Dopo aver cercato (e trovato) la felicità, Will Smith si riaffida alle premurose e capaci mani di Gabriele Muccino, per una storia tanto lontana dalla precedente quanto dal suo reale modo di essere. Il protagonista questa volta è un uomo solo, annientato, spinto solamente da una (ultima) volontà, quella di salvare le “Sette anime” del titolo, per una sorta di desiderio di redenzione, che sarà poi contagiato anche da un amore imprevisto.
«In sette giorni Dio creò il mondo...in sette secondi io ho distrutto il mio»: così recita il personaggio sin dalla prima frase, introducendoci direttamente nella sua vita e nel suo dolore. Responsabile della morte di sette persone, tra cui la propria moglie, Ben Thomas (Smith) predispone un piano per riscattarsi, cambiando la vita di altrettanti estranei, a suo avviso, bisognosi di aiuto. Comincia in questo modo la sua ricerca, un viaggio intimo e personale, teso al perdono di se stesso e alla liberazione da un peso troppo pesante da sopportare. Muccino sceglie la “vicinanza”: il suo occhio, tramite la macchina da presa, segue da presso il suo attore feticcio, magnifico nel rendere e trasmettere tutta la sofferenza e le altre emozioni attraverso uno sguardo o una corsa a perdifiato (ricorrente nella filmografia del regista) durante un temporale. L’acqua è un elemento costante nella storia, sottoforma di oceano, di pioggia, di lacrime, emblema della vita (è l’ambiente naturale della cubomedusa), ma anche di una purificazione e di una possibile rinascita.
Nonostante la persistente atmosfera di disperazione aleggi per tutta la durata del racconto, non mancano momenti di, seppur fuggevole, serenità, emozionanti, densi e splendidamente fotografati. Rosario Dawson è di una bellezza e una bravura commoventi, mentre Woody Harrelson dona al suo personaggio un’umanità e una dolcezza, in quelle poche scene in cui compare, che colpiscono a fondo. Indescrivibile a parole l’interpretazione di Smith, ormai a suo agio nei ruoli più complessi (merito, in questa occasione, anche dell’importante sostegno dell’amico regista). Muccino si rivela accorto nella scelta di continuare a lavorare negli States, in grado di fornirgli il giusto “materiale” per le sue potenzialità, spesso sottovalutate in Italia, e la sua sensibilità: questa sua seconda prova è un’opera intensa, profonda, che sedimenta e non se ne va.
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