I lunedì al sole PDF 
di Luca Gricinella   

"La peggiore ingiustizia della disoccupazione: vi obbliga ad accettare il primo posto che vi si offre, fosse anche il più contrario alla vostra vocazione, con la minaccia di passare per un perdigiorno e di vedersi rifiutare ogni specie di aiuto e di considerazione amichevole. Beneficio corrispondente: si è costretti a scegliere nettamente tra la propria vocazione e l'opinione."

Si tratta di una delle ultime considerazioni proposte da Denis De Rougemont nel suo Diario di un intellettuale disoccupato (Fazi Editore, Roma 1997, pag. 216), pubblicato per la prima volta nel 1937, in Francia. Parole che calzerebbero a pennello come commento a una delle tante scene girate nel bar dove si ritrovano gli amici protagonisti di I lunedì al sole: la scena del litigio, quella in cui l'unità, invocata da Santa (Javier Bardem) come unica risposta efficace alla politica dei licenziamenti, viene derisa con sufficienza da chi ha ancora un lavoro. La stessa unità che, tra amici, colleghi, compañeros e familiari, appare poi come l'unica reale soluzione, quasi un imperativo, per aprirsi una via di scampo.

I lunedì al sole non è solo un film sul concetto di unità, ma anche su quello di dignità in tempo di crisi. I protagonisti non sono certo degli intellettuali come Denis De Rougemont, bensì degli operai solitari, che hanno perso il lavoro da tre anni, che conciliano il cazzeggio con continue bevute, che hanno una vita familiare poco propizia o inesistente ma, soprattutto nel caso di Santa, tutt'altro che sprovveduti. Insomma, il giovane regista del film, Fernando León De Aranoa (1968) è, come è stato detto da molti, un Ken Loach in versione spagnola? No, sarebbe una visione riduttiva, perché De Aranoa è parente dei fratelli Dardenne di Rosetta, dell'Aki Kaurismäki di Nuvole in viaggio, del Laurent Cantet di Risorse umane e A tempo pieno, o ancora dello Stephen Frears di The Van - Due sulla strada. La disoccupazione frustra, deprime e mortifica chi è costretto a viverla e tutti questi autori europei (ma gli italiani?) la analizzano e la raccontano, spesso prendendo spunto da storie realmente accadute, altrettanto spesso proponendo soluzioni; soluzioni da intellettuali che si sentono vicini, e si sforzano di esserlo, ai lavoratori maltrattati da quei padroni che, avendo ormai spesso a che fare con le multinazionali, oggi sono diventati ancora più cinici e potenti.

Nel film non succede praticamente nulla, in barba alle regole narrative (nello specifico riguardanti la sceneggiatura) applicate nel cinema hollywoodiano del "viaggio dell'eroe". Il mentore latita, nessun avvenimento rilevante può essere definito un colpo di scena, il passaggio da quello che dovrebbe essere il mondo ordinario per tutti, ossia l'occupazione, al mondo straordinario, la disoccupazione, non ha trovato spazio nella messa in scena, è rimasto un antefatto. Un paio di elementi sono spiazzanti: il primo è che I lunedì al sole è piaciuto pure a Hollywood, infatti è stato candidato all'Oscar come miglior film straniero nel 2002; il secondo è che la vita condotta dai personaggi descritti da Fernando Leon De Aranoa e dal suo sceneggiatore Ignacio Del Moral, riesce addirittura ad affascinare lo spettatore, in primis perché alla fine il gruppo di amici resta davvero unito, poi perché a osservare il loro tran tran quotidiano, condito da una colonna sonora di Lucio Godoy che a tratti sa essere intensa come i migliori tanghi, non ci si annoia mai: Santa e compagni non perdono mai il sorriso, si sostengono a vicenda e in alcuni passaggi l'impressione è, addirittura, che si stiano prendendo una vacanza dallo sfruttamento. Sì, perché il cantiere navale non è la loro vocazione, ma è una disposizione a cui sono stati costretti: non a caso Santa, quando legge la favola della cicala e della formica al bambino di una coppia dell'alta borghesia, s'incazza; s'incazza perché quei "figli di puttana" che hanno scritto la storia non dicono che cicala o formica si nasce, e che se nasci cicala difficilmente puoi cambiare il tuo stato.

La sequenza finale non lascia intravedere un futuro migliore del presente, ma quanto meno sancisce che la rassegnazione non attecchirà nell'animo dei protagonisti. Insomma il problema non è risolto, ma è stato presentato con estrema precisione, come riteneva fosse requisito indispensabile per ogni racconto un narratore del calibro di Anton Cechov.

 


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