Tepepa PDF 
Marco Doddis   

Spaghetti di esportazione occidentale, salsa piccante messicana, spezie varie con persistente retrogusto politico. Se fosse un piatto, Tepepa dovrebbe contenere almeno questi ingredienti. Tepepa è il rivoluzionario messicano che dà il nome a un film di Giulio Petroni; un bel film, plasmato dalla mano di un ottimo artigiano, di quelli che fecero la fortuna di tanto cinema italiano. Petroni, attivo tra gli anni Sessanta e Settanta (beato lui!), diresse una decina di pellicole, spaziando tra generi diversi e mettendo a segno i risultati migliori proprio nel western all'italiana. In questo filone, Tepepa è (insieme a Da uomo a uomo) il suo lavoro più significativo. Non a caso, fu scelto per comporre la ristretta rosa dei film proiettati in occasione dell'ormai storica restrospettiva di Venezia 2007.

Siamo in Messico, durante il breve periodo in cui il paese fu presieduto dalla controversa figura di Francisco Madero. Egli, tra i promotori dei primi moti rivoluzionari, instaurò una forma di governo formalmente democratica, ma che, nella sostanza, non soddisfece affatto le classi più povere del paese. Tra i portavoce di questa "rivoluzione tradita", che reclamava anzitutto una riforma agraria, Petroni inserisce il suo Tepepa. Lo interpreta un attore che, proprio all'epoca del film, stava conoscendo un'esplosione di notorietà nazionalpopolare: Tomas Milian. E' sua la maschera del "cattivo" che sta dalla parte degli ultimi, del campesino zapatista catturato dalle autorità, pronte a condannarlo a morte. Il popolo, che pure sta dalla sua parte, non può salvarlo. Così, l'aiuto provvidenziale gli giunge dalla mano più inattesa, quella del dottore inglese Henry Price. Costui lo sottrae letteralmente al plotone di esecuzione e lo riporta tra i suoi compagni. Price non è certo un idealista (difficile quando un personaggio ha il volto algido di John Steiner): ha salvato Tepepa solo perchè vuole essere lui a fargli la festa. La politica, qua, non c'entra: il gringo è un tantino "irritato" perchè il messicano ha violentato e indotto al suicidio la sua ex amata. Il triangolo degli attanti è completato dal colonnello Cascorro, il più cattivo di tutti, il rappresentante delle istanze restauratrici. E qui la Storia del cinema entra di prepotenza nel film di Petroni: il regista, infatti, per dare un volto a Cascorro, riuscì ad ottenere il monumento Orson Welles. Che, alla sua prima esperienza in un western, si dimostrò assolutamente all'altezza della sua fama, fornendo una prova "alla Quinlan" di dieci anni prima. Nel brullo scenario messicano, si muovono poi tutta una serie di comprimari, tra cui spiccano El Piojo, vecchio compagno di Tepepa, che rinnega gli ideali rivoluzionari e si vende per un un buon numero di denari, e il figlioletto Paquito, anima candida, per il quale tutta la storia costituisce un processo formativo che lo allontana dal candore e lo porta a diventare un novello Morozov (il ragazzino sovietico, eretto a simbolo dello stalinismo perchè fu delatore del padre).

L'aspetto più ammirevole dell'opera di Petroni è l'equilibrio. Sia sul piano del racconto che su quello dei "contenuti", il regista riesce a non calcare mai troppo la mano, lasciando che sia lo spettatore a comportarsi, nel senso echiano del termine, da spettatore modello. Prendiamo la narrazione. La storia, inevitabilmente, è costruita attorno al suo protagonista. Ora, il meccanismo adottato da Petroni e dagli sceneggiatori Solinas e Della Mea consente di produrre un ritratto interessante e per nulla monolitico di Tepepa (elemento, questo, non trascurabile in un film di genere). I tre, infatti, costruiscono la storia su tre livelli diversi: il primo è quello dei fatti nel presente, la successione di eventi che portano il personaggio di Milian dalla prigionia all'improvvisata carrozza operatoria di mister Price; il secondo e il terzo sono invece dei blocchi di flashback: uno ci narra il passato nella prospettiva del protagonista; l'altro ce lo mostra nella prospettiva di alcuni testimoni oculari (per altro, la prospettiva è ulteriormente filtrata dal fatto che sia Cascorro a ri-raccontare i fatti). Tutto ciò produce una stratificazione e una diversificazione delle componenti dell'uomo Tepepa e, di conseguenza, non ne sbilancia la caratterizzazione, nè in un senso (glorioso rivoluzionario patriota) nè nell'altro (bieco assassino e stupratore).

Passiamo all'ideologia, elemento necessariamente derivante da quello narrativo. Cosa ci dice il film? Che la rivoluzione non serve a nulla? Sì, se si vede l'episodio della Hacienda di Don Calisto. O che invece si tratta di un processo lento, per la cui realizzazione bisogna coinvolgere anche le nuove generazioni? Anche in questo caso, la risposta potrebbe risultare affermativa: basta leggere tra le righe del movimentato finale. La realtà è che, pure su questo piano, gli autori hanno lasciato che fossero gli spettatori a interpretare la soluzione migliore. Il problema, qua, sorge dal fatto che il film non è destinato alla platea del 2013, ma a quella, molto più calda, degli anni Sessanta: Tepepa fu girato proprio nel '68, uscì nel '69 e il suo titolo originale era Viva la revolución!. La pellicola sembra dunque facilmente catalogabile con una bella etichetta rossa, anche se, fatta eccezione per qualche breve passaggio (si veda il patetico discorso ugualitaristico di Tepepa ai peones, enfatizzato da appropriate scelte registiche), non cade mai nell'ortodossia nè nell'agiografia: dopotutto, il protagonista non viene fatto morire come un martire, ma come una vittima delle sue stesse malefatte.

In conclusione, è necessaria una menzione per Sergio Leone. Non c'è discorso sul western all'italiana che possa esimersi dal chiamare in causa il suo più illustre rappresentante. In questo caso, però, egli non è solo l'ispiratore (tema della donna da vendicare: si veda il parallelismo con Per qualche dollaro in più, dove il Colonnello Mortimer vuole uccidere El Indio, che gli aveva ammazzato la sorella), ma anche l'ispirato. E, per Petroni, non si tratta certo di un dettaglio. Non può sfuggire, nemmeno a una visione superfciale, che, nel grande Giù la testa, è presente più di uno spunto narrativo di Tepepa: la rivoluzione messicana, il protagonista bombarolo, l'incontro tra l'europeo e il messicano. E poi, ovviamente, c'è la musica di Morricone. Per Petroni, il maestro fece un buon lavoro. Ma, su questo, non si possono fare confronti con Giù la Testa: per Leone, come è noto, Morricone faceva lavori divini.

 


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