Presentato in concorso all’ultimo Festival Internazionale del Cinema di Roma, è arrivato nelle sale, senza troppo clamore, l’ultimo gustoso film di Radu Mihaileanu. Con Il concerto il regista rumeno torna, come già fece con il ben noto Train de vie, a raccontarci stereotipi razziali e culturali con impagabile ironia, appena sofisticata e mai arrogante. Se in Train de vie una comunità yiddish scappava dal Nazismo autodeportandosi su un treno confezionato in casa, ne Il concerto gli ex componenti dell’Orchestra del Bolshoi, la migliore dell’intera Russia, partono alla volta di Parigi per rimettere mano agli strumenti, dopo vent’anni di astinenza forzata. Fu infatti la dittatura comunista a interrompere la loro gloria consegnandoli ad un presente lontano anni luce dalla musica e che li vede impegnati, piuttosto, nei mestieri più bizzarri.
Nella prima corposa parte, il film prende i contorni netti del registro comico, raccontando con notevole esuberanza le disavventure di questo scalcagnato e improbabile gruppone alla volta del palcoscenico parigino. Al centro si situano soprattutto gli stereotipi sulla cultura slava e sul comunismo, e il film si fa appezzare proprio per la divertita intelligenza che connota i dialoghi e il disegno di questi bizzarri personaggi. Con scene che vedono un gruppo di gitani confezionare i falsi passaporti per far partire il gruppo direttamente in aeroporto o battute come "Dobbiamo chiudere il gas all’Europa?", che un riccone russo pronuncia per minacciare gli impresari francesi, il risultato (esilarante) è assicurato. Nella seconda parte, il film, pur mantenendo la sua anima gaia, si colora non poco di toni melodrammatici, innestando nel plot principale la storia intima del direttore d’orchestra (un ottimo Alexeï Guskov) che fa tutt’uno con la Storia. Infatti, il riscatto che questi individui operano nei confronti della loro storia personale corrisponde pure, manco a dirlo, ad un’affermazione del proprio valore come gruppo contro i soprusi della Storia. È qui, allora, che il film si fa meno spontaneo e più didascalico, perdendo un po’ di brio. Soprattutto nel finale liberatorio, che fa della musica l’obiettivo ultimo e insieme il momento in cui tutti i nodi si scioglieranno. Il concerto fa da motore al climax finale e, seppur la musica non sia relegata a mero commento, per diventare invece vero elemento narrativo, ciò non accade forse con la dovuta audacia.
Del resto, in Train de vie, Radu Mihaileanu ci aveva sorpreso con una regia per nulla anonima, che sembrava inspessire volontariamente la portata ironica della messa in scena. Qui, invece, egli sembra preferire una presenza molto meno invasiva che, ad ogni modo, dà conto di un film che, seppur non privo di difetti, resta un’adorabile, esilarante e sentita parabola sugli uomini e sulla loro Storia.
TITOLO ORIGINALE: Le concert; REGIA: Radu Mihaileanu; SCENEGGIATURA: Radu Mihaileanu, Matthew Robbins; FOTOGRAFIA: Laurent Dailland; MONTAGGIO: Ludovic Troch; MUSICA: Armand Amar; PRODUZIONE: Belgio/Francia/Italia/Romania; ANNO: 2009; DURATA: 120 min.
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