Nonostante le (buone) premesse, il primo sentimento post-visione di Hai paura del buio (in concorso alla Settimana Internazionale della Critica nell’ambito della 67esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia) è che il regista sia ancora in una fase di sperimentazione. Nella pellicola manca, infatti, una fase di definizione tecnicistica, benché sia apprezzabile la mancanza di scorci della televisione che fu materia prima dell’autore Massimo Coppola, oggi alla sua opera prima. Il soggetto è visibilmente ponderato, capace di sovvertire alcune convenzioni che abitano l’immaginario dell’italiano medio, ma la sceneggiatura, in particolare i dialoghi, appaiono davvero pressappochisti.
Certo, l’esordio appare accattivante: la prospettiva dall’alto fa emergere l’immagine di una fabbrica di “fantastiche operaie” (avrebbe detto il siculo Franco Battiato). Siamo a Bucarest, ed Eva (interpretata da Alexandra Pirici) non ha “niente da perdere”, giacché non le hanno rinnovato il contratto in fabbrica. Da subito, dunque, emerge il Coppola documentarista che mette in scena il dramma sociale della precarietà e la conseguente disoccupazione giovanile. Si osserva persino un omaggio al Nanni Moretti di Sogni d’oro, quando il regista fa giocare a palla la sua protagonista, in casa, immersa nel pensiero dell’ostica scelta di cambiare pagina esistenziale. E la sua vita la cambierà realmente, quando deciderà di vendere tutti gli oggetti che possiede. D’altronde un giovane privato di un futuro solido difficilmente sviluppa attaccamento alle cose, o alla propria terra. Così parte per l’Italia, destinazione Melfi. Ed è proprio nel viaggio che emerge la caratura della fotografia firmata da Daria D’Antonio: suggestiva, capace di rimandare quasi alla tecnica del pittorialismo. Poi finalmente l’incontro della necessità con Anna (ruolo affidato ad Erica Fontana), lavoratrice della Fiat Sata di Melfi. Forse ci si sarebbe aspettati una maggiore denuncia sociale nelle pagine successive del film, ma Coppola pare abbia voluto lavarsi dallo stigma ideologico e politico per sovvertire le dinamiche mentali a cui siamo abituati. Eva non è giunta a Melfi per cercare un futuro migliore (almeno non solo), sceglie quel piccolo paese lucano perché è lì che si trova sua madre. Comprensibile, allora, la volontà del regista di rimarcare l’emotività dei personaggi, ma a metà della pellicola comincia lo spossante itinerario tra frequenti e mai domi primi piani che disorientano lo spettatore sulla direzione che la trama sta per intraprendere. E la bussola di cui ci si deve munire non è di certo offerta dalla minimalità dei dialoghi, che non salgono di livello nemmeno quando si svela l’arcano del viaggio a Melfi della giovane Eva. A Coppola bisogna però riconoscere di aver sovvertito lo stereotipo della donna dell’est che giunge in Italia e si sacrifica per mantenere la famiglia nel paese autoctono. Eva, al contrario, rimprovera alla madre di aver pensato di sopperire alla mancata presenza fisica con il denaro, aspetto, questo, che salva il regista da quel moralismo che si sarebbe potuto intravedere e poco apprezzare nella cifra retorica del soggetto cinematografico.
Apprezzabile, invece, lo stile “giovanilistico” di Coppola, coadiuvato anche da una colonna sonora mai banale (non a caso il film è co-prodotto con Mtv Italia), firmata per la maggior parte dallo storico gruppo post-punk inglese degli anni Settanta Joy Division.
TITOLO ORIGINALE: Hai paura del buio; REGIA: Massimo Coppola; SCENEGGIATURA: Massimo Coppola; FOTOGRAFIA: Daria D'Antonio; MONTAGGIO: Cristiano Travaglioli; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 95 min.
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