Gremlins: la soglia dove Joe Dante si bloccò PDF 
Mario Bucci   

Forse di Joe Dante, regista di questo classico horror per adolescenti, fra una ventina di anni se ne ricorderanno in pochi. Per essere un cineasta riconosciuto/riconoscibile ai più, infatti, bisogna mettere a segno o un caposaldo del mercato (essere il James Cameron di Titanic ed Avatar, per fare l’ultimo esempio) oppure un film che rinnovi completamente il linguaggio del cinema, spingendolo verso qualcosa che sappia di nouvelle. Joe Dante, purtroppo, non ha mai fatto pienamente centro né nell’uno né nell’altro senso, sebbene Gremlins (1984), il suo maggior successo di pubblico, sia nella memoria di tutti gli adolescenti cresciuti negli anni Ottanta. Joe Dante verrà dimenticato, insomma, perché scorrendo la sua pur interessante filmografia (che spazia dall’horror alla fantascienza) non vi sono pellicole capaci di competere con altri lavori che, contemporaneamente ai suoi, sono usciti nelle sala. Ed anche perché il suo approccio al genere risulta spesso e volentieri impegnato. Troppo per soddisfare il pubblico a cui esso fa riferimento, troppo poco per renderlo un avanguardista. Per dimostrare questa teoria è sufficiente fare una breve analisi di Gremlins.

Kingston Falls, Natale 1984. Lo scienziato Rand Peltzer porta a suo figlio Billy, come dono da scartare sotto l’albero, un mogwai, un simpatico animaletto mezzo koala e mezzo panda acquistato da un rigattiere a Chinatown. Perché tutto vada bene, perché non ci siano rischi nell’avere un mogwai in casa, bisogna rispettare tre regole: tenere l’animale lontano dalla luce, non farlo bagnare, non dargli da mangiare dopo la mezzanotte. Siamo però in una provincia un po’ sempliciotta e schematica, stordita dall’inverno e dalla mancanza di lavoro, e siamo soprattutto in una famiglia dove un padre ha la testa fra le nuvole, impegnato a costruire improbabili utensili, una madre ha tristemente accettato il proprio ruolo di casalinga, e un figlio, Billy, dorme con un cane nel letto e fa il cassiere in una banca sognando di fare il disegnatore. In un contesto simile è impossibile che le tre regole vengano rispettate. Come in un Eden sempre imperfetto, anche a Kingston Falls, infatti, le cose cambiano, e l’innocuo mogwai finisce per trasformarsi e moltiplicarsi in feroci e dispettosi gremlins, pronti ad assediare la piccola cittadina.

Bene. Per prima cosa occorre notare come in testa a tutti i titoli campeggi in bella vista il nome di Steven Spielberg (uno che ha sbancato più volte il botteghino), a garanzia di un prodotto che altrimenti, con molta probabilità, non avrebbe ricevuto tutto l’interesse ottenuto (macrodistribuzione, mercato home video, gadget, ecc …). Proseguendo, ecco che fanno capolino tutti gli spunti utili per ottenere un successo di massa: inizio con voce fuori campo del padre che racconta una storia già accaduta; le regole che non si devono infrangere (vecchie come il tempo); il mogwai che muore con la luce come i vampiri (ai quali rimanda anche la loro icona cattiva) e ha un vincolo fissato a mezzanotte come la favola di Cenerentola; la sua origine orientale che rimanda al mistero e all’esotico; la cattiva signora Deagle, che è un misto fra una strega, la favola di Scrooge e una Morticia meno pop; il canto del mogwai, che è come un canto di sirena; la schiusa dei bozzoli che ricorda quella di Alien; un gremlin cattivo che fa il verso ad E.T. con “telefono casa” strappando i fili del telefono; la truculenta resistenza della madre di Billy che fa riferimento all’icona ladykiller; fino all’uso davvero frequente del vissuto cinematografico. Il forte legame di Joe Dante con il cinema (e non solo di genere) è votato ad un eterno riconoscimento/confronto attraverso citazioni, ellissi e metonimie. E così Gremlins prosegue nella sua storia sostenuto dalle invenzioni del padre di Billy, che sono un omaggio al Chaplin di Tempi moderni (1936), incrociando in cucina La vita è meravigliosa di Frank Capra, in camera da letto L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, e al cinema Biancaneve e i sette nani. Insomma, si tratta di un “tutto conosciuto”, di una mappa ad uso e consumo degli spettatori più distratti.

Attorno a questo primo nucleo centrale di rimandi, dunque, che rendono i personaggi e la storia facilmente riconoscibili allo spettatore, Joe Dante imbastisce una timida, seppur sincera critica alla società americana, soffocata dall’idea del denaro e del successo. Una critica che tuttavia rimane in superficie. In Gremlins, così come in molti altri suoi film, il limite di Joe Dante, infatti, è di riuscire a malapena a farla esplodere, relegandola sempre sullo sfondo, come fosse una fotografia sfocata che qui, forse ancora impregnata di un romanticismo tutto anni Ottanta, fa emergere i due protagonisti da un mondo dove la caduta del potere d’acquisto della classe media, e la paura dei licenziamenti di massa, così come quello dell’aumento dell’affitto delle case, non si erge però mai davvero a livello di critica sociale. Dante, in Gremlins, rimane dunque sempre su una soglia invisibile, senza esplorare fino in fondo né il genere nè la realtà contestuale sulla quale pone il suo sguardo. Una soglia che deciderà di non oltrepassare mai fino in fondo.

TITOLO ORIGINALE: Gremlins; REGIA: Joe Dante; SCENEGGIATURA: Chris Columbus; FOTOGRAFIA: John Hora; MONTAGGIO: Tina Hirsch; MUSICA: Jerry Goldsmith, Noel Regney; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1984; DURATA: 105 min.

 


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