Wim, Pina e il 3D PDF 
Maurizio Ermisino   

Era quello a cui il rock aveva salvato la vita, Wim Wenders. E pare che gliel’abbia salvata ancora una volta. O almeno, che abbia salvato il suo ultimo film. È stato infatti assistendo a U2 3D, nel 2007, che ha scoperto il cinema in 3D. È stata un’illuminazione: all’improvviso ha capito che era quella la chiave giusta per girare un film sulla danza, e sull’arte di Pina Bausch. Quel film che aspettava da fare da vent’anni. È nato così Pina, non un film su Pina Bausch, ma un film "per" Pina Bausch, come recita il sottotitolo. E ora Wenders non torna più indietro. Non riesce immaginare più quel cinema piatto, in due dimensioni, dove lo spazio era "finto". Parlare con Wenders, allora, vuol dire anche cercare di capire dove può andare il 3D. Che, con Pina, ha finalmente fatto il suo ingresso nel cinema d’autore.

Come mai il film ha avuto una gestazione così lunga, e come ha scelto di girarlo in 3D?
Il desiderio di fare questo film nasce dal mio primo incontro con Pina, al teatro La Fenice. Non mi sentivo all’altezza però, non sapevo come la mia macchina da presa potesse cogliere il suo lavoro. Era come se ci fosse un muro invisibile tra quello che avveniva sul palco e quello che avrei potuto riportare sullo schermo. Ho detto a Pina che non sapevo come farlo, di darmi del tempo. E intanto sono passati più di vent’anni. Quando ho visto il primo film in 3D, nel 2007, ho capito che quella era la risposta che avevo cercato per vent’anni. La danza è uno spazio concreto, ogni gesto, ogni movimento lo è. Ecco quello che mancava.

Cosa ha visto Pina Bausch in lei, che lei non sapeva?
Ha visto che io avrei potuto fare un film sulla danza. E ha creduto che avessi trovato un linguaggio che prima non esisteva. Ci sono delle registrazioni con Pina Bausch che danzava, ma anche lei sentiva che doveva esserci un modo diverso di filmare la danza, e aveva bisogno di trovarlo. Pina ha scritto quaranta coreografie, e mettendo in scena le coreografie nuove non ha mai abbandonato quelle vecchie: rifaceva solo i casting. Pina cercava un linguaggio che conservasse il suo lavoro.

Come definirebbe la sua relazione con lo spazio?
Sono un grande viaggiatore. Sin da quando ero un ragazzo ho voluto viaggiare e lasciarmi la Germania alle spalle. Viaggiare è una delle cose più belle. È la scoperta di nuovi spazi, di terre sconosciute. Il grande vantaggio di essere regista è che puoi fare dei film e contemporaneamente viaggiare. Ma al cinema, finora, lo spazio è sempre stato finzione. Finché non hanno inventato il 3D. Senza il 3D guardavo i ballerini e mi sembrava di guardare dei pesci in un acquario. Io volevo essere nell’acqua con loro, e il 3D mi ha dato la possibilità di farlo. 

Lei ha sempre giocato con gli spazi vuoti, e con i personaggi nello spazio…
Mi piacciono i luoghi. Molti dei miei film hanno a che fare con  il desiderio di esplorare una città o un paesaggio. Nel caso di Pina la città di Wuppertal, dove la compagnia ha lavorato per quasi quarant’anni. Ricordo che Pina aveva incontrato Dominic, uno dei ballerini della sua prima compagnia, in America. Dominic ricorda di aver preso una macchina per andare da Parigi a Wuppertal. Non aveva idea di come fosse la cittadina, ma una volta arrivato la vide e capì che era il posto dove avrebbe lavorato per gli anni successivi: pensò seriamente di girare la macchina e tornare a Parigi. Io ho imparato ad amare Wuppertal: non è una città ricca, lo era nel Novecento, grazie alle industrie chimiche. Nello stesso anno in cui a Parigi costruirono la Torre Eiffel, a Wuppertal costruirono una piscina. Oggi l’intera area è in depressione. Ho voluto che la città fosse presente nel film, perché è stata essenziale per il lavoro di Pina. Le ha offerto una casa per quarant’anni...

Oggi il 3D è sia Avatar di Cameron che Cave Of Forgotten Dreams di Herzog. Lei dove colloca Pina, e quale crede che sia il limite di questa tecnica?
Quando ho visto il 3D per la prima volta nel 2007 ho pensato che fosse perfetto per la danza, che fossero stati fatti l’uno per l’altra. Nei primi anni avevamo avuto l’impressione che il 3D fosse uno strumento buono solo per i grandi action movie, nessuno lo aveva preso seriamente. Invece merita di essere considerato come un linguaggio completamente nuovo: è una grande tecnologia per il cinema, e abbiamo appena iniziato a esplorarla. Adoro Avatar, per me è un capolavoro. Ma con l’eccezione del film di Cameron, molto poco è stato fatto nella direzione di un uso consapevole del 3D.

Ci può raccontare il suo primo incontro con Pina Bausch?
Ho conosciuto Pina la mattina dopo aver visto Cafè Muller a Venezia, al teatro La Fenice. Ci siamo incontrati in un piccolo caffè: lei non ha detto una parola. Ha solo fumato, e sorriso. Dovevo parlare io, perché lei non diceva niente. Ma mi ha guardato. E chi ha avuto gli occhi di Pina addosso sa cosa intendo: lei ti guarda come nessun altro. E tu non hai più segreti: ti guarda attraverso, e vede ogni cosa.

In futuro userà ancora il 3D ?
Per me ormai è inconcepibile tornare a fare cinema in due dimensioni. Sento che abbiamo appena iniziato a scoprire il 3D. Voglio fare un documentario sull’architettura e, contemporaneamente, voglio capire come raccontare una storia in 3D, che per me è ancora un mistero. Sono curioso di vedere cosa faranno in questo senso alcuni miei colleghi, come Scorsese e Spielberg.

Che cos’è per lei la danza oggi?
Uso le parole di Pina Bausch. Lei diceva: "non mi interessa come i miei ballerini si muovono, mi interessa cosa li muove". È qualcosa di rivoluzionario, un cambiamento totale. La danza non è un’esperienza estetica. Ci rivela chi siamo. E come viviamo. Io non pensavo che la danza fosse questo. Pina me lo ha fatto capire.

 


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