The Dreamers PDF 
di Enrico Bisi   

Un pugno che stenta a chiudersi, una mano che ha più dimestichezza col saluto e con le cerimonie piuttosto che con la fermezza. È questa l'immagine di Bertolucci al Lido, o meglio, l'immagine che io ricordo.
Poi le dichiarazioni, quelle che sostengono che il '68 sia stato un successo oggettivo, che la condizione femminile e i rapporti interpersonali siano oggi così "evoluti" grazie alle battaglie vinte dai nostri papà (e da lui). O ancora quelle che parlano di un'urgenza nell'inserire immagini di Genova, di quella Genova per, così dice, "far piacere a quelli del G8".

Io probabilmente vivo in un mondo che non è quello di Bertolucci. Cerco di credere per un momento al fatto che davvero il '68 sia stato un trionfo, ma mi riesce più facile il contrario. Cerco per un momento (sempre dietro suggerimento del regista) di pensare che i rapporti interpersonali e sociali siano quanto di meglio si possa cercare in una civiltà, ma mi riesce più naturale soffermarmi sulle piaghe e tra le pieghe che esistono tutt'oggi, senza cantar lodi alle imprese dei giovani del passato.

Bertolucci dice (ha parlato molto del suo film...) che The Dreamers è un'opera per quei ventenni che non sanno nulla di quel cruciale anno del secolo scorso. Non ho avuto occasione di parlare con nessun ventenne che abbia visto il film, ma sarei curioso di farmi spiegare cosa è stato, secondo questo ipotetico spettatore vergine, il 1968 dopo che papà Bertolucci glielo ha mostrato. In Francia, in Italia, nel mondo, poco importa per ora.

Bertolucci sposa i propri personaggi (privi di spessore) in un cerimoniale che rende poveri e screditati persino i capolavori citati (spesso a sproposito, evidenziando, come nel caso di Mouchette, di essere privo di quella crudezza ed essenzialità che avevano gli artisti "rievocati" - in questo caso Bresson). Perché un freak ti permetta di essere "uno di loro" bisogna non necessariamente essere uno storpio, ma essere, o cercare di essere, un uomo morale, un uomo, come sosteneva anche Pasolini, che sa dire no a se stesso.

Manca l'autocritica e spesso, la critica stessa. Bertolucci cita e sposa le idee di Pasolini, che sosteneva che i proletari in piazza erano quelli con la divisa e non quelli che lanciavano i sassi, ma lo fa con un diverso atteggiamento. Bertolucci lo afferma con un ghigno, perché lui, come i personaggi del suo film, era l'incarnazione di questo paradosso. Lui che rivive dichiaratamente nei suoi tre personaggi: giovani ricchi dall'animo inquieto, annoiati, belli, con l'assegno mensile dei genitori in tasca e soprattutto (quel che più conta) senza quell'utopia vitale che permette di sperare che qualcosa da qualche parte possa cambiare davvero. Esserci alla immonda cacciata di Langlois dalla cinematèque è come essere presenti a un evento mondano, slegato dalla volontà e dalla speranza di ridare il trono al proprio re. Del resto Edith Piafh alla fine del film ci canta che "non si rimpiange nulla".

Detto questo, Bertolucci ha un talento per la regia innegabile e riesce a essere ammaliante come pochi. Pur spiati in modo sordido, i tre personaggi (l'americano molto meno) sono sullo schermo affascinanti; lei è, anche grazie alla regia, "bella in modo imbarazzante", come asserisce lo stesso regista, ma è davvero troppo poco. Federico Fellini, rispondendo alla domanda "che cos'è un regista" postagli da un giornalista, disse che "è un uomo che ha una personale visione del mondo". Risposta generica a una domanda generica, ma è (anche) senz'altro così. La visione del mondo di Bernardo Bertolucci non mi convince, a volte mi irrita persino. E pur non essendo un amante incondizionato di Fellini, a dieci anni dalla sua morte, penso che i ventenni di oggi avrebbero bisogno di lui. E di Pasolini. E di tutti quei grandi film citati in The Dreamers, senza mediazione bertolucciana.

 


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