Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente PDF 
Paolo Fossati   

La sociologia è viva, contrariamente a quanto affermano i detrattori di questa disciplina che ha il merito di aver promosso lo sviluppo della coscienza del vivere in un sistema sociale organizzato. Si è parlato addirittura di scomparsa della società causata da un diffuso atteggiamento analitico nei confronti del reale, di una sociologia abituatasi a inseguire un teorizzare astratto. Ma posando lo sguardo sulla contemporaneità, il dato più significativo da rilevare riguarda il carattere frammentario del sociale. E senza un approccio scientifico risulterebbe impossibile leggere e comprendere i rivolgimenti sociali del nostro tempo, che disegna nel suo dipanarsi uno scenario così frastagliato ed irregolare; potremmo solo limitarci ad osservarli inermi, come pezzi di un puzzle del quale non conosciamo il soggetto da ricostruire. Codeluppi, nel suo nuovo saggio edito da Laterza, rileva l’incomprensibilità di un mondo contemporaneo che assume strutture paragonabili a ipertesti (e questo accade soprattutto, a parere di chi scrive, nelle zone di confine tra vita reale ed esperienze online degli individui).

Il testo parte dalla descrizione del panorama generale di quella che viene definita ipermodernità: non post, ma iper perché non rappresenta un cambiamento radicale paragonabile al superamento e alla sovversione delle caratteristiche basilari della modernità, le quali piuttosto che rinnovate, risultano sviluppate all'eccesso. Il mondo sociale odierno promette felicità e benessere diffusi, ma finisce con il generare ansia e insoddisfazione. Le motivazioni di questo paradosso vengono sviscerate, nel libro, passo dopo passo a partire da dieci grandi temi di stretta attualità, affrontati come “chiavi per capire il presente”: ipermodernità, biocapitalismo, ipermetropoli, società pubblicitaria, iperconsumo, vetrinizzazione sociale, iperdivismo, corpo-packaging, vetrina digitale, corpo trasparente. Già ad una prima occhiata questo elenco risulta eloquente in merito alla tendenza contemporanea a sviluppare interesse e gusto per l’eccesso. L’abnorme e inconscia ricerca di omologazione provoca fenomeni di culto di massa per i prodotti della società dei consumi. La futile ricerca di adeguarsi a un’estetica dominante si alterna così alla sovraesposizione di modelli standardizzati, in una danza apocalittica. Se l’ipermodernità è una condizione di vita nella quale i prodotti culturali esplicitano ad ogni occasione la propria natura di merci (ad esempio film come i citati Toy Story e Trainspotting si “trasformano” declinando la propria essenza in gadget per merchandising) allora assistiamo a un processo che trasforma in merce tout court ciò che in precedenza era un medium. Con biocapitalismo, d’altro canto, il sociologo intende definire “la più avanzata forma di evoluzione del sistema capitalistico, ovvero quella che si caratterizza per la capacità di coinvolgere le vite degli esseri umani all’interno dei processi produttivi”. Si tratta di un modus operandi che non si limita a ottenere il massimo rendimento dagli individui durante le ore di lavoro, ma tende a produrre valore anche sfruttando il loro tempo libero. Spostando l’attenzione dalle persone ai luoghi che abitano, giungiamo alla definizione di ipermetropoli, nella quale ritroviamo il gioco di influenze reciproche tra cinema (o spettacolo in senso lato) e realtà che rende le metropoli sempre più simili a centri commerciali o parchi a tema. E sempre i confini tra città e rappresentazioni artificiali e spettacolari delle stesse rendono gli aeroporti nonluoghi dove si può sopravvivere per anni, come nel film The Terminal (S. Spielberg, Usa 2004), ispirato a una storia vera. 

L’autore considera evidente che nel corso della storia del capitalismo l’intera società abbia subito un processo di progressiva astrazione. E con essa l’industria culturale sviluppatasi attraverso la creazione di media che hanno facilitato questa evoluzione. A partire dalla diffusione di massa dei libri stampati e dei quotidiani è iniziata una nuova era, dove il produttore della conoscenza è separato dalla conoscenza stessa, che tende a divenire un soggetto sempre più autonomo nella società. Con la nascita della fotografia a metà dell’Ottocento (medium “in grado di rendere l’immagine autonoma dalla realtà oggettuale che rappresenta, stabile nel tempo e facilmente trasportabile”) è iniziato un processo di produzione meccanica dell’immagine che ha gradualmente indebolito il ruolo autoriale esercitato dall’individuo. In seguito, il processo di astrazione è proseguito attraverso “mezzi come il cinema e la radio. Il primo ha intensificato la forza comunicativa delle immagini fotografiche e grazie a ciò è stato in grado di evocare un mondo di natura spirituale e onirica. La radio ha introdotto invece un flusso di voci dove la realtà si trasforma in un mondo popolato da fantasmi, sebbene capace di possedere una grande capacità espressiva”. L’avvento della televisione ha sancito un’astrazione ancora più evidente, in quanto il punto di vista della telecamera ha sostituito quello dell’individuo. “Con il mezzo televisivo, infatti, lo sguardo che inquadra la realtà non è più quello del singolo, ma quello della collettività che impiega tale mezzo”. È uno sguardo creato dalle visioni di tanti individui che si fondono in un unico punto di vista, che coincide appunto con quello della telecamera. E la nascita di Internet rappresenta l’ultimo atto recente di questo processo: “la creazione di un grande cervello collettivo e globale indipendente dall’operato dei singoli esseri umani”. “A prima vista sembrerebbe che siano state le tecnologie digitali e biologiche comparse negli ultimi decenni a rendere sempre più astratta la società, spingendo verso il superamento del dualismo corpo/anima, materiale/spirituale. Tali tecnologie però non hanno fatto altro che accelerare un processo di spiritualizzazione della materia che è in corso da diversi secoli, cioè da quando è nato il modello capitalistico di produzione. Innanzitutto, perchè il processo di astrazione riguarda il capitale stesso. Questo infatti si concretizza da sempre nella ricchezza economica, la quale però è cambiata, in quanto è diventata sempre più mobile e leggera, assumendo ad esempio le forme del credito, della finanza e della moneta elettronica che circola nelle reti informatiche. Simmel sosteneva che il denaro ha perso progressivamente ogni legame con i processi sociali che l’hanno generato”. 

Affrontando i capitoli più attenti alla messa in scena del vivere sociale e al racconto dei consumi (società pubblicitaria, iperconsumo, vetrinizzazione sociale, corpo-packaging, vetrina digitale, corpo trasparente) si delinea un panorama paradossale, all’interno del quale il consumatore non è  ormai altro che un soggetto ibrido, che promuove il consumo attraverso i suoi stessi atti di acquisto o avallandone la qualità, pubblicamente, online. In quest’ottica, ragionando sulle influenze reciproche tra prodotti culturali e società che ne produce la domanda, risultano imprescindibili le riflessioni di Codeluppi riguardo al ruolo del divo nella società, tema presentatosi fin dagli albori della storia del cinema e confluito oggi nel fenomeno dell’iperdivismo: un divismo diffuso e sdoganato dalla tv come traguardo alla portata di soggetti scarsamente o per nulla dotati di qualità artistiche e carisma. Il divismo di un’epoca dove per raggiungere il successo non servono doti, ma “basta apparire”, per citare il sottotitolo del film a tesi di Erik Gandini, Videocracy (Svezia 2009), dove l’uso e l’abuso di quest’etichetta veniva svelato dagli addetti ai lavori alla stregua di “trucco del mestiere”.

Titolo: Ipermondo. Dieci chiavi per capire il presente; Autore: Vanni Codeluppi; Editore: Laterza (Collana Sagittari); Anno: 2012; Pagine: 164; Prezzo: 16,00€

 
 


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