Fausto Paravidino PDF 
di Lorenzo De Nicola   

La tua storia aderisce pienamente alla tradizione cinematografica italiana basata sulla commedia agrodolce ambientata in una piccola città di provincia. Questa scelta deriva da una tua passione per il genere o ha reminiscenze autobiografiche?

Quando abbiamo scritto la faccenda non abbiamo pensato alla tradizione italiana, anche perché volevamo in qualche modo rappresentare un'Italia trasformata dall'America e che si potesse autopercepire solo una volta messa di fronte alla rappresentazione di questa trasformazione. Abbiamo pensato soprattutto al teatro di Cechov, alla letteratura di Fenoglio, al cinema epico americano e a reminiscenze polibiografiche, visto che la storia l'abbiamo scritta in tre.

Che sensazione hai provato a girare nei posti della tua infanzia?

Molto meglio girarci che abitarci. Quando ci stavo non capivo bene cosa ci stavo a fare in quel posto. Quando l'ho visto come location, con la troupe e gli attori, sono riuscito meglio a dargli un senso. La cosa più brutta è tornarci adesso che non ci sono più camion, cavi e tutto…

Il tuo curriculum vanta esperienze teatrali e televisive. Cosa ricercavi nel cinema?

Be', mi era capitato di recitare anche in qualche film. Comunque è curioso che anche se questo è il primo film che ho scritto e diretto - mentre vengo da una lunga esperienza teatrale - la sensazione è stata un po' quella di essere tornato al cinema, piuttosto che esserci arrivato. Perché la prima esperienza che facciamo come spettatori è rigorosamente cinematografica; e anche facendo teatro va poi a finire che si vedono tre o quattro film alla settimana e uno spettacolo di teatro al mese, se va bene. Per cui il mio lavoro - anche di teatrante - è influenzato più dal cinema che dal teatro. Detto questo non saprei se è nato prima l'uovo o la gallina, cioè se è venuta prima la voglia di scrivere un film e quindi di utilizzare lo "specifico" del cinema o se è venuta prima la storia e poi ha portato con sé il fatto che la sua forma era il cinema e non il teatro. Comunque, le suggestioni di partenza di questa storia sono i quadri di Hopper, cioè la fotografia di uno spazio aperto, le automobili intese come cavallo dei cow boy e la folla di personaggi per raccontare una comunità. Quindi cinema.


Tra cinema, teatro e televisione, quali sono le differenze nel veicolare il proprio pensiero? E tra i tre quali senti più vicino e per quale motivo?

Il pensiero non prescinde dalla forma. In qualche maniera, data la forma si applica ad essa la propria sensibilità. Il teatro e il cinema li sento molto vicini, l'uno per abitudine, l'altro per frequentazione da spettatore. La televisione la conosco meno, nel senso che penso che potrebbe avere delle grandi potenzialità nel raccontare una storia che faccia compagnia, dove non si tenda necessariamente a "sapere come va a finire" aspettandosi un blocco compatto come in un film, ma privilegiando di più l'ambiente. Ma di solito la TV che si fa è così brutta che non posso che viverla come un sottogenere di qualunque cosa. E il sottogenere non è molto stimolante.

La televisione sta gradualmente assorbendo le forze produttive del cinema: ad un buon film si preferisce produrre una fiction mediocre. Esistono aspetti positivi di questo fenomeno?

Mi sembra di no. Il meccanismo è un po' perverso. La possibilità della televisione di essere fruita da un alto numero di spettatori ha indotto nel lavoro televisivo il dovere di piacere a tutti, perché chi comanda la televisione è l'inserzionista. Questo produce un livellamento verso il basso. Si lavora sapendo che quello che fai deve essere più facile di quello che faresti, perché stai parlando ai cretini. Alcuni la vedono come una responsabilità sociale, per me non è stimolante e basta.

 

Nel film si sentono le influenze di molti registi. Quali sono i modelli che hai seguito e ti hanno ispirato per questo lavoro?

Siamo dei giocherelloni e ci siamo divertiti a citare roba che c'entrava (magari per contrasto) con la nostra storia e roba che non c'entrava un cazzo. È un'opera prima con tutti i suoi difetti bene in mostra. L'opera prima non è compatta perché in quanto prima è anche ultima. Il suo bisogno di essere "manifesto poetico" la carica di una valenza testamentaria. Per cui abbiamo lasciato che fosse influenzata anche se non apertamente da tutto il cinema che ci piace. Che è tanto. Vi risparmio il generico elenco di grandi della storia del cinema.

Hai avuto la fortuna di girare un film con una buona produzione, un'ottima troupe, un cast ricercato e una distribuzione sicura. È un caso alquanto raro per un regista esordiente. Quanto pensi abbia influito nella riuscita del film?

Penso molto, ma aggiungerei che era una "condicio sine qua non". "Texas" è stato concepito fin dall'inizio come un film grosso. Poi è diventato medio. Di meno non sarebbe stato "Texas". Non l'avremmo fatto e basta.

 

Qual'è la scena a cui sei più affezionato e quella che, a tuo avviso, è riuscita peggio?

Mah, non ci sono scene di passaggio nel film, abbiamo trattato ogni scena come un figlio unico (anche stilisticamente), per cui è molto difficile dire. Sono molto affezionato alla scena del karaoke di "The Crying Game" perché è stata una scena virtuosistica per tutti i reparti, per cui è forse quella dove abbiamo giocato al cinema tutti quanti più di tutto. Quella che è riuscita peggio lo so, ma non lo voglio ancora dire, magari tra qualche anno…

In Italia i registi alla loro prima prova sono sempre sottoposti ad un severo esame critico e spesso sono investiti della responsabilità di indossare i panni di portavoce del nuovo cinema italiano. A tuo avviso quali sono i "doveri" di un regista alla prima esperienza?

Credo, proprio in virtù di questo, che il primo dovere di un regista alla sua prima volta sia di spegnere le voci il più possibile e di porsi in solitaria e umile onestà di fronte alla storia che vuole raccontare. Il destino del cinema italiano e come verrà trattata la sua persona non sono cose che hanno a che fare con il film.

Nel tuo lavoro hai creato un'amalgama tra attori professionisti e gente del luogo. Cosa ricerchi in un attore di professione e cosa in un principiante?

Era importante che il cast fosse "misto" in questo modo, perché il film doveva essere contemporaneamente "periferia italiana" e "Texas", per cui ambientato sia nella realtà che al cinema. E volevamo riuscire a stare in mezzo senza cadere mai del tutto, nell'ambientarlo a Hollywood o nel farne un documentario. Poi agli attori si chiede sempre la stessa cosa: fare quel personaggio. Ovviamente è diverso dirigere un professionista o un non-attore ma anche tra un professionista e l'altro c'è una differenza enorme di approccio al lavoro. Ho cercato di capire di che cosa aveva bisogno ogni attore/non-attore, dimenticandomi abbastanza in fretta da dove proveniva.

Com'è stato lavorare con un'attrice del peso di Valeria Golino? Come mai la scelta è ricaduta su di lei?

Non so perché volevamo Valeria, ma eravamo d'accordo noi tre sceneggiatori, Binasco, che nel film se la doveva sposare, e Procacci, che l'avrebbe dovuta pagare. Per cui, quando è stata d'accordo anche lei, è felicemente finita nel film. Poi mi pare che il lavoro sia andato bene. Lei ha tanto bisogno di essere diretta quanto io di dirigere, si è lì per lo stesso motivo. Poi riuscire a capirsi è tutta un'altra fatica, ma che fa parte del lavoro. È anche il suo bello.

Come hai gestito il doppio ruolo di regista e attore?

Il monitor ha i suoi pro e suoi contro. Quando reciti e dirigi ha sicuramente i suoi vantaggi. È stato bello. In tante scene (tipo quelle a casa Elisa) non sentivo tanto la differenza tra l'essere in campo o a filo macchina a guardare la scena. In altre scene, magari più difficili, c'era spesso un gruppetto di persone al monitor che mi diceva secondo loro com'era (Carlo, Iris, a volte Valerio e Valeria…).

Nel film si sente molto il peso derivante dalla responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze. Secondo te quali sono le colpe maggiori della generazione dei nostri genitori?

Non sono solito indicare i padri come causa di ogni male da noi commesso. Tendenza post psicanalitica, oggi mainstream, pratico modo di lavarsi le mani. Il mondo è peggiorato per noi, sotto i loro occhi più o meno impotenti, più o meno corresponsabili. Forse l'essere stati troppo ottimisti, e in questo, non l'essersi parati il culo. Mi sembra che il popolo italiano, dal dopoguerra in poi (così come durante il fascismo) abbia accettato tutto senza chiedersi molto. Non so cosa avrebbero dovuto fare perché in un mondo di singoli, e notoriamente individualista, faccio tanta fatica a parlare di "generazione", tanto per la nostra quanto per la loro. Ci troviamo in un vuoto, un po' costruito, un po' ereditato.

I giovani da te messi in scena, a differenza di quelli di Salvatores, non riescono nemmeno più a fuggire. Come mai hai voluto dare questa visione della tua generazione così devastata e devastante?

Appunto. Pensavo più a "I vitelloni" e a Moraldo io, ma anche Salvatores va bene. Questa per me è un po' la novità di "Texas" e del mondo globalizzato nel quale è ambientato. Il desiderio di America dei nostri non è quello di un paese dove scorrono latte e miele e dove io solo cercherò di salvarmi, ma è l'autoconsolazione del fatto che tutto quello che possiamo sognare l'abbiamo perché siamo fortunati. Questo è il motivo per cui la nostra provincia somiglia sempre più a quella Americana, questo è il motivo per cui i nostri non se ne vanno. In America si costruivano imitazioni delle piramidi e delle vestigia Romane. Ora che hanno vinto siamo noi a costruire pompe di benzina, ipermercati e steak house per migliorare il nostro paesaggio.

Un paio di scarpe nuove e argentate, custodite gelosamente sotto il letto, possono diventare l'orizzonte primario anche per le classi sociali più disagiate. Cos'è che ti spaventa di più del nostro sistema capitalistico?

Mi spaventa quasi tutto del sistema capitalistico. La storia di Davide è un po' il paradigma dei suoi orrori. Mi spaventa che la teoria della ricaduta (il capitalismo crea una concorrenza che ha una ricaduta di benessere un po' su tutte le classi) è falsa e viene usata deliberatamente come una bugia, per cui il capitalismo può solo essere di sfruttamento. A livello locale e globale. E lo sfruttamento è una delle cose che mi indigna di più. Mi spaventa che si basi sul concetto di "roba", della quale crea il desiderio che non c'era e che poi va protetta militarmente. E tutto sommato anche il suo impatto ambientale (ecologico) non è dei più incoraggianti.

Raccontato il Texas, dove andrai?

Lasciato il Texas non lo so ancora dove mi sposterò…

 


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