Guy Debord: il détournement come metodo compositivo PDF 
Laura Poluzzi   

L’ultima sequenza del primo film di Debord, Hurlements en faveur de Sade (1952), termina con un silenzio di ventiquattro minuti durante il quale lo schermo rimane nero. L’autore dopo aver provocatoriamente dichiarato che il cinema è morto, esibendo un fascio di luce e ombra privato del proprio potere fantasmagorico fa dell’interruzione l’essenza stessa della visione, conducendo in tal modo Hurlements a incarnare il grado zero del cinema. La percezione del montaggio, già di per sé esperienza di discontinuità, si prolunga nell’interruzione che “può allora estendersi a manifestarsi in sé, come lo schermo nero, lo schermo bianco”(1). Questa immagine-tempo, costituita dall’interruzione, è classificata da Deleuze come una delle tre componenti del cinema cerebrale, in quanto tale immagine “mette il pensiero in rapporto con un impensato, l’inevocabile, l’inesplicabile, l’indecidibile, l’incommensurabile”(2), laddove “il fuori o il rovescio delle immagini hanno sostituito tutto, mentre l’interstizio o l’interruzione hanno sostituito l’associazione”(3).

Il film che nasce all’interno del Mouvement Lettriste è in primo luogo legato al progetto del superamento dell’arte attuabile mediante il gusto della negazione generalizzata. In secondo luogo l’introduzione di frasi detournées da opere letterarie e quotidiani d’informazione costituisce un primo passo verso quella che sarà l’opera seguente dell’autore all’interno dell’Internazionale Situazionista. Si apre conseguentemente per Debord una fase volta a fare del cinema un mezzo di propaganda attraverso l’utilizzo del détournement come metodo di recupero di elementi già dati. La prassi dell’autore è da ora in poi orientata al riutilizzo di elementi contenenti in sé la propria critica e il proprio superamento, alfine di condurre il cinema verso un nuovo dominio di natura critico-sociale. Per i membri dell’Internazionale Situazionista il cinema si prospetta come un sostituto passivo di quella attività artistica unitaria che sarebbe doveroso realizzare. L’importanza del cinema è dovuta “alla maggior forza di condizionamento dei mezzi che mette in azione e comporta necessariamente il suo accresciuto controllo da parte della classe dominante”(4). Di conseguenza diviene necessario avviare una lotta “per impadronirsi di un settore realmente sperimentale nel cinema”(5). Per opporsi alle tendenze dominanti, si impone il dovere di utilizzare l’eredità artistica e letteraria dell’umanità a fini di propaganda partigiana, mediante “l’interferenza di due mondi sentimentali, la messa in presenza [di] due espressioni indipendenti [che] superano i loro elementi primi, ottenendo un’organizzazione sintetica di efficacia superiore”(6).

Accostando due frammenti che derivano da opere diverse, se ne nega certamente il significato originario, ma si ottiene difatti una riconnotazione leggibile come un processo di negazione della negazione: “Di fatto, il collage, reso famoso dal cubismo nella dissoluzione dell’arte plastica, non è che un caso particolare (un momento distruttivo) del détournement: è lo spostamento, infedeltà dell’elemento. Il détournement, formulato per primo da Lautrémont, è un ritorno a una fedeltà superiore dell’elemento. In ogni caso, il détournement è dominato dalla dialettica devalorizzazione-rivalorizzazione dell’elemento, nel movimento di un significato unificante”(7). L’accumulazione di elementi détournés vuol marcare l’indifferenza situazionista per un originale svuotato di significato e dimenticato. Si attua una distinzione tra quello che viene chiamato détournement minore détournement di un elemento che non ha importanza autonoma e che dunque deriva tutto il suo senso dalla messa in presenza che gli si fa subire, come una frase neutra e un ritaglio di giornale), e il détournement abusivo (che ha per oggetto un elemento significativo in sé: elemento che dal nuovo accostamento trarrà un valore differente, come, ad esempio, uno slogan di Saint-Just o una sequenza di Ejženštein). Un tale impiego di elementi artistici preesistenti, per mezzo dei quali l’I.S porta avanti la propria critica mascherata nel doppio gioco dell’arte e della sua negazione, conferisce ad ogni elemento détourné una nuova forza, attraverso la coesistenza del significato antico e immediato, di un doppio fondo, oggetto al contempo di negazione e preludio. In un breve testo, scritto nel 1972, dopo aver realizzato l’adattamento cinematografico del proprio libro La società dello spettacolo (1967), e significativamente intitolato Note sull’uso dei film rubati, Guy Debord spiega che “il détournement non era nemico dell’arte. […] Nel film La Société du spectacle, i film (di finzione) da me détournés non sono dunque presi come illustrazioni critiche di un’arte della società spettacolare, contrariamente, per esempio, ai documentari e alle attualità. Questi film di finzione rubati, estranei al mio film ma in esso trasportati, sono incaricati, qualunque potesse essere il loro senso precedente, di rappresentare, al contrario, il ribaltamento del “ribaltamento artistico della vita”. Dietro lo spettacolo c’era la vita reale che è stata deportata al di là dello schermo. Ho preteso di “espropriare gli espropriatori”(8).

Il détournement è dunque un metodo de-costruttivo attraverso il quale avanzare un’ampia critica generale alla società attuale. Critica nel suo contenuto, quest’arte diviene critica di per sé nella sua forma. Debord ritiene che il plagio sia un’operazione necessaria implicata dal progresso, alfine di cancellare un’idea falsa e sostituirla con un’idea vera. Ciò ha a che fare, come nota Agamben, con lo stretto legame che intercorre tra il cinema e la storia, relativamente alla carica storica contenuta nelle immagini e all’esperienza che l’uomo fa attraverso di esse, una volta che le ha riconosciute in quanto tali. La storia, alla quale si fa riferimento è una storia non cronologica ma messianica, escatologica, dove qualcosa deve essere ultimato e giudicato, qui e altrove, liberato dalla cronologia, in un tempo incalcolabile. È secondo tale lettura allora, che Debord può essere accostato al Godard delle Histoire(s), laddove il mezzo filmico assurge sì al ruolo di salvatore, ma dove è al contempo in dovere di salvare sé medesimo. Debord esibisce come tali, leduepossibilità fondamentali del montaggio: la ripetizione e l’arresto, che passano in primo piano. Attraverso la ripetizione non vi è ritorno dell’identico ma, al contrario “La ripetizione restituisce la possibilità a ciò che è stato, lo rende nuovamente possibile. Ripetere una cosa significa renderla di nuovo possibile. Di qui la prossimità tra ripetizione e memoria. […] La memoria è per così dire l’organo di moralizzazione del reale, che può trasformare il reale in possibile e il possibile in reale.  […] Si può definire il deja-vu come il fatto di percepire qualcosa di presente come se fosse già avvenuto, e il suo inverso, il fatto di percepire come presente qualcosa che è già avvenuto. Il cinema ha luogo in questa zona di indifferenza”(9). È la ripetizione dello schermo bianco, o dello schermo nero, che si rende di nuovo possibile. All’interno di tale processo, il ricordo fa dell’incompiuto un compiuto, e del compiuto un incompiuto. Questo è a nostro parere il senso dei détournements di Debord, che ci ripropone le “sequenze rubate” intrise di un nuovo significato, all’interno di una ricostruzione dal significato altro. Egli rivendica il già avvenuto, il già dato, sul quale non abbiamo avuto alcuna possibilità di intervento, ma che siamo sottoposti a rivedere e a ripensare. Il cinema diviene allora un modo di “proiettare la potenza e la possibilità verso ciò che è per definizione impossibile, verso il passato”(10), ovvero, per utilizzare le parole di Deleuze: “Ora l’eterno ritorno ha un bell’essere altrettanto catastrofico che l’entropia, e il ciclo altrettanto degradante in tutte le sue parti, ciò non toglie che sprigionano una potenza spirituale di ripetizione che pone in modo nuovo la questione di una salvezza possibile”(11).

Rendendo la ripetizione, del détournement e attraverso il détournement, il suo principio compositivo, Debord apre uno spazio di indecidibilità tra il reale e il possibile, come quando ci mostra sequenze di fatti già compiuti, tratte da documentari o da telegiornali. L’arresto è il secondo elemento di possibilità del montaggio, uno spazio temporale nell’attesa “prolungata tra l’immagine e il senso. Anche qui non si tratta tanto di una pausa, quanto di una potenza di arresto che lavora dall’interno l’immagine stessa, la sottrae al sistema narrativo per esporla in quanto tale”(12). Nei film di Debord “ogni immagine, nel suo quadro, attraverso il suo quadro, deve essere l’esposizione della relazione mentale”(13). Emerge dunque il significato del commento che accompagna l’immagine: questo vuol farci uscire dalla relazione mentale abituale che accompagna la rappresentazione adesso détournée. La voce-over che ci guida verso un nuovo significato, è la base per una nuova possibile connotazione, e di conseguenza per un nuovo tipo di affezione derivante da una nuova relazione intellettuale che essa suggerisce e incarna. La relazione tra le immagini, che Deleuze definisce come terzità, è in Debord un dirottamento delle relazioni usuali, mediante il rapporto aggiunto dalla teoria in collisione con l’immagine simbolica, e dall’insieme della relazione tra le immagini in sequenza che esibiscono in modo completo, l’insieme di sfere separate della vita spettacolarizzata, in quanto “non c’è opera d’arte che non faccia appello a un popolo che non esiste ancora”(14). Con l’obiettivo di smascherare la menzogna dello spettacolo, Debord, dopo aver liberato il significato delle parole dal senso garantito dal linguaggio del potere dominante, nel suo film La Société du Speclacle libera anche le immagini spettacolari che vengono riconnotate, mediante la pratica del détournement unita al commento svolto dalle tesi filosofiche tratte dai primi quattro capitoli dell’omonimo testo. Queste nuove immagini-relazione “non sono leggibili intuitivamente e il loro senso va cercato nella storia che le riguarda, nella loro funzione di simbolo all’interno della cultura a cui appartengono. La nuova immagine allude a visioni del mondo alternative dove il tempo può seguire una linea spezzata o un percorso circolare e non essere più strutturato secondo l’idea di un fine a cui tendere”(15). Mediante tale procedimento, Debord riesce a riutilizzare anche le immagini più propriamente spettacolari e illusorie, come quelle pubblicitarie, sradicandole dalle relazioni simboliche e allusive originarie e restituendo unità alla parcellizzazione, all’interno del contesto costituito dalla sua analisi critica. Secondo le parole di Deleuze “i concetti sono immagini, sono immagini di pensiero. Comprendere un concetto non è né più difficile, né più facile che guardare un’immagine”(16).

Qui lo spettatore deve però riuscire a comprendere, oltre al significato del pensiero e al significato originario dell’immagine, il nuovo messaggio che scaturisce dal loro incontro che in questo film diviene di maggior complessità, per la densità già contenuta nel solo commento. I titoli di testa ci informano che le sequenze dei film di finzione alle quali assisteremo sono détournements tratti dai seguenti film: Rio Grande (Rio Bravo) di John Ford (1950), Johnny Guitar di Nicholas Ray (1954), The Shanghay Gesture (I misteri di Sanghai) di Joseph Von Sternberg, They Died with Their Boots on (La storia del generale Custer) di Raoul Walsh (1941), Mr. Arkadin (Rapporto confidenziale) di Orson Welles (1955), For Whom the Bell Tolls (Per chi suona la campana) Sam Wood (1943), oltre a un certo numero di cineasti burocratici di paesi detti socialisti; Debord decide di fare del cinema a partire dalle immagini stesse del cinema. La Société du Spectacle si apre con la dedica per Alice Becker-Ho, seguita subito dopo dalla sequenza di un lungo streap-tease accompagnato dal seguente commento: “Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”(17), dètournement della prima tesi debordiana. Numerose sono le immagini che ci mostrano operai a lavoro all’interno di grandi fabbriche, intenti a svolgere il loro lavoro reificante, mentre il commento recita che “la separazione fa anch’essa parte dell’unità del mondo”(18). L’enorme positività ed indiscutibilità presentate dallo spettacolo sono rappresentate dall’immagine di Fidel Castro intento a parlare, di fronte alle telecamere prima, e davanti ad una folla riunita dopo. L’interruzione del film è dovuta ad una didascalia che ci spiega: “Là dove il mondo reale si muta in semplici immagini, le semplici immagini diventano esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico”(19). Il discorso intorno al potere, come specializzazione sociale più antica, viene accostato da Debord a delle immagini attorno al recinto di grida della Borsa, dove numerosi broker si agitano con passione. L’enunciazione della tesi n. 34, secondo la quale “lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”(20), è accompagnata da una ripresa della terra effettuata dalla luna, interrotta da un cartello che annuncia: “Si potrebbe riconoscere ancora qualche valore cinematografico a questo film se questo ritmo si mantenesse, ma non si manterrà”(21). Subito dopo viene sottolineato che “è il linguaggio della contraddizione, che deve essere dialettico nella sua forma come lo è nel suo contenuto. Esso è critica della totalità e critica storica”(22), mentre assistiamo a una sequenza sulla guerra civile russa. Questa sequenza e la seguente sembrano riassumere il senso del film stesso, il manifesto teoretico e pratico dell’autore. Difatti nell’immediato Debord enuncia la tesi n. 209 sul détournement, mentre sullo schermo continua la battaglia tra truppe zariste e partigiani; un cartello interrompe la sequenza per comunicarci che: “Ciò che lo spettacolo ha preso alla realtà, bisogna riprenderglielo. Gli espropriatori spettacolari devono essere a loro volta espropriati. Il mondo è già filmato. Si tratta ora di trasformarlo”(23). Il discorso sul feticismo della merce viene affiancato da una sequenza pubblicitaria animata da una serie di cover-girl in costume da bagno, mentre come esempi di vedette spettacolari, Debord mostra i Beatles, François Mitterrand e Marilyn Monroe. La falsa lotta spettacolare delle forme apparentemente rivali del potere è invece rappresentata da una sequenza documentaria che ci mostra Nixon in visita da Mao Tse-tung.

Le definizioni di potere a spettacolare concentrato e di potere a spettacolare diffuso trovano i loro rispettivi referenti visivi, in una carrellata su Hitler il primo, e in una serie di sequenze di merci pronte per essere messe sul mercato il secondo. La riflessione sull’abbandono della memoria storica, da parte del dominio spettacolare, è articola da Debord lungo una sequenza tratta dal film Per chi suona la campana, mentre un dètournement di Machiavelli accompagna La Battaglia di San romano, di Paolo Uccello, studiata nel dettaglio. L’autore ci informa che, affinché la storia diventi cosciente è necessaria la partecipazione agli eventi storici da parte di gruppi estesi di individui; in contemporanea, sullo schermo vediamo un détournement da La corazzata Potëmkin di Ejženštein che rappresenta il momento in cui i fucilieri rifiutano di procedere all’esecuzione dei propri compagni ammutinati. Mentre la rappresentazione operaia oramai scissa dalla classe operaia trova la propria immagine nella figura di Trotzkij, l’infedeltà ideologica è incarnata da Stalin. La Sonata in re maggiore, per violoncello e clavicembalo di Corrette accompagna le sequenze documentarie dell’occupazione dell’Università Sorbonne nel 1968, esentate dal commento dell’autore. Il film è concluso da un détournement, dagli scritti di Clausewitz sulla campagna militare del 1814 a Lipsia, che riassume il significato dell’opera cinematografica di Debord, all’interno del suo progetto rivoluzionario: “Ciò che invece costituisce il merito della nostra teoria è il fatto di non avere un’idea giusta, ma di essere stati naturalmente condotti a concepire tale idea giusta. In sintesi, è inutile ripetere che qui, come nell’intero campo della pratica, la teoria interviene assai di più per formare l’individuo pratico, per determinarne il giudizio, che per servirgli da sostegno indispensabile a ogni passo che necessita la realizzazione del suo compito”(24). L’appello di Debord è un appello a un popolo che non esiste, a un popolo intenzionato a liberarsi dalla propria condizione di lavoratore e consumatore; come ricorda Deleuze “se esistesse un cinema politico moderno, si fonderebbe su questa base: il popolo non esiste più, o non ancora… il popolo manca”(25), per questa ragione “l’arte cinematografica, deve partecipare a questo compito: non rivolgersi a un popolo presupposto, che c’è già, ma contribuire all’invenzione di un popolo”(26).

Note:
(1) G. Deleuze, L’immagine Movimento. Cinema 1, Ububibri, Milano 1984, p. 247
(2) Idem.
(3) Idem.
(4) Anonimo, Con e contro il cinema, in “Internazionale situazionista”, n. 1, p. 9, all’interno di
Internazionale situazionista, Nautilus, Torino 1994.
(5) Idem.
(6) G. Debord, G. Wolman, Mode d’emploi du détournement, in “Les Lèvres nues”, n. 8, maggio
1956, Bruxelles; ripubblicato nell’edizione critica di In girum imus nocte et consumimur igni, Gallimard,
Parigi 1999; riprodotto in Guy Debord (contro) il cinema, Il Castoro/La Biennale di Venezia, Milano
2001, p. 44.
(7) Anonimo, Il ruolo di Godard, in “Internazionale situazionista”, n. 10, p. 59, all’interno di
Internazionale situazionista, Nautilus, Torino 1994.
(8) G. Debord, Note sur l’emploi des films volés, nota inedita pubblicata per la prima volta
nell’edizione critica di In girum imus nocte et consumimur igni, Gallimard, Parigi 1999, riprodotto
in Guy Debord (contro) il cinema, Il Castoro/La Biennale di Venezia, Milano 2001, p. 98.
(9) G. Agamben, Il cinema di Guy Debord, in Guy Debord (contro) il cinema, Il Castoro/La
Biennale di Venezia, Milano 2001, p. 105.
(10) Idem.
(11) G. Deleuze, L’immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984, p. 157.
(12) G. Agamben, op. cit., p. 106
(13) G. Deleuze, L’immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984, p. 229.
(14) G. Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione?, Cronopio, Napoli 2003, p. 24.
(15) G. Deleuze, L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1984, p. 227.
(16) G. Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione? , Cronopio, Napoli 2003, p. 39.
(17) G. Debord, La Société du Spectacle, in Opere cinematografiche, Bompiani, p. 52.
(18) Ivi, p. 53.
(19) Ivi, p. 55.
(20) Ivi, p. 57.
(21) Idem.
(22) Ivi, p. 58.
(23) Ivi, p. 60.
(24) Ivi, p. 65.
(25) G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1985, p. 240.
(26) G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1985, p. 240.

 


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