Mostra Internazionale Cinematografica di Venezia 2001 PDF 
di Lorenzo De Nicola   

Quest'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia non ha convinto come quella degli anni precedenti. Le pellicole in concorso mancavano di quell'incisività e quell'impulso innovativo che, al contrario, si sono potute riscontrare nelle sezioni Cinema del presente e Settimana della Critica; troppe le opere di maniera ed eccessivi gli ammiccamenti, ai quali - probabilmente - la stessa giuria (che annoverava nomi come Nanni Moretti, Jerzy Skolimowsky, Michel Ciment ed Emanuel Levy, solo per dirne alcuni) non ha saputo resistere. A questo proposito non pochi dubbi sollevano le premiazioni conclusive. Se da una parte è più che giustificato il Gran Premio della Giuria al durissimo film Hundstage dell'austriaco Ulrich Seidl, dall'altra risulta molto più discutibile l'assegnazione del Leone d'oro a Monsoon Wedding di Mira Nair, e del Premio Speciale per la regia al film Raye Makhfi (Il voto è segreto) di Babak Payami. La regista indiana mette in scena la complessa e nevrotica preparazione di un matrimonio combinato utilizzando i toni della commedia. Tratteggia uno spaccato dell'upper class indiana tanto precisa quanto tagliente, abbandonandosi anche ad alcuni momenti dalla delicatezza fuori del comune. Il film è piacevole, ma sicuramente inferiore per gli intenti e i contenuti ad altri film presenti nel medesimo spazio.

Per quanto riguarda l'opera di Babak Payami - già vincitore del Premio speciale della giuria nella passata edizione del Torino Film Festival con Yek Rouz Bishtar - questa si evidenzia per il suo carattere profondamente grottesco con una certa tendenza al comico. Attraverso le vicissitudini di una scrutatrice elettorale, incaricata di raccogliere i voti per le elezioni in una terra dimenticata da Dio (dove non si è a conoscenza nemmeno dello svolgersi dello scontro elettorale) e del suo militare di scorta, il regista opera una satira politica contro il suo paese. Non un attacco esplicito, ma una riflessione sulla vita e le regole che la governano dai tratti lievemente anarchici e rivoltosi. Un film divertente e riflessivo al tempo stesso. Ciò che lascia dubbiosi è proprio la regia che si rivela di maniera tanto per l'autore quanto addirittura, a questo punto, per un intero paese.

Altre segnalazioni di film in concorso la meritano opere quali Quem es tu? di Joao Botelho, il cui impatto visivo e iconografico lascia stupefatti; Y tu mama también di Alfonso Cuaròn (vincitore del Premio per la miglior sceneggiatura e del Premio Mastroianni) che narra il passaggio dall'adolescenza alla maturità di due amici inseparabili; Waking Life di Richard Linklater, un'appassionante animazione (attraverso la colorazione fotogramma per fotogramma dell'intero film girato in digitale) che s'interroga sulla realtà e la menzogna, il vero e il falso dell'esistenza, del sogno e del cinema stesso; L'après-midi d'un tortionnaire di Lucian Pintilie in cui ripercorre, seguendo i racconti di un personaggio fittizio calato in una realtà al limite dell'onirico, le atrocità commesse dai torturatori del regime di Ceausescu.

Questi sono solo alcuni dei titoli più interessanti. Ma il festival fuori del concorso ha vantato ottime visioni. Le tematiche presenti attraverso cui si possono raggruppare gran parte delle pellicole proiettate sono quelle dell'alienazione dell'individuo, della profonda confusione tra realtà e sogno, della menzogna del cinema e dei suoi processi produttivi, della deriva del sesso e della sessualità come soluzione ad una vita inappagante, della noia dell'esistenza stessa. Visioni crude, esasperanti che fornivano uno spaccato della dimensione dei giorni nostri a senso unico. Venezia è anche questo. Oltre le passerelle cariche di luci, nel buio della sala si indaga la nostra esistenza.

Ecco quindi che si devono menzionare L'amore probabilmente di Giuseppe Bertolucci, Le souffle di Damien Odoul (Vincitore del Premio Speciale della Giuria Cinema del Presente), lo splendido Thirteen conversation about a thing di Jill Sprecher, Sabado di Juan Villegas e Quitting di Zhang Yang, Loin di André Techiné, solo per citarne alcuni. Opere in cui la ricerca formale, che ormai non può non considerare l'intrusione del nuovo supporto digitale, si mescola all'indagine sulle problematiche della nostra epoca. Il Festival della laguna si presenta pertanto ricco e policromatico e malgrado quest'anno si sia registrato un Concorso un po' sottotono, di certo non sono mancate grandi proiezioni ed eventi speciali. Come nel caso dell'Invincibile ultima fatica di Werner Herzog. Il regista tedesco narra la storia vera di Zishe, un uomo forzuto polacco, portato a Berlino per esibirsi nello spettacolo dell'ambiguo Hanussen. Attraverso questo espediente, Herzog tratteggia la sua nazione durante gli anni difficili prima dell'avvento al potere di Hitler. Il carattere visionario di quest'opera, malgrado non sia ai livelli delle precedenti, testimonia la freschezza di un autore sempre pronto a far discutere di sé. Allo stesso modo Rohmer, che si è aggiudicato il Leone d'oro alla carriera, con L'anglaise et le duc ripercorre i drammatici anni della rivoluzione francese ponendosi dalla parte di una nobildonna aristocratica e pertanto rileggendo in maniera provocatoria la portata di quegli eventi e quegli ideali. Due pellicole di altissimo valore firmate da due maestri del cinema che non smettono di stupire per la loro fecondità e lungimiranza.

 


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