Escape to Victory. Dalla fuga per la vittoria alla fuga dalla Storia PDF 
Nando Dessena   

Pellicole come Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941), Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950) o Gli Spostati (The Misfits, 1960) non hanno certo bisogno di presentazioni, e tantomeno ne ha bisogno l’uomo che le ha realizzate, John Huston, classe 1906, uno di quei personaggi leggendari che la storia del cinema l’ha fatta per davvero. Fuga per la vittoria (Escape to Victory, 1981), forse perché confrontato con capolavori come quelli appena citati, ha spesso incontrato una certa sufficienza da parte della critica, ma i dati auditel dimostrano quanto ad ogni passaggio televisivo, almeno in Italia, questo piccolo cult riesca a ritagliarsi uno spazio più che dignitoso nel ruffiano panorama televisivo contemporaneo. Abbiamo già avuto modo, nel numero di febbraio, di affrontare la spinosa questione dei cult movies a proposito della “perfidia” di un’operazione come il Titanic di James Cameron, e torniamo punto e a capo con un testo come quello di Huston appositamente strutturato con il fine di toccare certe corde.

Fuga per la vittoria presenta tutte le caratteristiche del film sportivo: si parte da un’impresa impossibile – nella fattispecie l’idea di mettere sù una valida formazione di calciatori raccattando il meno peggio da una schiera di relitti umani, prigionieri denutriti vessati dalle angherie degli aguzzini tedeschi – e attraverso un duro allenamento e un’americanissima dose di coraggio e convinzione si giunge al galvanizzante finale con l’inevitabile lieto fine. Con questa formula, pressoché infallibile, l’attenzione dello spettatore e la suspense sono garantite. Per un veterano come Huston, tuttavia, l’agonismo di una partita di calcio giocata contro il nemico numero uno, il nemico con la doppia esse, ha senza dubbio un valore aggiunto. Fare i conti con la Storia è sempre doloroso, e rivedere le crude immagini, a lungo occultate, del documentario The Battle of San Pietro (1945), girato dallo stesso Huston durante la liberazione della penisola italiana da parte delle truppe alleate nella seconda guerra mondiale, lascia tutt’oggi un retrogusto amaro. Lo stesso plot di Fuga per la vittoria è liberamente ispirato ad una partita di calcio realmente disputata il 9 agosto del 1942, che vide contrapposta una selezione di atleti della Lutwaffe, l’aviazione militare tedesca, alla squadra dello Start, composta da calciatori della Dinamo Kiev e del Lokomotiv. L’incontro, passato alla storia con il triste epiteto di “partita della morte” e che ha ispirato anche i film Due tempi all’inferno (1962) dell’ungherese Zoltàn Fàbri e Il terzo tempo (1962) del sovietico Karelov, vide l’orgoglio ucraino prevalere sulle intimidazioni degli ufficiali tedeschi, e l’umiliante 5-3 con il quale lo Start sconfisse la selezione della Wehrmacht costò la vita a gran parte dei propri calciatori, in seguito deportati e fucilati dai nazisti. Il lieto fine proposto nel film di Huston è ovviamente posticcio, una libera invenzione che funge alla perfezione da catarsi, una sorta di rivincita, non solo sportiva, nei confronti di una storia, e soprattutto di una Storia da non dimenticare, ma da edulcorare, da rendere meno amara.

Tutto questo sarebbe già sufficiente a fare di Fuga per la vittoria un’opera di culto, ma il film ha un ulteriore ed enorme pregio di cui è impossibile non tenere conto, ovvero l’importanza attribuita al carattere performativo del testo. Il cast stellare che Huston riesce a radunare, e che comprende, oltre agli attori Sylvester Stallone, Michael Caine e Max Von Sidow, anche dei celebri calciatori come l’inglese Bobby Moore, l’argentino Osvaldo Ardiles, il belga Paul Van Himst e lo statunitense Werner Roth, non fa che aumentare l’aspettativa spettacolare, che verrà ovviamente soddisfatta con la celebre rovesciata del caporale Fernandez, interpretato nientemeno che dal leggendario fuoriclasse brasiliano Pelé. Tutta la prima parte del film, quella più narrativa, è grossolanamente abbozzata per poter rendere subito palese l’arroganza degli ufficiali tedeschi e la dignitosa umiltà dei prigionieri, così che nella seconda parte il buonismo suscitato nello spettatore venga esaltato dalla temerarietà della sgangherata squadra capitanata da Michael Caine, alias John Colby. Ben presto ci rendiamo conto che il piano escogitato per la fuga della squadra degli alleati, durante l’intervallo tra il primo ed il secondo tempo dell’incontro, attraverso il canale fognario di Parigi sotto lo stadio di Colombes, verrà accantonato. L’orgoglio e l’agonismo sportivo, unito alla voglia di vendicare i soprusi subiti, prenderà il sopravvento, unitamente al nostro desiderio di assistere a qualche prodezza atletica.

A questo punto Fuga per la vittoria rende palese l’attitudine ontologica del cinema, medium intrinsecamente votato all’esibizione. La messa in scena di una partita di calcio, rituale collettivo, diviene dunque fenomenologia dell’aggregazione sociale. Se la dinamicità delle eleganti coreografie calcistiche disegnate proprio da Pelé appare a volte mortificata da campi lunghi e primi piani troppo insistiti, con l’utilizzo massiccio del ralenti Huston recupera l’aura epica dei migliori gesti atletici, che riesce a riproporre senza sacrificare troppo la continuità dell’azione. Il brasiliano torna in campo dopo essere stato duramente colpito da un avversario, cammina a fatica e mancano quattro minuti al termine dell’incontro. Il gol del pareggio degli alleati è appena stato annullato, ci si aspetta un miracolo dal mago del pallone e Huston ne segue con piani ravvicinati gli ipnotici dribbling e i fulminei scatti. La soluzione di montaggio di Roberto Silvi a questo punto è magistrale: Pelé passa la palla, rapido zoom in tribuna sul volto teso di Max Von Sidow (il Maggiore tedesco Karl Von Steiner), al rallentatore il primo piano di Pelé, stacco sempre in ralenti sul cross a centro area mentre Pelé si volta di spalle e d’improvviso il tempo riprende a scorrere. La palla si insacca alle spalle del portiere teutonico mentre lo stadio esulta e perfino Max Von Sidow applaude la prodezza, nonostante il disappunto degli altri ufficiali tedeschi. Ancora suspense quando viene fischiato sullo scadere un rigore a favore della Germania: il rettangolo di gioco diviene contemporaneamente ring e schermo cinematografico, il tifoso si trasforma in spettatore mentre Rocky Balboa, ora nei panni del portiere Robert Hatch, risorge dal suo angolo con il personale incedere rozzo e semiclaudicante. Vicino al dischetto, Hatch e Werner Roth, il capitano Baumann della Lutwaffe, si studiano e cercano di intimidirsi a vicenda sotto le suggestive note del coro della marsegliese intonato dai tifosi del Colombe. Stallone, lo ricordiamo, riproporrà questa “intensa” performance nella celeberrima sequenza di Rocky IV, in cui sfiderà il pugile sovietico Ivan Drago. Prima i crucchi e poi i rossi: in ogni caso il cuore e la volontà trionfano. Victoire. Hatch, a mani nude, para il rigore, mentre il consueto ralenti accompagna il piattone di Baumann e il volto di Sly che si deforma quasi fosse una maschera di pongo.

L’orazione funebre di Bazin in onore di Bogart, personaggio simbolo del cinema di John Huston, prende le mosse da quell’espressione tipica con la mascella contratta di Bogey, il sorriso stesso della morte, l’immagine del cadavere differito che è in ciascuno di noi, l’immagine che è l’incarnazione del marciume che sta nel cuore del genere noir. Bogart negli anni Ottanta, mentre il suo amico John Huston gira Fuga per la vittoria, è morto da un pezzo e il classicismo della golden age rivive ormai solo nelle nostalgiche rielaborazioni della New Hollywood. L’ambiguità chiaroscurale del primo piano sembra ormai volersi annullare nell’estetica dello spasmo muscolare, unitamente allo sforzo di un corpo costantemente esibito per esorcizzare la paura di una possibile scomparsa. Sotto quest’ottica, Stallone, con la propria fisicità plastica, si insinua nel classicismo hustoniano come un corpo estraneo: l’ipertrofia corporea materializza una sorta di anacronismo metacinematografico nell’improbabile prestanza fisica di un personaggio più simile ad un gladiatore da peplum che al macilento prigioniero di un lager (un “ebreo de guera” direbbe il sinteticamente caustico Corrado Guzzanti nei panni di Lorenzo/Ghezzi).

Smessi i guantoni, Rocky, l’eterno outsider costantemente in bilico tra il fallimento e la possibilità del riscatto, ritorna come un football player che tenta goffamente di adattarsi al soccer, perché in linea di massima Fuga per la vittoria è anche questo, uno dei tanti film degli anni Ottanta su un corpo inadeguato. Appena un anno dopo, Ted Kotcheff dirigerà Stallone nel primo capitolo della saga del reduce John Rambo in First Blood (1982), dove proprio la sofferenza fisica verrà squadernata, esibita in ogni forma. Dall’intenso primo piano del volto contorto di Robert Hatch che si tuffa sulla palla passiamo al corpo lacerato, ferito e martoriato di quell’animale braccato che è Rambo. Dalla simbolica battaglia vinta dal buonismo dell’happy ending su un campo di calcio giungiamo inevitabilmente a fare i conti con un’altra guerra, quella del Vietnam, perduta com’è noto, ma che, attraverso la rappresentazione del dolore fisico e della sofferenza collettiva di cui Rambo sembra farsi carico, supera la catarsi nella logica del martirio. Il tema del sacrificio, tipico dei personaggi reaganiani interpretati da Stallone, trova in Rambo l’espressione più intensa, nella pervicace rappresentazione di sfide sempre nuove e sempre più cruente che distolgano l’attenzione dai reali orrori della Storia concentrando la caccia sul capro espiatorio di turno, un uomo costantemente costretto alla fuga (per la vittoria?).

TITOLO ORIGINALE: Escape to Victory; REGIA: John Huston; SCENEGGIATURA: Evan Jones, Yabo Yablonsky; FOTOGRAFIA: Gerry Fisher; MONTAGGIO: Roberto Silvi; MUSICA: Bill Conti; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1981; DURATA: 113 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.