Katowice, Polonia. La gente cerca lavoro e paga per riceverlo. Londra, Gran Bretagna. La gente procura lavoro, per un giorno, e prende soldi per farlo. È un circolo vizioso quello che Ken Loach porta ancora una volta sul grande schermo, un circolo vizioso nuovamente individuato, inserito, incastrato in quello che lui soprattutto, fra i tanti registi europei, ancora riconosce come il vero cortocircuito del secolo: la classe operaia nel mercato del lavoro, così come nel secolo passato, così come in quello appena iniziato. Una classe operaia globalizzata, smitizzata, distrutta, alla deriva: l’estrema sintesi della forza lavoro. Quello che lo schermo mostra è un’immoralità diffusa che non si riesce a nascondere, ecco di cosa si parla, che sempre più trasforma uomini, donne e bambini lavoratori in carne da macello. Un lavoro non troppo complesso, ma sistematico nelle sue tappe, che tende verso la crescita individuale (anche la storia si focalizza sempre di più sulla protagonista Angie) in sfavore di una ormai sempre più ampia moltitudine di lavoratori disperati, veri e propri morti viventi del mercato del lavoro. Non è solo l’esasperazione della precarietà che Angie, icona femminile di questo cortocircuito, affronta/rappresenta, perché esasperata è un’intera situazione che comprende mobilità economica e immobilità fisica (la famiglia iraniana che Angie accoglie in casa), l’ennesimo collasso di una misera vittoria e la continuità di un modello vinto in partenza (quello appunto dello sfruttamento), il tutto descritto attraverso uno sguardo sempre più disilluso da parte del regista, freddo, molto amaro e distaccato, come testimoniano i pochi primi piani e una fotografia molto “concreta”. Non è una società quella in cui viviamo, ma un’orgia del mercato e un mausoleo all’incoscienza. Angie non riesce a cambiare rotta, pur sapendo che il suo destino è immutabile dal giorno in cui ha incominciato a lavorare, non riesce a fare a meno di correre dietro ai soldi, tanti, lasciandosi alle spalle la sua storia, gli affetti, un figlio. Proprio lei, protagonista assoluta, è una figura complessa che sintetizza tutto quanto detto, una ragazza ostinata quanto più lontana da ogni eventuale redenzione, un’icona del nostro tempo: un mercante disperato. Angie è dunque questo libero presente che rincorre il denaro, in strada, dietro un pub, reclutando altrettanti disperati cui non viene riconosciuta alcuna dignità. Un merito del film va sicuramente al suo personaggio, ben interpretato da una adulta Kierson Wareing, ragazza madre non proprio esemplare, alla quale però il pubblico rischia di affezionarsi troppo facilmente, forse proprio per il grande lavoro empatico dell’attrice. Il rischio, infatti, è che una parte del pubblico possa non arrivare ad assorbire il climax del film, forse a causa di un finale troppo stretto, seppur degno del lavoro messo in scena. In questo mondo libero… è insomma un classico film “alla Loach”, su un’interessante sceneggiatura di Paul Laverty, recentemente premiata alla 64° Mostra di Venezia, non scontata ma con qualche didascalia, che ha il grosso merito di porre ancora, insistentemente, un’importante domanda/riflessione: partendo infatti proprio dal titolo, in questo mondo libero…chi ci guadagna? Noi certamente no. È la risposta che si danno Rose e Angie, le nuove socie di un mercato clandestino del lavoro precario, due vittime (Angie subisce anche delle molestie sessuali prima di essere licenziata) che diventano subito boia di tanti altri illusi. Qualcuno si ribella, ma la dignità umana torna subito ad essere merce mondiale del Grande Mercato. Molto interessante a questo proposito è la scena in cui un gruppo di lavoratori in passamontagna si presenta a casa di Angie e, con minacce, domanda riscatto per i soldi dovuti. È una sequenza centrale del film: si ha l’impressione, infatti, che con essa Loach voglia giustificare alcune posizioni più estreme sulla critica al mondo del lavoro. Se così fosse, bisogna allora ben ascoltare il monologo in questione, per capire che non si tratta di una forzatura scenica o narrativa, ma di una condizione estrema di questo sporco mondo libero. SCHEDA FILM TITOLO ORIGINALE: It's a Free World...; REGIA: Ken Loach; SCENEGGIATURA: Paul Laverty; MONTAGGIO: Jonathan Morris; FOTOGRAFIA: Nigel Willoughby; MUSICA: George Fenton; PRODUZIONE: Germania/Gran Bretagna/Italia/Spagna; ANNO: 2007; DURATA: 96 min.
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