TFF 28/Luis Buñuel e Saverio Costanzo, un connubio surrealista PDF 
Federica Masera   

El ángel exterminador è un film del 1962 diretto da Luis Buñuel (tratto dall'opera teatrale Los naufragos di José Bergamin) ed è il film che ha fatto amare il cinema a Saverio Costanzo, il suo “angelo ispiratore”. Un capolavoro del surrealismo: un gruppo di borghesi in un palazzo per una cena che, tra episodi assurdi ed esilaranti, non riescono ad uscire dalla porta. L'atmosfera è talmente assurda che lo spettatore non sembra particolarmente stupito nel vedere un gregge di pecore attraversare la sala o le zampe di una gallina spuntare da una borsa.

“Ho visto questo film a 25 anni, quando avevo già realizzato i miei primi documentari – esordisce Saverio Costanzo –, e ne sono rimasto folgorato. A mio parere è un film che assolve appieno al compito del cinema: lasciare il mistero all’immagine cinematografica, non spiegare per forza, non offrire una verità ma lasciare lo spettatore libero di muoversi all’interno della finzione filmica”. Ma esistono anche delle motivazioni personali che spingono Costanzo ad amare L’angelo sterminatore: “sì questo film mi ha svelato cose di me che prima non riuscivo a mettere a fuoco – prosegue Saverio Costanzo -, mi ha fatto prendere coscienza del mio stare sempre in bilico tra  libertà e prigionia”. Una prigionia non necessariamente fisica, che sposta il discorso sul concetto complesso di libertà. E questo dualismo compare sempre nei tre lungometraggi del regista romano. Private (2004), In memoria di me (2007) e La solitudine dei numeri primi (2010) hanno un comune denominatore molto forte: la costrizione. Una costrizione che può essere a volte incapacità di emancipazione, altre volte privazione fisica della libertà personale, per scelta o per imposizione esterna.

Ma oltre al maestro Buñuel quali altri film hanno alimentato la cinefilia di Saverio? Sono diversi, alcuni molto distanti da L’angelo sterminatore, come ad esempio Amore tossico, pellicola che il giovane regista romano ha visto a 14 anni e che lo ha colpito nel profondo. Ma non mancano all’appello capolavori come 8 ½ di Fellini, 2001: Odissea nello spazio di Kubrick o Eraserhead di Lynch. Tutte pellicole molto forti, ricche di simboli, di non detti, film non “chiusi e confezionati”, ma aperti, capaci di assorbire lo spettatore e lasciarlo fluire al loro interno. Ed ecco allora che il cerchio si chiude.

 


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