Poco prima di quei favolosi anni Sessanta, Alain Resnais non era che un documentarista promettente. Il suo Van Gogh aveva da poco vinto un Oscar e l’arte sembrava possedere talmente tante storie da raccontare che egli non pareva aver bisogno di molto altro per produrre film ad elevato contenuto qualitativo. Eppure, come spesso accade, la realtà superò la finzione e la perversione umana divenne molto più interessante da indagare rispetto al genio pittorico.
Era il 1955, la Nouvelle Vague non aveva ancora espiato le frustrazioni delle generazioni post moraliste francesi. Eppure, quando Notte e nebbia venne ritirato dal Festival di Cannes, nel 1956, la ferita della Seconda Guerra Mondiale trovava evidentemente serie difficoltà a rimarginarsi. A corrodere un’Europa di per sé già crivellata da due conflitti estenuanti, si cimentava infatti il senso di colpa di una nazione, la Germania, che come una donna sulla soglia della vecchiaia, stentava a riconoscersi di fronte allo specchio. Dietro alla profonda ruga che ancora solcava la sua fronte si nascondevano gli orrori perpetuati a Treblinka, Mauthausen, Dachau e in tutti gli altri luoghi dell’oblio in cui il tempo si era fermato al momento della Liberazione. Qualcuno negò. Qualcuno si vergognò. Qualcuno, come Resnais, prese la cinepresa e decise di compiere un viaggio ai confini della memoria. E quello che trovò fu di gran lunga peggiore di quanto il mondo si aspettasse.
Nonostante le difficoltà di produzione, dovute alla scarsa accessibilità dei documenti, Notte e nebbia raccoglie una serie di preziose immagini d’archivio che attraverso la muta severità del bianco e nero catapultano lo spettatore in un passato tutt’altro che remoto. Il collage di atrocità che si susseguono sullo schermo vengono mitigate dalla calma apparente delle rovine presenti, ciò che oggi rimane dei campi di concentramento: lenti piani sequenza, lungo i binari di un dolly che con una minuziosa perizia disseziona i corpi esangui di edifici fatiscenti, tetri, tanto ordinari nell’architettura quanto alienanti nello scopo. È così che il colore dell’erba nasconde quello del sangue e il silenzio della campagna inghiotte il grido della morte. Lo screenplay ruota attorno a tre perni che semplificano notevolmente la complessità globale del soggetto: costruzione e apertura dei campi; sistematico inizio della fine; chiusura del sipario. Il tutto accompagnato, nella versione originale, dalla voce di Michel Bouquet, due volte Premio César e cavaliere della Légion d'honneur dal 2007. Il suo commento è scritto dal poeta Jean Cayrol, il quale visse sulla propria pelle le atrocità dei lager e che per questo decise di comporre il monologo indipendentemente dalle immagini che tanto lo avevano provato nel corso di una prima visione. Il testo è insolitamente aulico, scelta che contrasta con una colonna sonora cinicamente caricaturale e che contribuisce a scatenare in chi guarda un ulteriore senso di disturbo.
Insignito del premio Jean Vigo per la sua portata sociale, Notte e nebbia resta un cortometraggio di denuncia, come l’inquietante messaggio finale lascia intendere: ricorrendo a quella filosofia che fu di Giambattista Vico, il pericolo del ricorso storico è dietro l’angolo. Da qualche parte, secondo Resnais, respirano già i prossimi aguzzini e, sebbene ci auguriamo che quest’inquietante profezia non abbia seguito, è ingenuo pensare che tale peste non possa più infettarci soltanto perché ci illudiamo sia appartenuta a un solo Paese e a una sola epoca.
TITOLO ORIGINALE: Nuit et brouillard; REGIA: Alain Resnais; SCENEGGIATURA: Jean Cayrol, Chris Marker; FOTOGRAFIA: Ghislain Cloquet, Sacha Vierny; MONTAGGIO: Alain Resnais, Anne Serraute; MUSICA: Hanns Eisler; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1955; DURATA: 32 min.
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