Cinema Universale d'Essai PDF 
Viviana Eramo   

C’è la Storia e ci sono le storie. E le storie, raccontando la Storia dall’angolazione meno nota, meno abusata, spesso le regalano un nuovo, rinnovato fascino discreto. È il caso della storia del Cinema Universale d’Essai di Firenze – sala cinematografica del quartiere del Pignone – che questo piccolo documentario scritto e diretto da Federico Micali, su adattamento libero del libro di Mattia Poggi, ripercorre attraverso le testimonianze di coloro che hanno frequentato la storica sala tra gli atti Sessanta e la fine degli Ottanta, quando chiuse definitivamente per far posto ad una discoteca.

Cinema Universale d’Essai restituisce visibilità e potere immaginifico alla memoria di quanti la sala in via Pisana l’hanno vissuta più o meno assiduamente, di quanti ne hanno sentito parlare come di una leggenda metropolitana e popolare. Ma sopratutto racconta la sua storia a tutti coloro che non hanno mai avuto modo di conoscerla, gettando luce su un modo di fruire e vivere il cinema che sa tanto di tempi andati (perduti?). Perché la storia del cinema del Pignone è anche, necessariamente, la storia della città di Firenze e dell’Italia intera e, si direbbe, pure la storia universale del cinema e del suo rapporto con lo spettatore. Con una linearità e un andamento piuttosto modulare, che non si trasforma mai in monotonia, Micali decide di far parlare direttamente i fiorentini che quella sala l’hanno amata e frequentata, diventando prima adolescenti e poi adulti. Il regista omette didascalie informative per rivelarci l’identità di chi parla solo nei titoli di coda, che arrivano dopo meno dei settanta minuti durante i quali, alle dichiarazione di una cinquantina di persone, si alternano materiale di repertorio e animazioni artigianali in stop motion. Cinema Universale d’Essai ci rammenta che la storia del cinema è anche la storia del suo rapporto con gli spettatori, dei mutamenti delle modalità attraverso le quali il cinema lo fruiamo. Ciò che oggi sarebbe impensabile nell’era della vendita all’ingrosso del multiplex, un tempo invece accadeva (forse) in più di qualche città italiana.

A Firenze succedeva che l’Universale accogliesse chiunque, sia gli spettatori paganti sia coloro che, accucciati sotto la cassa, passavano senza fare il biglietto. Dentro la sala non si stava tanto per vedere il film, ma per viverselo, in un momento che era “evasione vera”. Perché nella sala mitica dell’Universale non solo si fumavano sigarette e cannabis (e si vendeva eroina, quando fu il momento), ma le pellicole venivano commentate ad alta voce e dalla platea si levavano cori di dissenso o approvazione nei confronti del buono o del cattivo di turno. Succedeva pure che si liberassero piccioni nel bel mezzo della proiezione di Birdy e si lanciassero i più svariati oggetti contro lo schermo. L’Universale era così, era il posto dove non dovevi andare se volevi davvero guardare il film. O meglio, dove vedere lo stesso film non costituiva mai un'esperienza identica, perché ogni volta la sala riservava delle sorprese. Il confine tra lo schermo e il pubblico era costantemente infranto con la conseguente spiazzante commistione tra realtà e finzione, che si declinava pure nei modi in cui i film sembravano parlare non solo a, ma pure di chi era presente al di qua dello schermo. Così film come Zabriskie point, Fuga di mezzanotte, Fragole e sangue interpretavano e venivano interpretati da chi all’Universale si ritrovava, magari poco prima, nelle piazze, come oggi succede nei centri sociali. Quando la programmazione dell’Universale divenne d’essai – quindi maggiormente ricercata, ma pure aperta alle richieste degli spettatori che potevano sollecitare mensilmente la pellicola da proiettare –, la sala cominciò a respirare certi climi (politici) rivolti a sinistra. E successe pure che, al riaccendersi delle luci in sala, squadre di celerini vigilassero per un controllo.

Il caos della Storia e delle storie ci viene restituito da Micali attraverso una messa in scena rigorosa e ordinata, che affida tutto alle testimonianze dei protagonisti (c’è pure il tempo di ascoltare uno stralcio della registrazione audio di una serata all’Universale, che, manco a dirlo, somiglia più a quella di un bar affollato e piuttosto esagitato), montate a ripercorrere le diverse fasi della storia (della sala), ma senza la benché minima perdita di spontaneità e costruendo, invece, una sorta di climax la cui punta massima è raggiunta quando i protagonisti raccontano le reazioni del pubblico di fronte alle scene di sesso (un film per tutti: Ultimo tango a Parigi). Nota a parte merita la leggenda sulla serata in cui qualcuno di non meglio identificato entrò in sala a bordo di una Vespa. Qui i racconti si fanno ancora più bizzarri e ognuno dice la sua, conferendo all’episodio qualcosa di mitico, ironicamente rappresentato dalle animazioni in stop motion che di tanto in tanto, lungo il documentario, rievocano con artigianale semplicità il luogo fisico della sala. Poi arrivano gli anni Ottanta e il clima del cinema del Pignone non è più lo stesso, la degenerazione la fa da padrone e ci scappa qualche rissa. E mentre cade il muro di Berlino, l’Universale smette di essere una sala cinematografica per prepararsi ad accogliere una discoteca, riconfermando anche al tramonto la sua natura di segno dei tempi.

Questa la storia di un cinema interattivo antelitteram e forse migliore di quelli che ci si prospettano. Un cinema erede di una relazione aperta col teatro e la ribalta, in cui il rapporto con lo spettatore, la sua pragmatica, non è risolto individualmente ma diventa necessariamente e materialmente un fatto sociale. Un cinema capace di segnare ed essere segnato dalla Storia, che la Storia, in un epoca in cui il cinema diventa sempre più un'arte fruita singolarmente, non dovrebbe dimenticare.

TITOLO ORIGINALE: Cinema Universale d’Essai; REGIA: Federico Micali; SCENEGGIATURA: Federico Micali; MONTAGGIO: Yuri Parrettini; MUSICA: Stefano Bettini; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2008; DURATA: 69 min.

 


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