Benvenuti a Sarajevo PDF 
Tiziano Colombi   

Nel 1997 il regista Michael Winterbottom girò il suo film sulla guerra in Bosnia. Trasse spunto dal libro Natasha's story di Michael Henderson, inviato speciale di una rete televisiva inglese nella ex Jugoslavia. Mentre seguiva la fuga dei profughi da Vukovar, il giornalista rimase colpito dalla storia infame di un orfanotrofio posto sulla linea del fuoco e costantemente minacciato dai bombardamenti. Decise che quel racconto era una notizia fondamentale. Smise di inseguire altre storie e insistette nel suo racconto. La vicenda di quei bambini divenne la sua ossessione. Sperò di sensibilizzare l’opinione pubblica europea e i governi del continente a occuparsi della questione. Non ci riuscì. La sua fu una battaglia personale, al termine della quale, però, riuscì a portare in Italia e adottare una bambina.

Winterbottom riprese questa “piccola” storia personale e la diluì in un film che, ancora oggi, riempie gli occhi dello spettatore di guerra. Già assistente di Lindsay Anderson, i primi lavori del regista inglese furono principalmente televisivi, dalla fiction Rosie the Great (1989) al documentario su Ingmar Bergman Ingmar Bergman - The Magic Lantern (1989), passando per qualche episodio del telefilm Dramarama (1989). 
Proprio questa formazione è evidente in Benvenuti a Sarajevo, come sottolineò il critico cinematografico Umberto Mosca nella sua recensione del tempo: “aprendo il film con le riprese autentiche di quei giorni, Winterbottom spera di restituire un significato a quelle immagini, facendole ritornare di attualità, dopo essere state neutralizzate dal grande contenitore spettacolare e rassicurante dei mass media e della televisione in particolare. Centrale nel film è infatti proprio il discorso con e su le immagini”. Winterbottom fece un film sull’indifferenza. Sentimento vile che colse tutti in quegli anni. Storicamente disabituati alle guerre, i popoli europei, stettero a “guardare”. Le istituzioni internazionali presero decisioni opinabili con colpevole ritardo.

Nicola Porro sul Corriere della Sera definì il film schizofrenico, probabilmente a causa della sua struttura fatta di un abile missaggio di fiction e materiale di repertorio. A distanza di quindici anni una tale commistione di immagini non solo non apparirebbe “irregolare” ma, in alcuni casi, verrebbe definita desueta. Lietta Tornabuoni su La Stampa chiuse il suo pezzo a commento del film ammirandone il coraggio visivo e le scelte narrative: “sarà magari più una buona azione che un bel film, ma lascia capire tutto lo strazio dell'assedio di Sarajevo meglio di quanto non abbiano fatto a suo tempo i notiziari televisivi, condanna aspramente una viltà dei leader politici europei, racconta con emozione una di quelle tragedie individuali della guerra nell'ex Jugoslavia sempre ignorate oppure mistificate dalla teleipocrisia del “caso umano”. Utilizzando pure materiali documentari, il film vede la guerra con gli occhi dei giornalisti inviati speciali a Sarajevo chiusi nell'albergo Holiday Inn, per primo il reporter-star americano Woody Harrelson. Il racconto forte e sdegnato, capace di suscitare in ciascuno un senso di vergogna, risulta quindi quadruplo: la guerra, le vittime della guerra, i narratori della guerra, gli spettatori della guerra”.

Titolo originale: Welcome to Sarajevo; Regia: Michael Winterbottom; Sceneggiatura: Frank Cottrell Boyce; Fotografia: Daf Hobson; Montaggio: Trevor Waite; Scenografia: Mark Geraghty, Kemal Hrustanovic; Costumi: Janty Yates; Musiche: Adrian Johnston; Produzione: Miramax Films, Channel Four Films, Dragon Pictures; Distribuzione: Mikado; Durata: 103 min.; Origine: UK/USA, 1997

 


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