Inutile girarci intorno. Super 8 è il film di Steven Spielberg che molti avrebbero voluto vedere: dinamico, ludico ma mai sciocco, animato da un piglio fanciullesco, e felicemente naïf. Poco importa, forse, che a firmarlo non sia il regista di ET, ma bensì J.J. Abrams, uno dei più importanti rinnovatori del mezzo televisivo degli ultimi dieci anni (solito riferimento: Lost, di cui è co-creatore). Ma soprattutto poco toglie alla godibilità dell’intera operazione, perché – che si conosca o meno l’immaginario fantastico di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta di cui è intriso il film in questione – Super 8 rimane un piccolo gioiello di una fantascienza che rimane al di qua del tormentato immaginario post-moderno e post-11 settembre. In Super 8 non c’è infatti nessuno sconvolgimento del tempo della narrazione (Inception), né alcun cedimento della forma-film a favore del falso-documentario o del falso racconto in presa diretta (District 9, Cloverfield). La storia è molto semplice. Anni Ottanta: Joe è un quattordicenne da poco orfano di madre, vive in una piccola comunità dell’Ohio e passa il tempo con un gruppo di coetanei con l’intento di realizzare un cortometraggio (a tema zombie) in super 8. Nel tentativo di filmare una scena in notturno nei pressi di una piccola stazione ferroviaria, assistono al deragliamento di un treno che contiene qualcosa di mostruoso. Presto la piccola città sarà popolata da militari intenti a proteggere un segreto di cui solo Joe e i suoi amici sono a conoscenza.
Chi in Super 8 vedrà una continuazione del lavoro del primo Spielberg (in particolare quello di Incontri ravvicinati del terzo tipo ed ET) certamente non sbaglia, ma farebbe un torto ad Abrams (che è certamente ben conscio di quel cinema) se dimenticasse anche le molte pellicole anni Ottanta la cui storia si muove attorno ad avventure e disavventure di gruppi di ragazzini di provincia, Goonies e Stand by me su tutti (e in Goonies c’è ancora lo zampino di Spielberg, anche se solo nelle vesti di produttore). Perché Super 8 è, prima di tutto, un racconto sull’adolescenza, sull’amicizia e sulla scoperta del mondo. L’abiura della forma apparentemente più semplice del racconto, quella che, classicamente, richiede allo spettatore la sospensione dell’incredulità e rifugge dai rimandi continui dell’ironia post-moderna in cui tutto richiama qualcosa di pre-esistente, e in cui nulla va preso sul serio, è una tendenza che cela dietro di sé uno smarrimento di punti di riferimento tanto etici quanto estetici. Tutto il contrario di Super 8. Che invece, pur essendo un florilegio di citazioni dello Spielberg di trent’anni orsono, ci mostra un citazionismo tutt’altro che post-moderno, mantenendo l’atmosfera dell’originale ed evitando così il ribaltamento di senso che spesso avviene con il citazionismo spinto di molti tarantiniani (di primo o ultimo acchito), che si perdono nella bellezza del già visto fino al punto di dimenticarne il senso della narrazione.
Ben altra cosa è Super 8, dove sin dall’inizio il gioco avviene a carte scoperte: i protagonisti sono degli adolescenti americani che vivono in una piccola cittadina dei primi anni Ottanta e che – se questo non fosse già abbastanza – cercano di girare un cortometraggio horror in super 8. In pratica, già dopo dieci minuti di visione il patto con lo spettatore è chiaro e trasparente. L'intento non è costruire un secondo livello di senso sopra ad uno già esistente, ma semplicemente ripercorrere candidamente la stessa strada: Abrams non vuole mostrare quanto sia bravo a ripetere le atmosfere di film già visti, ma piuttosto recuperarne il senso, recuperarne cioè la semplicità e l’ingenuità. Il racconto di ragazzini che “combattono” un mostro (o cercano di salvarlo) mentre vengono ostacolati da diverse figure del mondo adulto è una favola, non la parodia di una favola. Super 8, insomma, nella sua struttura lineare e nel suo piglio sentimentale, ci chiede di credere in questa favola e di tornare bambini. E noi siamo ben contenti di farlo.
TITOLO ORIGINALE: Super 8; REGIA: J.J. Abrams; SCENEGGIATURA: J.J. Abrams; FOTOGRAFIA: Larry Fong; MONTAGGIO: Maryann Brandon, Mary Jo Markey; MUSICA: Michael Giacchino; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2011; DURATA: 111 min.
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