TFF 28/John Boorman e il suo tranquillo weekend di paura PDF 
Michele Segala   

Il John Boorman premiato all'ultimo Torino Film Festival (Gran Premio Torino alla carriera) è un regista ed autore che molto ha dato al cinema, ma la cui parabola va ben inserita all’interno della storia della Hollywood a cavallo fra anni Sessanta e Settanta: una Hollywood nel mezzo di una crisi commerciale e culturale dovuta da un lato al crescente potere del mezzo televisivo (cui molti studios prestarono le forze per i primi serial tv), dall’altro alla critica ad un sistema di valori, quello americano, che aveva nella controcultura contestataria e pacifista e nei nuovi registi della cosiddetta new Hollywood le sue forme più visibili di impatto sulla società. E non è un caso che sia stato proprio un film a divenire in quegli anni una fra le icone più rappresentative di un'intera epoca: Easy Rider rappresentò, infatti, per molti giovani fruitori di cinema un primo sguardo sul mondo della controcultura, mentre per chi il cinema lo faceva fu una piccola rivelazione che diede il via alla produzione di molti film indipendenti e a basso costo. In tutto questo, per la generazione che non ricordava la seconda guerra mondiale e che viveva come un’assurdità l’idea di combattere a mezzo mondo di distanza per l’idea di difendere una presunta libertà, per tutti questi giovani insomma, il cinema della nuova Hollywood (che riscopriva gli esterni ed usava con fare espressionista il montaggio) era legato a doppio filo con i fatti che scuotevano quegli anni di vita americana, fatti che erano tenuti invece ben lontani da una televisione dai toni eccessivamente edulcorati: il Bonnie & Clyde di Arthur Penn raccontava così delle loro rabbia giovanile, Il Laureato dipingeva una contestazione tutta interna ai valori familiari e che non temeva di toccare il tabù sesso, tema trattato con ancora minor timore da Un uomo da marciapiede

Dal canto suo, Boorman, inglese immigrato da poco nella mecca del cinema, dapprima, con il suo Senza un attimo di tregua, traghettava verso la California un modo di filmare il noir che più che ai classici del genere anni Quaranta made in USA era debitore delle sue rivisitazioni compiute dai giovani della nouvelle vague, poi affrontava per la prima volta con Duello nel Pacifico – seppure con alcune rigidità ideologiche – uno dei topoi che più gli saranno cari nel corso degli anni, quello dell'incontro/scontro tra uomo e natura, e nel 1970 giungeva di nuovo a strizzare l'occhio alla cultura europea grazie all’amara commedia Leone l’ultimo. Ma sarà con Un tranquillo weekend di paura del 1972 che il cineasta britannico verrà baciato dal successo, con un film che, nei suoi 100 minuti di azione e dramma, riassume in sé molte delle tensioni che aleggiavano nell’America delle nuove generazioni. Così,  la vacanza vissuta da taluni come “fuga dalla città” e da altri come  “vita vera, senza compromessi”, ben rappresenta lo scontro tra l’ideologia calvinista ed anglosassone del lavoro e l’insoddisfazione sociale di quegli anni. Ma oltre a servire da volano per le proteste che agitavano le menti e le strade di quegli Stati Uniti, Un tranquillo weekend di paura riallaccia ed approfondisce gli interrogativi precedentemente affrontati da Boorman in Duello nel Pacifico: quale convivenza fra uomo e natura? Quale dei due mondi è il più violento? Quale il più giusto?

Un tranquillo weekend di paura preferisce non dare risposte certe (in questo differenziandosi, e di molto, dall’ecologista Il fiume verde di 13 anni più in là), ma piuttosto vive proprio di questa incertezza, incarnata perfettamente dai due personaggi principali (Lewis ed Ed) e dal loro progressivo scambio di ruolo: se infatti all’inizio della pellicola Lewis (Burt Reynolds) si identifica fieramente con un’ideologia protoselvaggia, talvolta rischiando di sfiorare un ridicolo machismo, il timido Ed di Jon Voight rappresenta piuttosto l’americano medio con un buon impiego, una famiglia, e che non vuole rischiare troppo. Ma in seguito, con l'evolversi degli eventi, i ruoli finiscono per confondersi ed Ed sarà costretto a prendere il posto di Lewis come leader ed unico oppositore alla Natura (che, però, come diceva Lewis, “non si può battere”), rincorrendo la quale sono caduti in una spirale di morte, ma anche e soprattutto alla violenza tutta umana figlia prima di una presunta depravazione etica e morale (lo stupro, la presupposta consanguineità incestuosa dei bifolchi del luogo, che si accoppierebbero tra di loro e per questo genererebbero freak e depravati) e poi di una paranoia che deforma la realtà agli occhi delle vittime (Ed, Lewis, Bobby e Drew) fino al punto di trasformarli in carnefici.

Questo, dunque, il cuore di Un tranquillo weekend di paura, l’incontro/scontro non solo con una Natura che – idolatrata, idealizzata, specialmente dallo spavaldo Lewis –, in realtà, più che essere un'antitesi della civiltà che distrugge per costruire solamente per sé (come ne Il fiume di smeraldo), è uno schermo dietro al quale si celano le colpe e le paure di uomini vacui che anelano ad una vita più pura sì, ma soltanto a patto che si riesca a tornare in tempo “per la partita in tv” della domenica sera. Dietro tutti gli alberi e al di là di tutti i vortici d’acqua non c’è un pericolo atavico, ma, da un lato, uomini che attentano alla vita dei protagonisti e, addirittura, alla loro virilità (lo stupro di Bobby), e dall’altro le insicurezze di quattro canoisti dilettanti. Presto, infatti, al primo scontro con la realtà, i ruoli di Ed e Lewis dapprima si sfaldano e poi si mescolano fino ad incrociarsi: Lewis dà i primi segni di cedimento della propria mascolinità quando Ed lo scuote di mattina presto per farlo alzare, e invece di essere pronto a saltare in piedi fieramente, come ci si aspetterebbe dal personaggio conosciuto fino a quel momento, mugugna qualche monosillabo incomprensibile con una vocina flebile, rimanendo accartocciato dentro al suo  sacco a pelo, mentre Ed sente il richiamo della foresta e va a caccia (non riuscendo però ancora ad uccidere). Ma è con lo stupro subito da Bobby da parte dei due bifolchi che avviene la svolta definitiva: quando Lewis si ferisce ad una gamba, ecco che non accenna ad alcuna resistenza, ma invece si accascia per non alzarsi mai più, di fatto eclissandosi sino alla fine del film, mentre Ed prende l’arco che solo poche ore prima non aveva saputo usare come forse avrebbe dovuto e scala niente meno che una intera parete di roccia per andare ad uccidere un uomo (della cui colpevolezza però lo stesso Ed in seguito non si dice sicuro…).

Al loro ritorno alla civiltà, all’ultima discesa in canoa, trovano però la legge ad attenderli e, negli ultimi, inaspettati venti minuti di Un tranquillo weekend di paura, ad azione ormai conclusa, la storia non sembra volersi chiudere, e sono gli stessi superstiti di questo weekend a non capacitarsene: balbettano di fronte ai rappresentanti della legge e si accusano a vicenda, nella speranza che gli ultimi due giorni, la violenza subita, gli omicidi commessi, l’amico morto forse suicida, vengano inghiottiti dall’acqua che presto andrà a sommergere tutta la valle.

TITOLO ORIGINALE: Deliverance; REGIA: John Boorman; SCENEGGIATURA: James Dickey; FOTOGRAFIA: Vilmos Zsigmond; MONTAGGIO: Tom Priestley; MUSICA: Eric Weissberg; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1972; DURATA: 109 min.

 


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