Inghilterra, 1968. Mentre per le strade della swinging London le ragazze sfoggiano vertiginose minigonne ondeggiando al ritmo dei Beatles, a Dagenham, nell’Essex, 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala fatiscente della modernissima fabbrica della Ford, iniziano la loro lotta per la rivendicazione della parità di diritti. Questa, in soldoni, la trama di We Want Sex, ultimo lavoro dell’inglese Nigel Cole. Il fatto ha fondamento storico: in seguito ad una ridefinizione contrattuale che le vorrebbe definite come “operaie non qualificate”, e stanche della umiliante consuetudine che le vuole pagate la metà dei colleghi uomini, queste paladine del ventesimo secolo, con la loro protesta, daranno il via ad una straordinaria paralisi dell’industria automobilistica inglese e alla prima grande rivendicazione che porterà, infine, alla legge sulla parità retributiva tra uomini e donne.
Pur prendendo spunto da avvenimenti realmente accaduti, We Want Sex è tutt’altro che un film con intenti documentaristici, né si prefigge di dimostrare tesi o portare avanti assunti, incanalandosi piuttosto, e nel migliore dei modi, nel filone della commedia di proletariato all’inglese. "We Want Sex Equality", scrivono le operaie sullo striscione che portano in trionfo per le strade della città di fronte agli sguardi increduli e sbeffeggianti dei colleghi uomini. "We Want Sex", invece, è quel che si legge, complice il vento. Ed questa scena che offre la chiave di lettura dell'intera pellicola: un sorriso per l’imprevisto, ma una piena solidarietà per la causa. Già regista di fortunati successi quali L’erba di Grace o Calendar Girls, Nigel Cole si mette nuovamente alla prova con il registro della commedia brillante nei toni ma impegnata nei temi e sfodera uno spassosissimo sense of humour. Il ritratto che Cole offre della comunità di Dagenham è esilarante e impietoso al tempo stesso, a partire dalle stesse operaie, discinte per il caldo, solidali e ridanciane, un po’ leggere, forse, ma capaci di spaventare “l’intruso uomo”, sebbene sia il sindacalista che le guiderà (se mai un plotone di operaie arrabbiate possa essere guidato da un uomo!) nello sciopero. Donne che nella vita privata sono mogli devote si trasformano sul lavoro in determinate paladine della parità tra i sessi e della emancipazione del ruolo della donna.
Una storia piccola che si tinge di impegno, come una piccola protesta che si rivela invece una scintilla nelle coscienze di chi ha accettato lo status quo bovinamente, ma che, ridestato, si muove sinergicamente per il bene collettivo. Forse alcuni personaggi, come quello completamente inventato della “portabandiera” Rita O'Grady (interpretata da una eccellente Sally Hawkins), o quello della deputata Barbara Castle (cui presta i sofisticati modi Miranda Richardson), che offrirà il suo sostegno alla protesta tanto da promuoverla fino al Parlamento, sono un po’ stereotipati e prevedibili nella loro evoluzione. Ma nulla si può in realtà rimproverare ad un film che non vuole dimostrare, ma solo presentare i fatti in modo gradevole. O forse semplicemente ricordare che un mondo diverso può esistere, e che l’inizio di questo mondo parte da noi, con piccoli passi che possono diventare grandi conquiste per tutti.
TITOLO ORIGINALE: Made in Dagenham; REGIA: Nigel Cole; SCENEGGIATURA: Billy Ivory; FOTOGRAFIA: John de Borman; MONTAGGIO: Michael Parker; MUSICA: David Arnold; PRODUZIONE: Gran Bretagna; ANNO: 2010; DURATA: 113 min.
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