Da zero a dieci PDF 
di Lorenzo De Nicola   

Dopo la sommaria descrizione della vita, attraverso la nascita e la crescita del protagonista, una lunga panoramica aerea accompagna lo spettatore su Rimini, la Las Vegas di Ligabue, dove quattro amici decidono di rivivere un magico weekend di vent'anni prima, drammaticamente spezzato dalla tragedia di Piazza Fontana.

L'intenzione del cantante/regista di dare vita ad una commedia agrodolce, che metta in scena i soliti trentenni spaventati dall'età che avanza e dalle conseguenti responsabilità (vedi L'ultimo bacio di Muccino) è evidente fin dalle prime battute. Basti pensare ai nomi dei protagonisti - Giove (Stefano Pesce), Libero (Massimo Bellinzoni), Biccio (Pierfranco Favino) e Baygon (Stefano Venturi) - per capire lo spessore dei vitelloni in questione, "non più così giovani" di provincia (probabilmente Correggio, per stabilire subito un parallelismo con il film precedente, suggerito anche dal fatto che il fratello di Giove è Freccia/Accorsi) che si riversano nella città del divertimento per chiudere i conti con il loro passato. È inutile ricercare i possibili riferimenti ad altre produzioni similari perché la lista sarebbe troppo lunga. Tutto il film sembra un deja-vu e difficilmente si riesce a sfuggire al sapore amaro che lascia tale considerazione.

Ligabue adora l'America - patria di quel blues che tanto omaggia - e i film americani, mostrandolo, indubbiamente, nella sua opera. Ma come avvertiva molti anni prima il suo collega Carosone, bisogna stare attenti con questo tipo d'operazioni: le fibbie gigantesche e gli stivali a punta magari passano inosservati nelle strade di Los Angeles, ma nella Rimini dei giorni nostri (anche se descritta come una città "inesistente", un non luogo) di certo non possono far altro che stridere. Forse però la volontà del cantautore improvvisatosi regista è di sottolineare la sospensione nel tempo dei suoi personaggi, l'esistenza inconclusa per quei venti anni che separano due weekend indimenticabili, il loro tentativo di allontanare il fantasma della routine e della monotonia quotidiana. E allora in questo caso bisogna ammetterne la riuscita, giacché i suoi personaggi si trasformano in macchiette impalpabili e inconsistenti che si muovono su binari preordinati. Il loro agire è già stato scritto in altri copioni, e le sorti conclusive in finali ben più appassionanti. Gli uomini proposti da Ligabue sono deboli rimasugli di un passato che se n'è andato per sempre, emblemi della ricerca di una felicità impossibile e interrotta da una tragedia improvvisa e insuperabile; uno per tutti il ricercatore d'oggetti in riva al mare (anche in questo caso Ligabue decide di abbandonarsi ad una suggestione felliniana, per poi proporre un personaggio inutile sia da un punto di vista narrativo sia da quello più propriamente esistenziale).
Libero come Freccia decide di darsi al morte alla ricerca di quel Dieci che finalmente lo sleghi dalla malattia e dal ricordo dell'amico morto. Gli altri torneranno mestamente alle loro tristi vite di provincia probabilmente senza aver capito il valore di una celebrazione così importante fatta per scherzo, quasi giocando, e che si è conclusa drammaticamente.

Dopo l'inaspettato successo di Radiofreccia, Ligabue ritenta le sorti della settima arte dando vita a una pellicola molto pretenziosa e - senza dubbio - meno riuscita della precedente. La sua regia non è proprio sicura e spesso si abbandona a soluzioni di dubbio gusto, che rimangono sospese tra le tecniche care al videoclip e quelle più classiche. Infatti, come abbiamo già detto, la passione del cantante per il cinema d'oltreoceano è manifesta e si ripercuote nello stile di ripresa. Lunghe carrellate e dolly la fanno da padrone in questa pellicola anche se, nuovamente, bisogna rilevare come a volte siano in contrasto con l'oggetto in questione. La sequenza finale del circuito automobilistico in cui troverà la morte uno dei personaggi è l'emblema di un'incertezza narrativa che connota l'intera sceneggiatura. Non solo l'ambientazione nel velodromo è tanto surreale quanto inverosimile, manifestando la vicinanza del regista al mondo pop e la sua lontananza da quello più underground, ma anche i dialoghi (in primis quello tra Giove e Festival!) oltre ad essere scontati, scadono facilmente nel grottesco.

Da zero a dieci è una pellicola minore che non riesce a soddisfare le premesse iniziali, non raggiungendo una vera e propria compattezza, sfilacciandosi gradualmente lungo i canonici novanta minuti della sua durata.

 


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