Verso la fine dell’estate 1947 Visconti scriveva, nella sua casa di Ischia, appunti in gran segreto. Era il nucleo della storia della famiglia Valasco tratta dai Malavoglia di Giovanni Verga. Il progetto iniziale prevedeva un documentario sulla Sicilia, finanziato dal Partito Comunista. Un soggetto tripartito, tre linee che correvano parallele e che si sarebbero intrecciate; episodi ispirati da tre soggetti sociali: i pescatori, i minatori, i contadini. E finali differenti: la sconfitta del singolo, la speranza del gruppo, la “vittoria” solidale della collettività. Ma la volontà di Visconti, che risaliva al 1941, di portare sul grande schermo le vicende di ‘Ntoni e della sua famiglia, narrate da Verga, avevano preso il sopravvento. Si era così deciso di portare avanti soltanto il primo episodio, tra numerose, e felicemente risolte, difficoltà economiche. I mezzi, erano piuttosto scarsi: niente dolly, niente gru. Soltanto una Debrie 300 e un’Ascania, racconterà Rosi, assistente di regia con Zeffirelli. Una gru artigianale verrà costruita in legno dai pescatori quando il regista la richiederà.
Il soggetto “è la vita di questa gente”, dirà Visconti. La vita di una famiglia di pescatori, di un ragazzo (‘Ntoni) che, inizialmente con i suoi amici, si ribella allo sfruttamento dei grossisti, poi decide di mettersi in proprio. I primi successi, la speranza mista alla convinzione di avercela fatta. Ma poi il rovesciamento, portato da una tempesta che distrugge la barca. Le vendite a basso costo delle acciughe rimaste e la famiglia che implode in una serie di singole strade fallimentari. ‘Ntoni, l’unità, costretto a tornare a sottomettersi a quella stessa collettività contro cui aveva lottato, a cui si era ribellato. “La vita di questa gente”: perchè Visconti interagisce con i suoi attori improvvisati. Gli abitanti di Acitrezza, ai quali il regista, sulla base della trama, chiedeva di intervenire con frasi spontanee; con le parole che loro stessi avrebbero utilizzato in quella situazione.
Il realismo è la chiave di lettura. Negli anni in cui il neorealismo, con De Sica e Rossellini, era il marchio degli autori del secondo dopoguerra, Visconti diceva in un’intervista: “Sarebbe meglio parlare di realismo, semplicemente”, riferendosi a “La terra trema”. Realismo che partiva da una base documentaria, poggiata sul piano ideologico socialista, e che veniva poi filtrato dalla mediazione colta e attenta del fotografo: Aldo. Filtro visibile nel taglio delle inquadrature, nella composizione del quadro, nella carrellata panoramica da sinistra a destra della prima sequenza, quando nel silenzio nelle case si nasconde il conflitto di classe che poco dopo scoppierà. La lingua è il dialetto catanese, per Visconti “una lingua straordinaria, una lingua che ha delle immagini”. D’altronde “la lingua italiana non è in Sicilia la lingua dei poveri”.
Film presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 1948. Ottiene il premio internazionale “per i suoi valori stilistici e corali”. Ostacolato da pressioni perchè non uscisse nelle sale cinematografiche, coinvolto in una “bagarre” politico-ideologica. Soltanto nel maggio 1950 farà il suo ingresso nelle sale, con un’edizione ridotta e doppiata in lingua; il pubblico non sancì il suo successo.
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