Collateral: il lirismo classico PDF 
di Mauro Brondi   

Michael Mann è senza dubbio uno dei grandi classici del cinema americano contemporaneo, autore capace come pochi di svelare il rapporto intimo fra la City e i drammi umani dei suoi personaggi. Anche in Collateral Mann compone una lirica dedicata principalmente alla città, alle sue luci, al fascino delle strade, ai suoi spazi e al suo tempo. Il tempo della città è un tempo notturno, governato dai semafori e dal traffico, difficile da controllare (ma non impossibile): può essere lento, fatto di lunghe attese, o rapido e schizoide. Lo spazio può invece apparire labirintico o vuoto, ma si tratta sempre di un campo che isola il soggetto lasciandolo solo a se stesso, parte ben distinta dal cemento e dalle luci (sebbene il finale riveli la speranza di una coppia, tipica dei finali manniani, anche se, a ben guardare, rappresentano una speranza decadente).

Ed è sullo spazio che vogliamo soffermarci, per sottolineare come il regista, in certi momenti del film, riesca a giocare in modo originale con la città e con corpi che la abitano, andando a comporre quella che ci appare come una nuova lirica della metropoli contemporanea. Per fare questo Mann sembra utilizzare in certi momenti del film una modalità espressiva tipica del cinema europeo della modernità e cioè quella del decadrage, o meglio dell'inquadratura sbilanciata, o meglio ancora, di un'inquadratura non necessariamente inserita nella logica classica del punto di vista narrativo, quella logica che sottende in generale tutto il cinema classico.

E' vero che Mann gira l'intero film secondo le regole della leggibilità, eppure al contempo si avvicina ad una estetica più libera, giocando e sperimentando alcune soluzioni visive particolari. I due soggetti messi in gioco sono il corpo attoriale, più precisamente il suo volto, e gli spazi della metropoli: le strade, i palazzi.

Campo-controcampo e profondità di campo sono soluzioni utilizzate spesso da Mann e fanno, per così dire, da filo visivo conduttore. Ma ostacoli alla visione (il vetro all'interno del taxi che spesso e volentieri mette fuori fuoco il viso, prima quello della Pinkett Smith e poi quello di Cruise), inquadrature decentrate (i camera car che secondo prospettive inusuali mostrano parti del taxi e parti della città), plongée estreme a inquadrare le strade come fossimo dentro un videogioco rivelano un'intenzione di Mann, per niente nascosta, di muovere il discorso verso una direzione inusuale, proponendoci un punto di vista spurio, slegato rispetto alle esigenze della narrazione. Soluzioni visive che risultano essere certamente legate al piacere e alla bellezza della visione, oltre a rispondere alle logiche della spettacolarità secondo nuove prospettive

Infatti, questi elementi, che nelle prime fasi della modernità andavano decisamente contro la spettacolarizzazione, in Collateral sembrano invece giocare a suo favore alternandosi ai momenti classici del film e proponendosi come punti di vista altri, spiazzanti, all'interno di una storia lineare come quella raccontata.

Ma vediamo con ordine alcuni esempi contestualizzandoli all'interno del percorso narrativo del film. Nell'abitacolo del taxi abbiamo un primo momento particolare, quando la Pinkett Smith sale sul mezzo ordinando il percorso da fare. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il volto dell'attrice non viene immediatamente inquadrato in modo pulito, ma per una buona parte del dialogo resta come oscurato, fuori fuoco e confuso, dietro al vetro che separa la metà posteriore da quella inferiore dell'auto. Mann passa dal volto leggibile e in primo piano di Max, il tassista, al volto "offuscato" della Smith. Questo gioco sul volto continuerà con la presenza di Cruise, processo particolarmente interessante se pensiamo che questa modalità è applicata principalmente al protagonista del film, modalità che potrebbe risultare pericolosa oscurando, spesso e volentieri, il volto della star.

Altro esempio riguarda il posizionamento della macchina da presa nei camera car. Mann spesso posiziona la camera come se volesse dividere il quadro in due parti non necessariamente simmetriche: l'elemento della carrozzeria dell'auto da una parte, lo spazio della città con le sue luci dall'altro. L'ottica grandangolare che dilata l'inquadratura conferisce un respiro particolare all'immagine, respiro che non segue la logica frenetica della storia, come avviene nel momento dell'inseguimento della polizia (nella seconda parte del film), che invece concede una pausa lirica all'occhio contro la violenza e l'azione appena passata e destinata a tornare di lì a poco

Ultimo elemento significativo sono le plongée dall'alto della città, quasi una citazione di un videogame (vedere per credere Grand Theft Auto 2) che danno ulteriore respiro ad un film che rischierebbe la claustrofobia (gran parte del film si svolge in taxi, la durata del film è lineare lungo tutta una notte). Queste immagini, tra le più belle del film, potrebbero far parte di un film dell'avanguardia, così come di un documentario poetico e sperimentale sulla L.A. notturna.

Mann riesce in sostanza ad inventare, o meglio, a utilizzare a proprio favore, modalità espressive e linguistiche non ordinarie per il cinema classico americano, valorizzandone le valenze spettacolari e liriche. Di volta in volta, il grandangolo, l'inquadratura sporca o il quadro sbilanciato si integrano in una commistione di movimenti e luci che mostrano la libertà del linguaggio cinematografico e la sua modellabilità, pur restando fedeli a processi e logiche ben regolate e disciplinate come quelle di Hollywood.

 


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