La fleur du mal PDF 
di Francesca Messina   

Di un film di Chabrol ciò che si ammira - oltre al ritmo - sono l'atmosfera e il sapore. Dopo il gusto della cioccolata, tenuta in caldo da un thermos, di cui ancora ringraziamo il regista francese (Merci pour le chocolat), assaporiamo in La fleur du mal senza mediazioni quello amaro e gelido del ricordo che permane nel presente, e non lo lascia libero di dispiegarsi nei termini di facile banalità. È nell'unione della freddezza del possibile mostrato, puntuale e lucida, attraverso una serie di inquadrature dai piani diversi che nel loro accostarsi mai intaccano l'equilibrio dell'insieme, e nel sentimento del fluire inesorabile del destino di questa famiglia segnata e ugualmente indifferente che si manifesta la tossicità del fiore del titolo.

Il tempo del racconto è punteggiato da dettagli, che lo interrompono rendendo acuto il senso dell'istante particolare, come sempre nella filmografia di Chabrol, mentre la presenza del male scorre per l'intera durata del film lungo il filo della carrellata. Quella d'apertura ci trascina, dopo le prime rassicuranti e consuete immagini d'esterno altoborghese, nell'atmosfera sempre più inquieta dell'avvenuta concretizzazione del crimine di famiglia, che la villa trattiene ancora nei suoi muri e nelle sue stanze, al momento del ritorno all'apparente identica tranquillità del presente. E negli impeccabili arredi della casa, protagonisti della forma quanto i personaggi, è già pesante e vivida l'incrinatura dell'ambiguità torbida della colpa e del delitto che fornisce al film respiro fino alla fine.

Sorprende quindi ancora l'entrata in scena dell'ironia, arma tagliente che a quasi settantatré anni il regista non immagina neanche lontanamente di abbandonare, con le ingiuriose lettere anonime che colpiscono la famiglia Charpin-Vasseur, scatenando le congetture sull'identificazione del loro autore e indirizzandole, infine, di nuovo all'interno di quel nucleo (l'unico vero sospettato è Gérard). Se è impossibile non pensare all'inchiostro dell'indimenticabile "Le Corbeau" di Clouzot, Chabrol permette allo spettatore di stare un passo avanti rispetto ai suoi personaggi mettendolo nella privilegiata condizione di sapere subito a chi si deve lo scritto, vale a dire all'anziana moglie, per un surplus antidrammatico, tutt'altro che diabolico, di un devoto elettore dell'ambiziosa Anne, che vediamo affannosamente immersa in una corsa ad accaparrarsi voti nell'estraneo ambiente delle case popolari. Grande Chabrol, che in un lampo mette un abisso tra noi e quell'inferno di sciagura latente, punteggiato in modo superbo anche dagli smarrimenti della zia Line, il personaggio più forte del plot ed insieme quello fisicamente più esile, a cui è affidata l'unica manifestazione visiva della concreta presenza di quel permanente macigno che è il passato. Inutile dire che l'incesto non è altro che una strada della normalità, vissuta dai due giovani François e Michelle in modo problematico proprio come la convenzione vuole, e la sequenza in cui i due cugini si ritrovano insieme a letto dopo aver fatto finalmente l'amore, non ne è che la lineare conclusione, anticipata dai primi piani d'intensa sensualità sull'incontro delle loro labbra che si accostano con naturale perversione.

Il peso vero è quello della storia e della violenza, del collaborazionismo durante la Seconda Guerra Mondiale e del male della menzogna, di cui per tutto il film si attende il momento di liberazione. E il punto di esplosione e rottura arriva alla fine in una sequenza in cui l'azione, che mostra visivamente ciò che l'ellissi iniziale costringe ad immaginare, esplicita i suoi connotati che sono invece quelli di una reazione. È la giovane nipote, la quale deve ora tener nascosto il segreto dell'innocenza del suo gesto, che ripete quello di ribellione di un tempo, compiuto dalla zia, in una sorta di dovere tramandato di generazione in generazione. Rimane solo un lavoro pesante da compiere, e questo è, ancora una volta e con la consueta capacità di sottolineare il risvolto ridicolo di un drammatico "ingombro", un affare di donne. L'unico che inevitabilmente ha il diritto di essere messo a parte della complicità delle due è, con l'approvazione della stessa zia, François. Chabrol decide così che tutto rimanga racchiuso in questo cerchio familiare, il cui destino continua a perpetuarsi uguale a sé nel tempo, proprio per questo lo stile del regista, che non ha perso la fermezza e la lucidità del tratto, che mai porta ad un giudizio, rimanda forse a tutto quello che è al di fuori del film stesso, all'apertura che non c'è, ad una ribellione che quel cerchio fa venir voglia di romperlo.

 


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