XI Far East Festival/Echi di un presunta crisi: coreani a confronto PDF 
Davide Morello   

Sono stati dieci i film sud-coreani presenti al Far East undicesima edizione, e diversi gli incontri con i protagonisti della cinematografia peninsulare che hanno fatto il punto della situazione di un mercato che ha spopolato e non ha conosciuto recessioni negli ultimi anni, ma che sta ora risentendo di un calo globale del quale l'industria culturale e pubblicitaria non è esente. Un vago segnale di ottimismo giunge dai produttori, che sperano di lasciare la temuta crisi alle spalle. Presenti i registi che lamentano un senso di precarietà preoccupante per quanto riguarda le condizioni di un mestiere che va incontro alla partecipazione e al consenso popolare, dipendente dai gusti di un pubblico variegato e pronto a rinnovarsi costantemente.

Kim Jee-woon presenta il suo The Good, The Bad, The Weird, che si dichiara come esplicito omaggio a Sergio Leone e risulta uno dei film più costosi e di successo girati in Corea. Scandal Makers di Kang Hyoung-chul è invece una commedia abilmente costruita che, anche se opera prima, ha riscosso ancor maggiore successo attirando a sé, dice il regista, un quinto della popolazione del suo paese. I film sono molto diversi e bene rappresentano quella linea mainstream del cinema popolare e di certe tendenze che in direzioni opposte si muovono nell’ambito della rivisitazione, dell'omaggio o del ritorno alle strutture narrative forti e consolidate. Il riferimento al western, o meglio, a ciò che già appare come una rivisitazione degli spaghetti-western,  è in effetti, secondo il regista Jee-woon, inerente la caratterizzazione dei personaggi designati come antieroi in contrapposizione a quelli classici d’oltreoceano. Nel film sono stereotipi al negativo la cui stilizzazione è condotta all'eccesso e che ingloba omogeneamente tutti gli elementi stilistici e narrativi enfatizzati sin dall'incipit. I topoi del genere e le citazioni dirette sono inserite in un testo/pastiche che travalica abbondantemente l'ossimorico western dell'estremo oriente. Pratica consueta del regista che già ha affrontato l'horror, il noir, e che non fatica a far coesistere il film d'avventura, il gangster e l'accentuato intento parodistico in una formula sovraccarica che è la linea dominante del film, il quale non trascura la forza persuasiva di un ritmo serrato, di elaborati accostamenti semantici e  di elementi figurativi e cromatici presenti sin dalle prime immagini nella saturazione del colore. Gli stilemi del genere vengono da subito enfatizzati e la scrittura si fa attenta a dosare un ritmo incalzante, come la struttura narrativa ad articolare l'intrigo che si muove lungo un'accumulazione di situazioni ed eventi imprevedibili, insieme ai luoghi più classici e consoni al principio di celebrazione e riflessività.

I corvi banchettano su una carogna in mezzo alle rotaie che attraversano il deserto, quando improvvisamente si dileguano avvertendo il rapace che giunge in primo piano sulla preda e, con il medesimo impatto visivo e acustico, irrompe il treno a pieno schermo. L'assalto ai vagoni e le sparatorie che seguono mettono in scena i protagonisti coinvolti nella ricerca di un'antica mappa, la quale presto diviene l'origine di un accrescersi di reazioni a catena che conduce in situazioni paradossali dalla dubbia efficacia narrativa. I tempi, infatti, non sono certo quelli del genere italiano, i cui duelli sono ripresi e in cui, a tratti, nella scelta compositiva e nel taglio dell'inquadratura, si nota la rievocazione intertestuale. Primissimi piani dal basso, la sigaretta fumante con il cappello Stenton che copre e adombra lo sguardo nel deserto: dal campo vuoto con la sabbia che si alza, o il cappello che, nella triangolazione dei complici e rivali protagonisti, si allontana al suolo spinto dai colpi di pistola. Anche la musica riprende naturalmente, nel gioco metalinguistico e neobarocco esasperato, i motivi di un certo Morricone, ma rielaborati e mescolati insieme ad inconciliabili ritmi campionati, come i suoni delle pallottole che schioccano come frecce in assordanti e acrobatiche performance. Nulla è inconciliabile anche sul piano del contesto semantico tracciato, quando i motivi western s'intrecciano con elementi del film di guerra: il sidecar corre insieme ai cavalli nel deserto, e i soldati giapponesi contrastano i protagonisti e i tradizionali nomadi in costume con i loro cannoni da esercito occupante. Il ricercato eccesso che torna sulla scena dell'omaggio con la giusta distanza autocritica e quindi rovesciata, si ritrova nei tempi, nelle attese della suspense e dello scioglimento che vede i tre convergere sul luogo indicato dalla mappa, dopo essersi liberati dagli inseguitori, e affrontarsi in mezzo alle macerie di un mancato tesoro ritrovato, uccidersi reciprocamente, nella moltitudine di colpi inflitti e ricevuti, perché dal terreno affiori improvvisamente il petrolio. Chiusura che racchiude in sé uno spirito ironico nella stratificazione degli elementi che la compongono, nella riformulazione in chiave personale e parossistica di un altro clichè.

Scandal Makers, invece di attingere ad una varietà di strategie espressive e narrative con intenzioni di rielaborazione e sperimentazione, affronta direttamente e a fondo il genere della commedia spassosa e ben costruita proprio sui tempi di strutturazione dell'intrigo, delle battute e delle situazioni che mantengono un determinato equilibrio, alternano gag ad elementi drammatici e sentimentali, adeguando in un'opera d'esordio una consequenzialità degli eventi lineare ed equilibrata, in un tono leggero restituito con un abile impiego di mezzi. Un famoso Dj della radio, solo e serenamente agiato, dopo una telefonata in diretta di una ragazza madre che cerca il proprio genitore, attende la sua ospite a casa per un invito galante, quando alla porta trova una figlia già grande che non sapeva di avere e che con sé ha il proprio figlio. Scopre, poco più che trentenne, di essere nonno, con tutte le complicazioni e gag che può scatenare una simile situazione in cui inopportunamente la famiglia si trova a convivere non senza imprevisti. La commedia degli equivoci lascia spazio ad una complicità che vede il giovane nonno a fianco del nipotino in una serie di trovate che mettono in luce le qualità del giovanissimo attore, ribaltando il rapporto di interrelazione bambino/adulto. Soluzioni narrative e discorsive mettono infatti in primo piano il bimbo, che appare subito come pericolo inquietante, in una visione soggettiva e deformata del protagonista che si ritrova involontariamente nell'imbarazzante ruolo. L'accostamento delle modalità di ripresa mette sullo stesso piano simultaneamente l'incontro del piccolo con una sua compagna e quello del nonno con la maestra d'asilo in una sottile soluzione ironica che investe l’analogia e il parallelismo dei punti di vista.

Non manca una sorta di cinismo prettamente bourlesque che pare evocare vagamente Chaplin, e la cui conferma si nota in un'iniziale scena di pulizie di casa quando freneticamente, in accelerato, il protagonista riordina dopo il passaggio del nipote, a ritmo della Danza Ungherese, così da evocare la famosa scena de Il dittatore. I tempi ruotano intorno all'abile velocità delle battute e alle conseguenti reaction-shot e che vedono il giovane protagonista come motore e fulcro di tali effetti, nelle sue espressioni, nelle brevi inquadrature e stacchi che commentano l'azione e dinamizzano la narrazione costruita secondo schemi circolari, simmetrici, con ripetizioni tipiche di una struttura composta da situazioni comiche puntualmente scandite che si alternano al dramma sentimentale e familiare. I movimenti di macchina fluidi e calibrati, i piani medi prevalenti rispettano una neutralità convenzionale e negano il formalismo a vantaggio di un attento lavoro di sceneggiatura e trasparenza che mette in evidenza l'equilibrio fra la cauta ricerca stilistica su un piano figurativo e l'importanza della storia ben raccontata che non esce, nel complesso, dalle convenzioni di genere. Infatti,  in tale contesto, anche la musica assolve maggiormente a funzioni di leitmotiv narrativo e elemento tematico a tratti didascalico o di accompagnamento.

Rappresentativi dell'orientamento attuale del panorama popolare coreano, i due film illustrano bene le tendenze di un cinema d'intrattenimento ed evasivo che da un lato privilegia l'impiego di mezzi all'insegna di un pastiche contemporaneo, e dall'altro una sobrietà narrativa del prodotto ben confezionato che segue le più consuete modalità narrative. Entrambe dominate da un forte senso parodistico e ironico, e da una palese vena nostalgica anch'essa tipicamente al passo coi tempi e volutamente ostentata. Non lontano dagli umori dominanti, ma meglio riuscito, nell'elaborazione del soggetto come nello stile personale che non trascura la ricerca formale, è Accidental Gangster di Yeo Kyun-dong, regista veterano che ha collaborato con Park Kwang-su e Jang Sun-woo e ha esordito nel 1994 con il film di rottura Out to the World. Si tratta sempre di una commistione di generi che si integrano al film storico: è infatti ambientato nella Corea del diciottesimo secolo in cui delle bande criminali si scontrano per il controllo del regno. Film rappresentativo che amalgama le differenti direzioni imboccate dai precedenti, facendo del pastiche e della cura formale il tramite di una narrazione dai toni surreali che non stanca nel suo sviluppo narrativo, che mescola toni bassi, ai toni alti ed epici e che non può prescindere, nella sperimentazione linguistica, dall'uso della tecnologia e quindi della computer grafica. Per quanto possa imporsi all'impatto come un coacervo di effetti che trovano la loro giustificazione nella sensazionalità di un tempo presente della percezione, tutte le componenti di azione sono adeguatamente dosate e volte a strutturare un racconto in cui emerge la padronanza del mezzo cinematografico e la competenza nell'articolazione del flusso narrativo. Si va infatti dal film storico, al gangster, dall'azione del combattimento, alla componente sentimentale di una storia d'amore che si conclude con i toni della commedia. Non è inevitabilmente prevedibile il flusso degli eventi che procedono secondo svolte inattese e in cui tutto è possibile all'insegna di una retorica iperbolica e surreale. Tuono, fannullone del villaggio, infatti, si ritrova a combattere inaspettatamente contro un boss che con un colpo stende comicamente a terra. L’improvvisata prognosi prevede dieci anni di coma e quindi tocca al protagonista farne le veci, inizialmente in modo del tutto inadeguato. Seguono una serie di gag in cui l'umile Tuono non conosce gli usi e i rituali dei temibili malavitosi con i quali presto e con irriverenza si ritrova a convegno, e nel quale incontra la bella cortigiana soprannominata da lui Sexy.

Gli ingredienti sono messi in campo perché possa avviarsi l'intrigo, che mostra intenti comici o demenziali il cui impiego è soggetto ad una certa sobrietà critica. La computer grafica evidenzia nell'incipit e nel duello finale l'integrazione di elementi fumettistici che accrescono la tendenza a far confluire, non solo generi, ma linguaggi di svariata provenienza. I costumi e la scenografia rivelano un ricercato lavoro sui dettagli sapientemente curato attraverso l'utilizzo della fotografia e delle tecniche di messa in scena che valorizzano nel contesto la tendenza a costruire scene dal forte impatto visivo che impiega valori cromatici in cui il rosso diviene la dominante negli interni come nei costumi e assume la sua funzione simbolica, del lusso e prestigio, come del sangue sputato nelle lotte. Il pastiche non può trascurare l'elaborazione della colonna sonora che comprende musiche tradizionali, strumenti d'epoca dal suono malinconico attraverso i quali l'amata esprime il dolore e il suo stato d'animo sofferente per la morte del protagonista, alla contemporanea musica disco che ritma e scandisce l'incalzare dei violenti e acrobatici combattimenti. La morte supera ovviamente i canoni della verosimiglianza quando, dopo il terribile scontro nel bosco di bambù dal tono epico restituito con un fluido impiego della macchina da presa, lo stesso Tuono torna a riscattare la propria gente e il proprio amore, che parallelamente sta iniziando a celebrare il matrimonio con il rivale. L'alternanza del montaggio conduce metaforicamente verso il climax finale in cui gli effetti grafici astraggono dal contesto i contendenti isolandoli in un combattimento da videogame. Le fughe e le peripezie si risolvono in scene concitate e bourlesque, come l'inseguimento che avviene all'interno di una casa d’appuntamenti di lusso in cui Tuono, a tratti restio a fuggire, abilmente si divincola lasciando i suoi persecutori nelle mani di grossi e infuriati clienti disturbati nei loro piaceri. Nel ritmo narrativo vi è spazio anche per i toni più sfarzosi di una danza tradizionale e rituale che compensano e danno respiro, bilanciando la frenesia dominante dell'azione. L'assurdo e il paradosso si esemplificano in improbabili esiti e risoluzioni di scontri, come quando, ad un tratto, i duri colpi delle lotte e delle testate si interrompono per un breve break come in un ludico comportamento dei protagonisti indirizzato e riflesso nello stesso atteggiamento dello spettatore.

 


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