vicende” Malick se ne infischia alla grande. La sua attenzione è distratta da tutt’altro, da ciò che gira intorno, da ciò che sta troppo in basso o troppo in alto (frequenti le inquadrature “rasoterra” fra le fronde o verso il sole che filtra tra le foglie degli alberi). Le stesse voci interiori, più che alla coscienza o al pensiero dei personaggi, danno espressione alla loro natura profonda, così profonda che forse nemmeno loro la riconoscerebbero come propria.

Questa è la Terra sulla quale Terrence Malick tiene accostato l’orecchio, una Natura che neanche il mito del “mondo incontaminato” può ridurre allo stereotipo ambientalista del paesaggio passivo e indifeso. Al contrario, si tratta di un Essere Unico che attraversa e comprende in sé anche gli esseri umani e i loro destini: piccoli, per quanto centrali. Un’Opera Totale che ingloba in sé tutte le possibili espressioni dell’esistenza. Se allo spettatore smaliziato risulterà difficile abbracciare una visione mistica e del mondo, non lo sarà di meno resistere al suo fascino.

TITOLO ORIGINALE: The New World; REGIA: Terrence Malick; SCENEGGIATURA: Terrence Malick; FOTOGRAFIA: Emmanuel Lubezki; MONTAGGIO: Richard Chew, Hank Corwin, Saar Klein; MUSICA: James Horner; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2005; DURATA: 151 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.