Kill Me Please PDF 
Matteo Marelli   

È convinzione diffusa che per dare un tono d’autorevolezza ad una recensione le forme impersonali siano d’obbligo (noblesse oblige). Sembra infatti che l’uso della prima persona singolare tolga patina di scientificità ad uno scritto. Voglio però contravvenire a questa rigidezza formale richiesta e pretesa ed espormi personalmente al pubblico ludibrio nell’affermare che per ME Kill Me Please è un brutto film! Nel coro unisono (monòtono e monotòno) delle osanna un giudizio negativo non può non saltare all’orecchio come un’imperdonabile stecca. Meglio quindi assumersene la responsabilità e dichiarare apertamente che la colpa deve essere solo MIA se ho trovato davvero deludente questa seconda regia di Olias Barco, vincitrice, peraltro, del Marc'Aurelio all’ultimo Festival Internazionale del Cinema di Roma. Questa presa di posizione mi causa non poco imbarazzo. Prima di esprimermi a riguardo mi è sembrato corretto controllare se qualcun altro avesse ricevuto una medesima impressione negativa. E invece scopro che il film non solo è piaciuto molto, ma addirittura è indicato come possibile trait d’union tra poetiche registiche davvero ingombranti se adoperate come termini di confronto. Gli autori più frequentemente scomodati sono: Marco Ferreri, Jacques Tati, il primo Polanski e nientemeno che Luis Buñuel e Carl Theodor Dreyer.

Di fronte a simili riferimenti non posso far altro che riconoscere la mia limitatezza nel non essere stato capace di capire cosa il film di Barco volesse comunicare, quale fosse l’idea che sta alla base della danse macabre che ha come teatro dell’azione la clinica privata del Dr. Kruger, dove il medico, coadiuvato da fedeli operatori sanitari, assiste i degenti nella pianificazione ed esecuzione materiale della propria dipartita, che qui si rende possibile come gesto consapevole. Dietro la scelta della “bella” morte non troviamo però individui stremati da impari conflitti con la malattia, ma rapsodici pazienti, unicamente affetti da un’irrefrenabile vanità, da un nichilismo narcisista della propria volontà. Gli aspiranti suicidi che decidono di ricorrere alle prestazioni del Dr. Kluger non sono – se non in un solo caso – malati allo stadio terminale, ma depressi cronici, falliti, bancarottieri, cialtroni. Dunque, il tema non è l'eutanasia, come erroneamente e diffusamente riportato; ma non si tratta nemmeno di un’irriverente e crudele cul de sac che imprigiona una boriosa borghesia dedita all’autocommiserazione e vittima della mesta immagine che desidera proporre di sé.  E non lo è per un fatto molto semplice: che la questione non viene adeguatamente sviluppata, ma rimane solo suggerita; così come il fatto che la clinica, nonostante sia oggetto di un odio crescente da parte dei paesi limitrofi, incapaci di accettarne la politica, prenda contributi dallo stato. Il tutto rimane in sospeso, e solo sul finale il regista sembra ricordarsi di dover dare delle giustificazioni verso quegli argomenti evocati ma mai concretamente affrontati. Ecco quindi, proprio in chiusa del film, spiegarci frettolosamente, per bocca del Dr. Kruger, che gli aspiranti suicidi sono un costo per lo Stato. Ogni anno si uccidono un milione di persone, e questo causa un costo sociale enorme. La clinica, dunque, serve, in primis, a limitare questi danni monetari.

Alla pellicola, nel suo complesso, sembra dunque mancare coerenza, ogni argomento risulta monco. A dispetto della dichiarata indole farsesca e laconica, la vicenda pare faticosamente cercare un messaggio, senza però che si capisca quale. Kill Me Please è un film frustrante, mai così intenso, dissacrante o semplicemente divertente come vorrebbe essere. Soffre del suo desiderio di voler a tutti i costi essere provocatorio. A ME (per tornare alle marche d’enunciazione) il film è risultato noioso e ho riso, stentatamente, una sola volta. La stessa irrisolutezza riscontrata in ambito tematico, d'altronde, la si ritrova anche nella messinscena. A riprese statiche il regista alterna soluzioni stilistiche di stampo documentarista (camera a mano), che rimangono però inspiegate. La macchina da presa è invadente ma non si rivela mai come giocatore attivo. Sembra che i personaggi da un momento all'altro si rivolgano alla troupe, ma in realtà non lo fanno mai, lasciandoci così timidamente in bilico fra soggettività grottesche e fissità impersonali.

TITOLO ORIGINALE: Kill Me Please; REGIA: Olias Barco; SCENEGGIATURA: Olias Barco, Virgile Bramly, Stéphane Malandrin; FOTOGRAFIA: Frédéric Noirhomme; MONTAGGIO: Ewin Ryckaert; PRODUZIONE: Francia/Belgio; ANNO: 2010; DURATA: 96 min.

 


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